· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

Intervista con Grazia Loparco, suora salesiana e storica

L’importanza dell’educazione

 L’importanza dell’educazione  DCM-008
02 settembre 2023

Grazia Loparco, nata a Locorotondo (Bari), suora delle Figlie di Maria Ausiliatrice, docente della Pontificia Facoltà Auxilium a Roma, storica. Si interessa di ricerche storiche su religiose, donne, educazione, ebrei, Famiglia salesiana nel mondo. È nel Comitato di direzione di “donne chiesa mondo”

Le donne in questi ultimi anni, facciamo riferimento al concilio Vaticano ii , sono riuscite ad uscire dai margini in cui sono state relegate per secoli?

Se facciamo riferimento alla Chiesa cattolica, credo che l’apertura delle Facoltà di Teologia alle donne e ai laici in generale, abbia messo le premesse per una migliore preparazione in questo campo. Di qui la maturazione di competenze che gradualmente vengono riconosciute e valorizzate, perché si va su un terreno comune, si parla lo stesso linguaggio apprezzato. La scarsa cultura è certamente un motivo fondamentale di emarginazione. Per me, però, questo non è da confondere con l’accesso al potere gerarchico. Proprio la comprensione teologica delle donne può arricchire e direi riequilibrare il modo di intendere l’autorità, i ruoli, che nella Chiesa sono sorti come ministeri, ovvero servizio nel Popolo di Dio e non come affermazione di dominio.

Il rischio del carrierismo è sempre presente, in uomini e donne; dove c’è uno sguardo meno interessato può sorgere, a mio parere, una voce più libera, una critica costruttiva, restando vicino alle persone, alle loro necessità, dubbi, angosce e speranze.

Nonostante i passi fatti, tutti notiamo che le donne non sono ancora realmente interlocutrici autorevoli in varie circostanze, per i pregiudizi persistenti nella formazione, che tante volte affondano già nelle famiglie e si prolungano nella vita delle comunità ecclesiali. Sulle fragilità, sull’interezza della persona, sull’integrazione tra “mente, cuore, mani”, come ci ricorda papa Francesco, le donne hanno in genere più intuito ed esperienza; se fossero ascoltate e valorizzate nella cooperazione potrebbero meglio integrarsi con competenze più specificamente maschili, a vantaggio di tutti. Credo che il cammino sia iniziato, ma sia ancora tanto lungo il cambio di mentalità. Bisogna però ricordare che oggi il mondo vive ritmi accelerati, la lunga storia della Chiesa non inganni sulla possibilità di attardarsi.

Quale è stato in questa direzione il ruolo del concilio?

Il Concilio ha rappresentato una svolta di attenzione al mondo moderno, la decisione di un dialogo con la contemporaneità che attraversava una crisi complessa. La Chiesa, in senso generico, perché tantissimi santi sono l’eccezione magnifica, a lungo era stata più preoccupata di difendere i principi che di annunciare con un linguaggio nuovo il senso della vita che filosofi, artisti, letterati denunciavano di aver smarrito, dopo aver rinunciato a uno sguardo aperto sul mistero. La figura straordinaria di Paolo vi ha rimesso al centro il tema della testimonianza, dell’impegno nella costruzione di una civiltà dell’amore. Era il contrario di una religiosità formalistica o intimistica, “da sacrestia”, dove le ideologie avrebbero voluto relegare il clero, in attesa della scomparsa. La secolarizzazione, una volta riconosciuta, ha richiesto e comportato dei cambiamenti nella vita delle Chiese locali. Ma non dappertutto, non sempre. La storia reale ci impedisce di affermare qualcosa in modo netto, se non vogliamo cadere nel riduzionismo ideologico.

Nella società italiana, ma forse possiamo allargare lo sguardo all’Europa e al mondo, gli anni Settanta sono stati caratterizzati da un grande protagonismo femminile. Le donne sono uscite dai margini che la società aveva loro imposto. Si può parlare si un fenomeno parallelo nella Chiesa? Con quali similitudini? Con quali differenze?

Nella società europea le donne sono emerse come protagoniste grazie all’istruzione diffusa, all’accesso alle professioni e alla politica; grazie all’autonomia economica e nelle scelte riguardanti la sfera affettiva e sessuale. Ad essere concrete, si tratta di un numero crescente di donne che grazie alle letture, alla televisione e al cinema si appropria di idee e comportamenti che prima erano piuttosto di élite.

Nelle parrocchie si è pure assistito a un più qualificato contributo femminile, forse nei primi decenni sotto la spinta del Concilio, poi quasi costretti dalla diminuzione dei sacerdoti. L’assunzione di parola e responsabilità delle donne in vari casi è parso una forma di rivendicazione, in concomitanza con i movimenti femministi. Questo ha generato almeno inizialmente diffidenza verso le persone più critiche, pur ben intenzionate, da parte di chi rimaneva nella mentalità maschilista o paternalista, e ha cercato la collaborazione di donne più esecutive e remissive per cultura o formazione. Sarà un caso che anche in movimenti e comunità miste recenti più di una volta non si è promossa la formazione culturale delle donne?

Negli ultimi decenni, grazie anche alle femministe cattoliche e a una certa accettazione da parte del clero, in varie parti c’è un’uscita dalla marginalità. La somiglianza nella società e nella Chiesa può essere in certi processi relazionali e culturali che riguardano uomini e donne. Vedo una differenza nel fatto che il rispetto delle donne in quanto persone, prima che dei ruoli, è un dato originario del cristianesimo, pur offuscato nelle conseguenze pratiche. D’altronde, la canonizzazione di molte donne evidentemente ha contribuito a mettere in luce che non siamo solo “figlie di Eva”.

Possiamo definire le tappe principali del cammino per uscire dai margini delle donne della Chiesa?

Per rispondere a questa domanda dovremmo confrontarci su cosa intendiamo per Chiesa e per margini, e cercare di non applicare al passato le nostre categorie interpretative. Rispondere in poche battute non mi pare possibile. Solo richiamo qualche spunto. Già il martirio dei primi secoli ha posto le donne nel cuore della testimonianza cristiana al pari di vescovi e papi; lo stesso l’autonomia nella decisione di una consacrazione e della vita apostolica, coniugando fede e carità concreta, per il fatto stesso di essere rimaste a contatto con la gente, private della possibilità di trincerarsi nella dottrina. Chi vive il servizio ai poveri nel riscatto della dignità, chi educa elevando le fasce popolari, chi affianca donne umiliate, è ai margini o al centro della Chiesa? Se per centro intendiamo il potere, siamo sicuri di comprendere la Chiesa? Vale per credenti e non credenti. Se non vogliamo prolungare l’equivoco continuamente denunciato da papa Francesco, occorre ricomprendere la natura e la missione della Chiesa. Non tanto in teoria, perché la Lumen Gentium è splendida, ma nella vita quotidiana delle comunità locali.

Che ruolo hanno avuto le suore in questo cammino?

Nel secolo xix e fino a metà del xx in Europa le suore dedite all’apostolato sono state all’avanguardia del protagonismo femminile in alcuni campi, aprendo le strade alle laiche anche in altri continenti di missione: si pensi alle figure nuove di insegnanti diplomate, di infermiere, di missionarie, con le esigenze di preparazione culturale, di viaggi, di capacità imprenditoriali per molte comunità, di gestione di denaro per le opere, di sobrietà di vita e solidarietà, di universalità nel servizio. Quando e dove questi aspetti sono diventati valori diffusi tra le donne nella società, la figura della religiosa ha perso attrattiva sociale. Anche la vita religiosa, nel cuore della Chiesa, è chiamata a restare al passo con i tempi, con le nuove sfide antropologiche, spirituali, sociali. La formazione, credo, fa e farà la differenza, non solo in Europa, per una testimonianza credibile e “perciò” autorevole del Vangelo. L’attitudine al discernimento e alla conversione giorno per giorno trasforma la vita, rendendola più umana, segno e richiamo di speranza per sé e per tutti.

di Ritanna Armeni

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