· Città del Vaticano ·

La “sindrome di Montecristo”: il rischio di una deriva sociale

L’illusione del giustiziere

 L’illusione del giustiziere  QUO-193
24 agosto 2023

Sono ormai quasi 50 anni che si aggira per le sale cinematografiche (e oggi nei canali e piattaforme televisive) un film che, mostro proteiforme, è sempre diverso ma è sempre lo stesso: Il giustiziere della notte, uscito nel 1974 per la regia di Michael Winner, con l’attore Charles Bronson nei panni dell’implacabile protagonista. La trama è nota ed è anche molto semplice: dopo l’uccisione della moglie e lo stupro della figlia, il protagonista si vendica e uccide uno a uno tutti i colpevoli.

Su questo schema, scarno e “automatico”, si basano migliaia e migliaia di pellicole, il cui numero è cresciuto in modo impressionante negli ultimi anni: praticamente non c’è sera che, facendo zapping in tv, non si rischi di imbattersi su film di vendetta. Si tratta di vendetta o, se vogliamo (così citiamo un altro titolo di questa serie di pellicole) di “giustizia privata”, perché lo Stato non compare in questi film, e se compare è debole, inefficiente o peggio, corrotto e connivente.

Nella prima, memorabile, sequenza de Il Padrino di F. F. Coppola, che spiega efficacemente la genesi della mafia italo-americana, si assiste proprio a questo schema: la richiesta di una vendetta, avendo preso atto della latitanza dello Stato, anzi di uno Stato corrotto.

Questo tema della vendetta viene “bombardato” da anni nelle case delle famiglie attraverso film che in genere non hanno il valore artistico del capolavoro di Coppola, il più delle volte trattandosi di pellicole rozze, di spettacoli volgari e dozzinali. Ma la vendetta è uno schema che attira sempre. Ne sapeva qualcosa Dumas, autore della memorabile vicenda di Edmond Dantès. Ma il punto qui non è quello della critica estetica bensì etica, perché viene da chiedersi se questo “bombardamento” non produca qualche effetto.

C’è un vento giustizialista — una sorta di “sindrome di Montecristo” — che soffia da molti anni in Occidente, un vento aggressivo, una sete di giustizia implacabile e insaziabile che scuote la società e ha fatto tante vittime e la prima di queste è la misericordia. La cronaca lo dimostra chiaramente: pochi giorni fa a Roma, vicino al Pantheon, una borseggiatrice, dopo essere stata scoperta intenta a rubare, è stata inseguita e bloccata da un gruppo di passanti che poi — senza mai chiamare le forze dell’ordine — l’hanno riempita di schiaffi, calci, pugni e insulti vari. La donna è riuscita a fuggire grazie all’aiuto di un complice.

Viviamo in The Land of No Forgiveness come recita la bella canzone di Greg Trooper, «la terra senza perdono». Tutto è ri-vendicato e quindi, se non ottenuto, “vendicato”. Viene in mente la battuta di Chesterton in quale osservava che, mentre la Chiesa consente poche cose ma perdona tutto, il mondo consente tutto ma non perdona niente. Ciò che colpisce è la forza della macchia indelebile: chi commette un errore viene inchiodato a quell’errore (da questo punto di vista è emblematica la Rete, priva del diritto all’oblio) e delegittimato, escluso dalla possibilità di riscatto.

Un grande scrittore americano, Francis Scott Fitzgerald, ha affermato che «negli Usa non è previsto un secondo atto, una seconda possibilità», il che è paradossale, nella “terra delle opportunità”, però sembra realistico se si osservano tutti questi film così cupi e violenti. E qui la questione non è più etica ma spirituale e chiama in causa il cristianesimo, che invece è proprio la religione della seconda possibilità, da Noè e la sua famiglia che ripartono dopo il diluvio fino a Cristo che torna dai suoi “amici”, traditori, rinnegatori e codardi, per dirgli: forza, riproviamoci insieme!

In questi dieci anni Papa Francesco non si stanca di ripetere che Dio non si stanca di perdonarci. La sua parola porta la luce del perdono, ma sembra che il mondo abbia preferito le tenebre, quella notte che è l’unico luogo dove si può aggirare l’uomo giustiziere.

di Andrea Monda