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Diario ucraino/7

Quei 447 corpi di Izyum

 Quei 447 corpi di Izyum  QUO-195
26 agosto 2023

Campi minati e girasoli. Posti di blocco e strade interrotte. Ponti crollati e case distrutte. In un modo o nell’altro però arriviamo a Izyum, città simbolo della resistenza ucraina perché quando i russi, all’inizio della guerra, sfondarono le difese avversarie piazzando i carri armati alla periferia di Kharkiv, questa parte del Paese venne da loro completamente invasa. Nei sei mesi dell’occupazione, i militari hanno fatto terra bruciata. Basti pensare che qui tutti parlavano russo. Ora lo evitano.

La lunga strada che abbiamo percorso continua a essere un’inquieta retrovia. Gli elicotteri volano bassi sulle nostre teste per portare i rifornimenti a Kupyans’k dove si spara. Avanziamo fra antichissime tombe sarmate e recenti fosse comuni: nelle prime, gli archeologi scoprirono spade con else sacre che l’imperatore bizantino donava al Khan come simbolo del potere che gli concedeva; nelle seconde, gli osservatori delle organizzazioni internazionali cercheranno le prove di eventuali crimini commessi dai russi in tempi recenti.

La presenza militare nemica ha lasciato il segno: prima ancora che nei cumuli delle macerie rimaste, lo decifro dai volti delle persone che incontro: in particolare quelli di Natalia, preside della scuola di Oskil, e delle sue collaboratrici. Questo istituto, nella campagna limitrofa, venne utilizzato come quartier generale dalle truppe russe e da allora non è più stato attivo. Fa impressione vedere i laboratori vuoti, le lavagne con gli esercizi di matematica che nessuno ha avuto il tempo di cancellare, i libri accatastati a terra, le scritte sui muri: come se le grida spensierate degli scolari fossero state soffocate. Ancora oggi i ragazzi studiano da remoto: quattro anni senza scuola, contando anche il periodo della pandemia. Una generazione colpita al cuore, nessuno può dire con quali conseguenze. In sala biblioteca spicca la V della vittoria che i conquistatori avevano verniciato sulla porta. Da quando gli ucraini hanno ripreso il controllo della regione, è rimasta così, alla maniera di un monito.

Natalia assomiglia a un fiume in piena. Piccola, bionda, entusiasta: nel momento in cui ricorda il periodo trascorso, Anatoli, il nostro traduttore, si commuove e non riesce a spiegarmi cosa sta dicendo. Ma in fondo non ce n’è bisogno. Da educatore a educatrice, capisco tutta la sua angoscia. Mi rivela che se i ragazzi non dimostrano di conoscere almeno una lingua straniera, non possono sperare di essere ammessi al college. Appena la informo che potrei aiutarla a insegnare on line l’italiano ai suoi alunni, non sta più nella pelle, si mette la mano sul cuore, vorrebbe abbracciarmi.

Del resto anche Anja, responsabile di un asilo infantile nei pressi del municipio, ugualmente dirupato e semideserto, mi comunica lo stesso smarrimento. L’assenza degli alunni è lacerante quanto le voragini dei palazzi sventrati e finora non più ricostruiti. Il giovanissimo vice sindaco, Maksym Strelnyk, asserragliato nel piccolo ufficio dove i pochi abitanti vengono per ricevere informazioni, ci conferma che il primo problema è quello di trovare gli alloggi. Poi bisognerebbe ripristinare la vita sociale. È vero: durante l’occupazione non c’era l’elettricità, si leggeva alla luce delle candele, mancava l’acqua calda, era meglio non uscire di casa; tuttavia adesso non ci sono le attrezzature per riprendere i lavori edilizi. E poi, dice, come si fa a dimenticare i 447 corpi riesumati, oggi sepolti all’entrata della città? Mentre parliamo suonano gli allarmi. Continuiamo a discutere mettendoci al riparo.

Guardo Maksym Strelnyk e penso al soldato della sua stessa età che poche ore fa ci ha fermati al check point per controllarci i documenti: ha voluto sapere anche i codici dei cellulari, gli tremavano le mani, era visibilmente alterato. Ne ho visti tanti così: giovanissimi, elettrizzati, tutti catapultati verso responsabilità di rilievo. In Italia ragazzi come loro frequentano l’università, qui tengono le redini del Paese.

di Eraldo Affinati