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Mondiali di atletica?
No, non è “solo” sport

 Mondiali di atletica?  No, non è “solo” sport  QUO-198
30 agosto 2023

I gesti di fraternità e le storie  di riscatto degli atleti rilanciano  la visione inclusiva e solidale  di Papa Francesco


Ci potrà essere anche Athletica Vaticana ai prossimi Mondiali di atletica, a Tokyo, tra due anni. Con lo stile fraterno e inclusivo della visione sportiva di Papa Francesco, com’è già avvenuto a inizio agosto, in Scozia, ai Mondiali di ciclismo. E sarà un “supplemento di anima” l’apporto che, con stile di umiltà, l’associazione polisportiva ufficiale vaticana porterà all’atletica (è in dirittura di arrivo il riconoscimento di World Athletics, la federazione internazionale), prendendo spunto proprio dalla bellezza delle giornate dei Mondiali, tra il 19 e il 27 agosto a Budapest.

E sì, i Mondiali hanno detto che, pur con tanti limiti (e l’ombra del doping da tenere a bada), è possibile provare a essere — come suggerisce Papa Francesco — fratelli tutti anche “attraverso lo sport”.

Perché non si tratta “solo” di sport. Non è “solo” sport la medaglia d’oro condivisa nel salto con l’asta dall’australiana Nina Kennedy e la statunitense Katie Moon che dice: «Non bisogna prevalere a tutti i costi sugli altri, è bello vincere insieme». Nina e Katie si sono applaudite e persino consigliate a vicenda nel “testa a testa” per il titolo mondiale. Nelle gare di salti avviene sempre (meno frequentemente ai rigori di una partita di calcio...).

Ai Mondiali di atletica 71 Paesi sono andati a punti e 46 a medaglia. Più universali di così... Sulle lunghe distanze il cosiddetto “terzo mondo” africano diventa “primo”. L’ucraina Yaroslava Mahuchikh vince l’oro nel salto in alto ma da un anno non vede la sua famiglia rimasta a Dnipro intrappolata dalla guerra. Atleti di India e Pakistan si abbracciano dopo essersi contesi l’oro nel giavellotto. Luis Grivalja per 22 centesimi, sui 5.00o metri non ha vinto la prima medaglia per il Guatemala: è uno dei 600.000 “dreamers” figli di immigrati senza documenti autorizzati a restare negli Stati Uniti (vi è giunto quando aveva un anno) ma senza uno status giuridico che li garantisca.

E, ancora, Filippo Tortu, protagonista anche dei “Dialoghi sportivi” in Vaticano, che corre «più forte in staffetta perché insieme agli altri» e Faith Kipyegon, oro “da mamma” nei 1.500 e 5.000, che parla di dignità delle donne nel suo Kenya. Sulla pista e sulle strade della maratona e della marcia — con la gente che applaude tutti e non fa mai tifo “contro” (come nel calcio...) — s’intrecciano storie, molte di riscatto da povertà e da infortuni, che raccontano speranza non solo sportiva (non hanno tempo da perdere in litigate o simulazioni, proprio come nel calcio...). E no, questo non è “solo” sport. Ed è Ayomide Folorunso, emiliana di origini nigeriane e tra poco pediatra, primatista italiana sui 400 ostacoli, a dar voce al “supplemento di anima” nell’atletica: «Se Dio mi ha messo lì in pista... ci sarà un motivo! Ho corso con in testa il canto Emmanuel, Dio con noi».

di Giampaolo Mattei