· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

La Chiesa dei margini, fin dal primo saluto del papa venuto “dalla fine del mondo”

Dalle periferie al centro

 Dalle periferie al centro  DCM-008
02 settembre 2023

«Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo… ma… siamo qui».

È il primo saluto da Pontefice di papa Francesco. È l’inizio di una rivoluzione pastorale. Francesco vuole sottolineare che il nuovo papa viene una terra lontana, da un luogo periferico, ai margini del centro che orienta e dirige la Chiesa. Rispetto a Roma da sempre capitale, a un’ Europa culla dei valori della cristianità e a un Occidente che su quei valori ha costruito se stesso.

Le prime parole del nuovo papa alla folla di piazza San Pietro, che aspettava sotto una pioggia di marzo minuta e insistente i risultati del conclave, riascoltate dopo oltre dieci anni di pontificato assumono un significato più ampio. Non solo rivelatrici di una emozione. Non esclusivamente espressione di modestia e sorpresa, ma annuncio e visione. Il primo papa non europeo della storia della Chiesa, ma che era figlio di immigrati europei, sottolineava la sua provenienza dai margini del mondo, dai luoghi che non contano o contano poco. Indicava una strada. Se il conclave aveva scelto un papa – questo ci dicono oggi le sue parole - prendendolo dalla “fine del mondo”, quei luoghi avrebbero cessato di essere periferia, avrebbero superato limiti e confini, sarebbero diventati centro della Chiesa. E dieci anni dopo possiamo dire che l’avrebbero sommersa, cambiata, le avrebbero restituito vitalità. In un alternarsi di azione centrifuga, con la bellissima immagine di Chiesa in uscita, e forza centripeta, con l’altrettanto efficace immagine di Chiesa in ascolto. E’ significativo che la grandissima parte dei 21 nuovi cardinali nominati a luglio 2023, provenga dalle periferie del mondo.

I confini si abbattono dall’una e l’altra parte. I muri si scalano di qua e di là.

Può la periferia finalmente diventare centrale, possono i margini acquistare un protagonismo, e allargarsi fino a invadere il centro e diventare tutt’uno con esso? Possono cambiare la Chiesa, rinnovarla? E oggi da chi sono costituiti i margini? Chi sono i protagonisti che dalla periferia annunciano un cambiamento?

Sono queste le domande che si è posto e ha posto Donne Chiesa Mondo. Ragionando sui diversi concetti di “periferia”: geografica, esistenziale, spirituale e religiosa; ai quali noi aggiungiamo “di genere”.

C’è senza dubbio una periferia geografica, mondiale, che preme sui confini. I paesi di un mondo che fino a qualche tempo fa erano solo da educare, dovevano limitarsi a conoscere la fede che altri avevano portato, accettarla e assorbirla. Con i suoi dogmi, le sue certezze, le sue abitudini, le sue liturgie. La linfa vitale veniva dal centro ed è stata per anni più o meno benevolmente distribuita sugli ultimi della terra sia che essi abitassero le foreste dell’Amazzonia o le aride terre africane o le baraccopoli asiatiche.

Un percorso in cui la Chiesa si è qualche volta confusa o, almeno, non si è abbastanza distinta, con la cultura dell’occidente del mondo, anche - in un passato remoto - quando questa coincideva con la prevaricazione militare e politica. Oggi sono proprie le periferie a dare nuova linfa al centro, sono loro che indicano un nuovo tragitto di fede, che altrove è diventata tiepida e distratta.

C’è un precedente. Nel 2007, all’altro capo del mondo, la v Conferenza dell’episcopato latinoamericano di Aparecida, ribadì con forza e in modo inequivocabile «l'opzione preferenziale per i poveri e gli esclusi». L’allora cardinale di Buenos Aires Jorge Bergoglio fu il presidente della Commissione di redazione del Documento finale. Era il documento di «una Conferenza subcontinentale importante, ma relativamente piccola» (cfr. il gesuita Diego Fares su La Civiltà cattolica, 2017). Oggi la Chiesa interroga e viene interrogata da ogni forma di perifericità esistenziale presente in ogni parte del mondo: senzatetto, profughi, emigranti, rifugiati politici, malati, carcerati, disoccupati, discriminati in ragione della religione, della fede, delle opinioni, del genere…

C’è un altro momento significativo. Il Sinodo del 2019 era «per l’Amazzonia», ma è stato da subito evidente – e lo si leggeva bene sul sito del Sinodo fin dall’anno prima – che il «grande progetto ecclesiale, civile ed ecologico che cerca di superare i confini e ridefinire le linee pastorali, adattandole ai tempi contemporanei» era un pungolo per la Chiesa tutta: «sebbene il tema si riferisca ad una regione specifica, come la Panamazzonia, le riflessioni proposte vanno oltre il territorio geografico, poiché coprono l'intera Chiesa e fanno riferimento al futuro del pianeta».

Quel Sinodo portava al centro dell’attenzione universale i problemi di una Chiesa lontana, che a Roma diventavano i problemi di tutta la Chiesa e parlavano al mondo.

Il dramma dell’Amazzonia metteva in evidenza il dramma del nostro stile di vita. E da quel Sinodo, in cui anche fisicamente la periferia veniva a Roma, sono arrivate riflessioni e decisioni su aspetti che stanno a cuore alle donne, spesso doppiamente marginali, nella Chiesa e nella società, come le ministerialità. Anche con qualche delusione.

Ma è un percorso che non si è arrestato. Lo scorso mese di giugno l’ecuadoriana Patricia Gualinga, leader Kichwa dei Sarayaku, la brasiliana suor Laura Vicuña, indigena del popolo Kariri e la peruviana Yesica Patiachi, del popolo Harakbut, rappresentanti della Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia e della Repam, sono state ricevute a Roma dal Papa. Hanno parlato di ambiente e delle responsabilità del mercato nella distruzione della creazione. Hanno parlato anche di ministeri delle donne nella Chiesa. Avevano chiesto loro l’incontro al Pontefice.

E’ l’impulso del “continente della speranza”.

L’Europa invece vede ridimensionarsi la sua vitalità religiosa. Sbrigativamente se ne parla come di una periferia della fede. Francia, Italia, Germania, Spagna, che hanno costruito il cattolicesimo, per secoli centri propulsivi della cristianità, oggi appaiono convertiti ad un credo economico e sociale che ha creato barriere ed esclusione, che isola. E che ha messo da parte la spiritualità e la fede.

La fede nei paesi poveri nasce, invece, dalla ricchezza del rapporto con l’altro, dalla sua imprescindibilità per superare le difficoltà del vivere. Sono alla fine del mondo ma anche da lì riescono a parlare, a dare nuova linfa alle parole del vangelo. Ad offrire nuovi orizzonti. Finalmente a prendersi la parola. Dall’Africa, dell’Asia sconfinata, dalle Americhe – anche quelle apparentemente ricche, ma che vivono i drammi devastanti di periferie urbane e esistenziali: una forza centripeta parte dalle frontiere e smuove la Chiesa. Che ha una straordinaria occasione di apprendere e di ricostruirsi.

Immigrati, donne e uomini che partono dai loro paesi alla periferia del mondo chiedono una esistenza migliore, ma hanno anche da offrire la loro esperienza di vita e di fede, una forza innovatrice. Non intrusi da respingere e neppure solo forza lavoro a buon mercato. Ma portatori della vitalità di una fede che nei nostri Paesi è sbiadita, di nuove soluzioni di convivenza.

«Sempre più sperimentiamo come la presenza dei fedeli di varie nazionalità arricchisce il volto delle parrocchie e le rende più universali, più cattoliche» ha sottolineato Francesco.

Suor Elisa Kidané, nata a Segheneiti, in Etiopia, comboniana, per lunghi anni in America Latina, da qualche anno a Roma, ama ripetere: «ora sono missionaria in Italia».

La periferia delle donne


Si può parlare di donne alla periferia della Chiesa? Si può parlare di non rilevanza, di marginalità, di mancanza di protagonismo in una Chiesa che ha preservato nelle migliaia di sante e di beate la presenza, la storia e la memoria delle donne, che ogni giorno e in ogni parte del mondo le celebra nelle parrocchie, nelle strade, nelle comunità? Una Chiesa che ha messo il culto di Maria al centro della preghiera, dell’arte, della redenzione? Si può parlare di marginalità pensando alle tante che hanno costruito tenacemente una loro presenza anche in una istituzione così palesemente maschile? O alle suore e alle monache protagoniste sempre più importanti della vita ecclesiale?

Se ne può parlare se prima si fa una distinzione fra presenza nella Chiesa come comunità, come appunto “ecclesia”, e presenza nei luoghi di decisione e di elaborazione ufficiale. In questi ultimi la presenza femminile può ancora oggi essere definita irrilevante quando non addirittura insignificante. Anche oggi le donne abitano la periferia e appaiono ai margini delle grandi decisioni. Di queste oggetto più che soggetto.

Oggi possiamo dire con una certa sicurezza che è proprio la periferia femminile quella che più di altre assedia il centro e pone il problema di un rinnovamento e di una maggiore coerenza con la parola del vangelo.

La presenza delle donne nel percorso sinodale – primaria, fondamentale, imprescindibile – lo dimostra. Le loro richieste di protagonismo nelle decisioni e nella elaborazione del pensiero anche nella Chiesa sono ormai un fatto ineludibile. Come è un fatto che la nuova consapevolezza epocale delle donne del pianeta definita comunemente “femminismo” sia entrata nei gangli forti e ostinati del potere ecclesiastico e stanno obbligando ad una riflessione.

Oggi assistiamo ad un paradosso. La posizione di minore potere delle donne rispetto al “centro decisionale” le rende in questi tempi difficili più forti. La marginalità ha fatto maturare un senso critico più che mai necessario ad una istituzione che non può che aspirare al proprio rinnovamento nella coerenza del messaggio evangelico. Sono le donne da sempre “dentro” la Chiesa e da sempre tenute ai margini, le cui capacità sono state usate ma raramente riconosciute, ad indicare la strada per uscire dall’immobilismo e da una ritualità maschile ormai apertamente insufficienti Sono le donne che possono far diventare feconda la contraddizione centro- periferia, possono illuminarla prepotentemente con la luce del Vangelo che è la parola di un Dio fatto uomo, uomo di frontiera che ha dato voce a chi sta ai margini. Sotto l’aspetto della decisionalità, le donne, estesamente, sono le povere della Chiesa. Movimenti femminili e femministi, fedeli, religiose, teologhe, hanno aperto un dibattito fecondissimo, discutendo teorie e prese di posizione, anche spirituali e teologiche, prodotte dagli uomini. E, qui ribaltando la prospettiva geografica, con vigore e convinzione molto nei paesi europei.

Le periferie non sono solo paesi lontani, luoghi poco conosciuti. Le periferie geografiche sono anche esistenziali, luoghi in cui abita un’umanità derelitta, emarginata, scartata. Separate da barriere che spesso sono diventati muri. Invece proprio oggi offrono nuovi orizzonti . Sono loro che mostrano e si può modificare una mentalità sociale e culturale e soprattutto una visione della fede. Ci dicono che c’è un’altra narrazione dell’esistenza e che questa può modificare la vita di molti. 

di Ritanna Armeni