
Nel 1924 Elisa Salerno, modernista cattolica, alla domanda: «Quante sorte vi sono di femminismo? Rispondeva: Il femminismo vero è uno solo: il femminismo cristiano».
Nel 2018 bell hooks, attivista femminista afroamericana, affermava che solo «una visione femminista della realizzazione spirituale è naturalmente il fondamento di un'autentica vita spirituale». Due donne, due femministe laiche radicali, tra loro un oceano e un secolo di storia, di lotte, di movimenti delle donne, di "femminismo cristiano".
Un femminismo cristiano affermato in libertà, senza servili reticenze, non una contraddizione in termini, una questione marginale da trattare con prudenza, una realtà da confinare tra le tante periferie esistenziali.
Molte le narrazioni su questi ultimi cento anni di vita e di storia di tante donne credenti, ribelli, visionarie, eretiche, pensatrici operanti, praticanti di relazioni, tessitrici di reti, che hanno vissuto e vivono l'esperienza di questo femminismo per tutte e per tutti.
Senza alcuna ovvia pretesa di parlare "a nome di", mi riferisco qui alle esperienze che ho attraversato, nella fitta rete di gruppi, associazioni, relazioni duali che innerva e fa respirare il movimento delle donne non solo cattoliche anche in Italia. Dall'iniziazione con il Gruppo Promozione Donna di Milano, al lungo attuale cammino con i Gruppi di donne delle comunità di base e le molte altre, passando dal Sinodo ecumenico di Barcellona del 2003 e dalla relazione con il Coordinamento delle teologhe italiane, fino all'incontro con le più giovani realtà: Donne per la Chiesa, Noi siamo il cambiamento, Osservatorio interreligioso sulla violenza contro le donne, arrivando alla stimolante costruzione di una Rete di donne e di uomini nel percorso sinodale della Chiesa italiana e universale, nella quale «senza chiedere il permesso» abbiamo cercato di offrire il nostro contributo di femministe per una riforma della Chiesa.
In realtà nella rappresentazioni ufficiali, in particolare della Chiesa cattolica, permane il tentativo di relegare questo contributo ai margini della vita ecclesiale in un confinamento elitario, troppo spesso anche con una delegittimazione autoritaria. Certamente ciò resta espressione delle derive di stampo patriarcale che affliggono gli ambienti ecclesiali ancora pervicacemente affetti da clericalismo e misoginia, ma credo sia importante interrogarsi anche sul nostro posizionamento di femministe cristiane. Se è vero infatti che il patriarcato ci ha messo ai margini della storia e della Chiesa, noi abbiamo scelto di abitare quel luogo come luogo di resistenza, di libertà e di creatività, uno spazio inclusivo in cui ritrovare noi stesse, ma al tempo stesso abbiamo cercato di ridefinirlo, per non rimanere imbrigliate dentro il binomio margine/centro, un margine in cui stare separate o un centro decisionale da conquistare, sottraendoci oggi anche al fascinoso binomio poliedro/periferia, interessante per le questioni di giustizia, ecologia, equità, pericoloso se assunto come possibile metafora di una collocazione del femminismo.
La forza femminile non viene né dal cristallizarsi ai margini, né di porsi al centro (cfr. la filosofa italiana Chiara Zamboni), ma nel muoversi lungo un confine mobile, un confine come l'orizzonte che costeggia il mare, una frontiera che ci consente di essere maggiormente attente ad accogliere le differenze tra le due “sponde”, a non comprometterci con una sola parte ed a diventare luogo aperto di riferimento per altri/e. ( cfr. la religiosa teologa spagnola Mercedes Navarro Puerto).
Una battigia dove il ritmo è dato dall'acqua che avanza e si ritira, mutevole al variare del vento, ma anche una soglia da varcare per andare in un altrove, persino oltre il confine del campo dove il Dio parla, per uscire dallo spazio in cui era stato confinato autoritariamente il nostro rapporto con il divino (cfr. la pastora battista Elizabeth Green).
Che cosa ha significato essere donne sulla soglia del divino e mettere "il dio patriarcale al margine"? Quale vuoto ha creato, quali impalcature ha smontato, quali strisce di futuro ha aperto per le nostre appartenenze o non appartenenze, anche in rapporto con la Chiesa?
Per alcune il vivere fuori dai luoghi istituzionali è stata un'occasione di risveglio e di consapevolezza che consente, senza aspettare di essere autorizzate dall'alto a cambiare, di diventare "ministre di profezia" anche all'interno della chiesa, per riscriverne gli scenari con l'apporto di autorità e libertà femminile. Per altre prosegue la ricerca di trovare segni, gesti e parole “incarnate”, anche attraverso una teologia corporea e nuove liturgie, per abitare il vuoto, per s-velare e dire il divino, attraverso una ministerialità dis-ordinata. Per molte si è trattato di praticare quel pendolarismo delle donne, quel nomadismo del dentro-fuori che consente di varcare i confini e sciogliere i margini anche quelli di una Chiesa che forse avremo contribuito a trasformare in multicentrica, asimmetrica e… Maddalena! Per tutte si tratta della fedeltà al doppio sì al cristianesimo e al femminismo.
di Grazia Villa
Avvocata per i diritti delle persone, Gruppi di donne delle comunità di base e le molte altre