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Il cardinale Semeraro apre la Porta Santa della basilica di Collemaggio

Il perdono spalanca
nuovi orizzonti

 Il perdono  spalanca nuovi orizzonti  QUO-197
29 agosto 2023

Il perdono può essere descritto con il simbolo della porta: nella «mente» della Chiesa l’apertura della Porta Santa ha anzitutto il significato di «ricollegare la nostra vita, quella personale e pure quella sociale, storica, ecclesiale, alla sua sorgente che è Cristo». Lo ha sottolineato il cardinale Marcello Semeraro lunedì pomeriggio, 28 agosto, nella basilica di Santa Maria di Collemaggio a L’Aquila, dove ha presieduto la messa stazionale in occasione della 729ª Perdonanza celestiniana.

Durante la celebrazione, caratterizzata dal rito di apertura della Porta Santa, il prefetto del Dicastero delle cause dei santi ha insistito sulla simbologia della “porta”, ricordando che Gesù ne parla come di un varco dal quale «si può entrare e uscire». È un linguaggio orientale, ha fatto notare, che indica «una totalità e vuole dirci che l’intera nostra vita umana è compresa fra i due atti fondamentali dell’entrare e uscire: dalla nascita, ossia l’uscita dal seno materno, all’uscire per entrare negli spazi della vita, fino all’uscita definitiva con la morte». Applicato a Cristo, il simbolo della porta dice che «tutta la vita del cristiano è un passare attraverso di lui, un muoversi mediante lui, a un vivere in lui». Ai discepoli «non basta parlare di Cristo; dobbiamo farci parlare da Cristo». Ecco il simbolo dell’apertura della porta.

C’è poi un altro significato, incluso nella parola “perdonanza”. Osservando che qualche giorno fa a L’Aquila si è tenuto un convegno che aveva come sottotitolo le parole pronunciate lo scorso anno da Papa Francesco nella sua omelia davanti alla basilica di Collemaggio — «Misericordia è saperci amati nella nostra miseria» — Semeraro ha detto che si tratta di un’espressione molto profonda. In effetti, quando «parliamo di perdono, noi abitualmente indichiamo ciò che Dio fa per noi, oppure ciò che noi dobbiamo fare verso gli altri». Il primo significato viene espresso «con l’atto penitenziale all’inizio della messa e lo facciamo ogni volta che celebriamo il sacramento della riconciliazione e penitenza». Il secondo è un percorso «difficile, faticoso, lungo», ma anche molto impegnativo. Basti richiamare un significato che «può essere dato alla parola perdono: sciogliere, liberare, lasciar andare». Perdonare, in effetti, è «liberare l’altro dalle conseguenze del suo crimine, ma pure liberare se stessi dall’odio, dal risentimento, dal desiderio di rivalsa e questo, forse, è il lavoro più arduo, più difficile».

La Perdonanza, ha spiegato il cardinale, è un evento complesso, sia per la storia che evoca, sia per l’abbondanza di significati e di simboli che implica. I fatti ai quali «ci riporta non sono facili da comprendere». Il prefetto ha ricordato le parole di Paolo vi sulla figura di Celestino v , evidenziando che la Chiesa, «santa e insieme sempre bisognosa di purificazione». Significati complessi emergono dietro il simbolo della porta, «evocato dalle parole di Gesù: “Io sono la porta” (Gv 10, 9)». Essa appartiene «al nostro uso quotidiano». Si ha sempre a che fare con una porta: quella «di casa, del posto di lavoro, del luogo di riposo». Anche le città, in antico, avevano la porta. Lo stesso Gesù «richiama l’importanza di una porta per la preghiera: “quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto”. (Mt 6, 6)». La porta è dunque un simbolo poliedrico: «il suo aprirsi e chiudersi può significare tante cose». Perfino quella di casa, che «è protezione dell’intimità, a volte, purtroppo, è segno di dominio, di prepotenza». Quante volte «le cronache ci parlano di violenze perpetrate con le porte chiuse».

Il porporato ha poi ricordato il gesto che il Papa ha compiuto a Collemaggio lo scorso anno, e le sue parole pronunciate nell’omelia tenute a Budapest il 30 aprile scorso: «essere “in uscita” significa per ciascuno di noi diventare, come Gesù, una porta aperta».

Al termine della messa, l’arcivescovo de L’Aquila, il cardinale Giuseppe Petrocchi, ha rivolto ai presenti un breve saluto. Il cardinale Semeraro ha quindi percosso con un bastone di ulivo del Getsemani i battenti della Porta Santa, spalancandone le ante e varcando per primo la soglia.