· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

Gesù è nato nell’umiltà e ha prediletto le periferie

L’Uomo delle frontiere

The Sermon on the Mount
Carl Bloch, 1890
02 settembre 2023

È nato in un Paese all’estrema periferia dell’Impero romano. Un Paese fiero delle sue tradizioni e fedele al suo monoteismo anche se circondato da culture politeiste. È nato presso un popolo pervicacemente attaccato alla propria identità, che ha sempre mal sopportato qualsiasi dominazione straniera. È nato in una località di confine e nel radar della grande storia, la sua storia – destinata a diventare un evento centrale nella in quella dell’intera umanità dividendola cronologicamente in due – all’epoca sarebbe stata niente più che un insignificante puntino. Anche per la sua predicazione, nei tre anni di vita pubblica, ha prediletto le terre periferiche. Gesù di Nazaret, il Figlio del Dio che rovescia «i potenti dai troni» e innalza «gli umili», il Dio che ha scelto come protagonista della joint-venture dell’incarnazione finalizzata a salvare l’umanità una quattordicenne di uno sconosciuto villaggio della Galilea, è stato per tutta la sua esistenza terrena, uomo di confine.

Fin dall’inizio la sua vita è stata segnata: Maria e Giuseppe costretti a viaggiare a causa del censimento lasciano Nazaret per raggiungere Betlemme, carica di storia perché città della stirpe di Davide, piccolo centro poco distante da Gerusalemme. La mancanza di un posto lontano da occhi indiscreti nel caravanserraglio li obbliga a trovare un rifugio di fortuna in una delle tante grotte adibite a stalle. Qui, nell’assoluta precarietà, nasce il “Re dei Re”, il Messia Figlio dell’Onnipotente, ridotto all’impotenza e totalmente dipendente dalle cure di una madre e di un padre, come ogni neonato che viene al mondo. Passano pochi mesi, e quella scena che siamo abituati a riprodurre un po’ zuccherosa e idilliaca festeggiando il Natale, si tinge di rosso sangue. È il sangue degli innocenti, vittime del re Erode, che fa ammazzare tutti i bambini di Betlemme con meno di due anni, per sbarazzarsi del Messia. Il piccolo Gesù si salva. Lui e la sua famiglia fanno l’esperienza di tanti migranti e rifugiati della storia. Escono dal loro Paese, varcano un confine, si adattano a vivere presso un altro popolo con cultura e tradizioni diverse. Sopravvivono grazie all’accoglienza degli egiziani.

Dio non sceglie per suo Figlio, il Messia a lungo profetizzato e atteso dal popolo di Israele, i palazzi del potere mondiale, quelli di Roma, né quelli del potere in Israele, quelli di Gerusalemme. Il Nazareno muove i primi passi della sua vita lontano dalle capitali politiche e religiose. È un Re che nasce nell’umiltà e nel nascondimento, ricevendo l’omaggio degli emarginati, i pastori che vivevano fuori dai villaggi con le loro greggi e venivano considerati nomadi dai quali stare alla larga.

Poi, dopo decenni di vita nascosta in quel di Nazaret, Gesù inizia la sua vita pubblica. E la sua predicazione non inizia a Gerusalemme, ma dalla periferia della Galilea, regione guardata con certo disprezzo dai giudei più osservanti, perché luogo dove le genti si mescolavano e dove abitavano popolazioni straniere. La Galilea è una terra di transito, di scambi commerciali. È una terra multiculturale e multilingue, dove razze, culture e religioni si incrociano e si incontrano. È la «Galilea delle genti» (Isaia) la terra prediletta dal Figlio di Dio, che sceglie come base un villaggio di pescatori, Cafarnao, sorto sulla riva del Lago di Gennesaret, quel «Mar di Galilea» che insieme ai suoi apostoli quasi tutti pescatori, solcherà in lungo e in largo spostandosi in barca. E pur entrando e insegnando nelle sinagoghe, Gesù incontra le persone per strada, ai crocicchi, in riva lago o mentre si sposta da un villaggio all’altro accompagnato dal gruppuscolo dei suoi seguaci.

Quando deve scegliere i suoi, si circonda di uomini che non provengono dalle scuole dei dottori della legge, dagli scribi, dagli uomini di religione. Predilige persone umili, semplici, dedite al lavoro manuale. Li chiama a sé andandoli a “pescare” uno ad uno là dove lavorano, dove vivono.

La predilezione del Figlio di Dio è per chi sta ai margini, per chi è o si sente rifiutato, per chi è escluso, per gli impresentabili e gli intoccabili. Gesù chiama a sé esattori delle tasse, come Matteo o l’impresentabile capo dei pubblicani di Gerico, Zaccheo. Non si limita a parlare con loro, ma compie gesti di rottura con le tradizioni del tempo, recandosi a casa loro. Non ha paura di varcare le soglie delle abitazioni dei pagani, non teme di toccare coloro che sono “impuri” perché ammalati – come i lebbrosi che la tradizione mosaica confinava fuori dalle città al fine di evitare il contagio – o perché peccatori. Gesù entra in contatto con loro, si “contagia”. Anzi dice ai suoi, che lo accompagnano in quel momento senza capire fino in fondo il suo messaggio, di essere venuto per i peccatori, non per i giusti. Per i malati, non per i sani. Così guarisce la donna emorroissa “impura” che gli tocca il lembo del mantello; abbraccia il peccatore incallito e corrotto Zaccheo, il quale si converte proprio perché inondato da questa preventiva misericordia infinita; salva dalla lapidazione e perdona la donna sorpresa in flagrante adulterio, allontanando i benpensanti che erano pronti a scagliare le pietre su di lei dopo essere sfuggito alle loro domande insidiose rimanendo in silenzio; in casa del fariseo Simone si lascia lavare e asciugare i piedi dalla donna peccatrice alla quale perdona i peccati perché lei «ha tanto amato». È pronto ad entrare nella casa di un pagano, il centurione romano che lo supplica di guarirgli il servo, e dopo che questi si definisce «non degno» di accogliere il Messia nella propria abitazione, Gesù lo indica ai suoi discepoli come modello, dicendo di non aver trovato una fede così grande in nessun appartenente al popolo eletto d’Israele. Malati, storpi, indemoniati sono il suo pane quotidiano, le persone che incrocia sulle strade polverose dei villaggi galilei. Va a cercare chi non si sente “a posto”, chi vive sbilanciato, chi sta fuori. Ridona la vista ai ciechi, che “vedono” più dei vedenti e lo chiamano per attirare la sua attenzione.

Gesù, anche nella Galilea delle genti, vive sempre al confine, perché mai si fa imbrigliare nei progetti dei ribelli che vorrebbero usarlo come bandiera della lotta agli invasori romani. Nasce da qui, in fondo, la delusione dell’apostolo Giuda, che fino all’ultimo sperava in una “manifestazione” messianica accompagnata da potenza mondana. Ogni qual volta le folle vogliono incoronarlo re, il Nazareno fugge, si nasconde, ai confini dei confini, perché il Regno di Dio che è venuto ad annunciare è in questo mondo ma non è di questo mondo. È l’annuncio di un Dio Onnipotente che rinuncia alla potenza scegliendo la via dell’abbassamento, dell’umiltà, della condivisione con i più piccoli e gli ultimi.

Anche quello che allora appariva come l’ultimo capitolo di questa storia, la morte in croce, lo vede appeso fuori dalle mura della Città Santa di Gerusalemme. Nudo e scartato come un infame, accetta di morire come un agnello sacrificale senza reagire, indicando così ai suoi la via della non violenza. La morte in croce era sembrata la più grande sconfitta, la miserabile fine di tutto. E invece il terzo giorno risorge, come aveva predetto ai suoi. Ma ancora, il Figlio del Dio che predilige farsi trovare nella brezza leggera piuttosto che nel terremoto, il Figlio del Dio che non prevarica mai la libertà dell’uomo lasciando sempre sufficiente luce per chi vuole credere e sufficiente buio per chi non vuole credere, si fa vedere per primo alle donne. Non appare a Erode Antipa nel palazzo di Gerusalemme, né al governatore romano Ponzio Pilato, né ai sommi sacerdoti Anna e Caifa. Si fa vedere dalle donne, la cui testimonianza, nella società maschilista dell’epoca, non valeva nulla in tribunale. Capovolgendo ancora una volta ogni logica umana.

di Andrea Tornielli