· Città del Vaticano ·

Diario ucraino/5

Il sorriso perduto
della piccola Masha

 Il sorriso perduto della piccola Masha   QUO-193
24 agosto 2023

Cosa significa vivere sotto le bombe? Lo provo personalmente a Poltava, quando di notte scatta l’allarme aereo. Le sirene suonano come pochi potevano prevedere accadesse ancora una volta nel cuore dell’Europa. In teoria dovremmo scendere nel bunker, ma ormai quasi nessuno lo fa; specie qui, dove non ci sono stati eventi catastrofici, si spera che i missili vengano distrutti prima che esplodano, o meglio ancora che non si dirigano nel punto in cui siamo. Anche stamattina, mentre facevamo colazione, ne è suonato un altro, eppure tutti hanno continuato a comportarsi in modo normale, senza scomporsi più di tanto. Incurante del lugubre sibilo una mamma scattava le fotografie insieme a sua figlia accanto alla statua di Gogol’, la cui voce sembrava sussurrare nell’aria: «Io amo assai la vita modesta di quei possidenti isolati dei villaggi remoti che nella Piccola Russia comunemente si chiamano “del vecchio mondo”, i quali, come le pittoresche casette decrepite, son belli per la loro semplicità…».

Alcuni sostengono che Vladimir Putin finora abbia risparmiato questa città perché nel 1709 Pietro il Grande vinse proprio qui la grande battaglia contro gli svedesi, bloccandone l’ascesa. Si tratta, come è ovvio, di una delle tante leggende metropolitane fiorite in questi terribili mesi. Ma la guerra non distrugge soltanto le case. Produce molti danni anche nelle coscienze. Avvelena i pozzi. Altera il rapporto con la realtà. Impedisce per lungo tempo qualsiasi riconciliazione.

Da quando la Russia ha iniziato il conflitto, i ragazzi non possono più frequentare la scuola: quasi sempre, ancora adesso, si limitano a farlo da remoto, come negli anni della pandemia. Tale condizione ha creato un’emergenza pedagogica nazionale, mi spiega Francesco Fornari, rappresentante dell’Avsi in questo Paese, organizzazione no profit fra le più attive nel campo dell’istruzione, tesa a finanziare le azioni di recupero e sostegno rivolte verso gli alunni privati della formazione culturale. È lui a guidarmi nel viaggio verso la “tenebra educativa” ucraina dove le macerie sono il triste avvilimento dei più piccoli e le soccorritrici hanno lo sguardo fermo e deciso di Olena Holtvianyisia, preside del 17 Lyceum Intelekt, alla periferia di Poltava, fra casermoni post-sovietici e giardini ben curati.

La prima volta che fu costretta a scendere coi suoi scolari nello shelter nell’istituto, come viene chiamato il rifugio anti-aereo, provò un’emozione indelebile. Osservare la paura dei ragazzi deve averla segnata per sempre. Ci mostra con orgoglio e fierezza la rete di passaggi interni predisposta per attrezzare le aule sotterranee con generatori elettrici, tavoli e sedie, ventilatori, lavagne e banchi. Risaliamo per vedere gli allievi al lavoro: avranno dagli 8 ai 12 anni, stanno creando con le loro mani dei pupazzetti colorati, ci salutano educati. Mi dicono che qualche studente parla italiano. Vado subito verso quel gruppetto e chiedo chi conosce la mia lingua. Alza la mano credo la più piccola. Si chiama Masha, una bambina delle elementari, bionda e con gli occhi dolcissimi. Dice di essere stata un anno a Lariano, vicino a Roma, insieme alla sorella più grande. Si ricorda benissimo il nome della scuola: “Leonardo da Vinci”. Ora è tornata in patria. Si esprime con grande correttezza. Non sorride mai, come se avesse introiettato il dramma appena vissuto. La sua serietà mi tocca nel profondo, mi fa capire tutto l’assurdo di questa storia, di ogni guerra, passate e future. Vorrei portarla in salvo, lo desideriamo tutti nella grande aula. Poi entra un pagliaccio travestito da Patron, il cane anti-mine più famoso d’Ucraina, al quale il presidente Volodymyr Zelensky ha dato un premio, facendolo diventare un eroe. Giochiamo, danziamo, cantiamo e scherziamo insieme a lui. Eppure la piccola Masha resta triste, laggiù in fondo al tavolo. Non riesce proprio a staccarsi di dosso la malinconia. Quando gli allarmi finiranno e le armi cesseranno di sparare, lo so, sarà lei a chiederci il conto.

di Eraldo Affinati