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Diario ucraino/4

Là dove si cura il futuro

 Là dove si cura  il futuro    QUO-192
23 agosto 2023

Alle prime luci dell’alba, in un giorno d’agosto, ancora oggi, nonostante la guerra, Kyiv può essere meravigliosa. Appena esco dalla stazione resto incantato a guardare i grattacieli che emergono come soldati di una truppa impolverata nel vapore in dissolvenza, fra le cupole dorate della cattedrale di Santa Sofia, là dove tutto cominciò, i lampioni elettrici e i cantieri degli edifici in continua ristrutturazione. La vasta rete stradale, con i marciapiedi larghissimi e spaziosi, sembra una replica di quella moscovita. La piazza di Maidan con il memoriale dei caduti, decine di bandierine azzurre in mezzo ai ritratti fotografici della generazione decapitata. I manifesti che incitano i giovani ad arruolarsi. I carri armati davanti alla chiesa di Sant’Andrea. Le venditrici di frutta e magliette nei sottopassaggi pedonali. Il murale di Putin posto alla sbarra, processato dai giudici in toga e l’altro, a poca distanza, che ricorda la rivoluzione bolscevica, non ancora cancellato. Le giovani cantanti e suonatrici di esotici strumenti a corda, sedute sui gradini davanti ai tornelli della metropolitana. Il magnifico fiume dell’antica frontiera cosacca.

Tutto mi fa tornare alla mente La guardia bianca, il capolavoro giovanile di Michail Bulgakov: per lui Kyiv era semplicemente la Città. Alla quale egli dedica descrizioni strepitose, come quella che inaugura il quarto capitolo: «Bellissima nel gelo e nella nebbia sui monti, al disopra del Dnepr». La collina Vladimirskaya viene definita «il più bel posto del mondo».

Tuttavia la tempesta scatenata dai russi mi obbliga a volgere la testa altrove. Per questo Nicole, anima italiana lucida e appassionata di Medici con l’Africa Cuamm in Ucraina, mi fa incontrare Sergij Chernishuk, direttore sanitario dell’ospedale pediatrico Ohmatdyt di Kyiv, uno dei più antichi della capitale. Questo medico non ha ancora compiuto 42 anni, ma parla con la sicurezza e l’acribia di un veterano. Del resto sappiamo come funziona: in guerra i sergenti fanno presto a diventare ufficiali, i capitani diventano generali in un battibaleno.

L’androne è pieno di mamme con bambini. Nei mesi successivi alla prima emergenza i reparti accoglievano intere famiglie costrette a fuggire davanti all’avanzata nemica. L’associazione dei medici missionari italiani ha dirottato verso questo nosocomio una cospicua parte dei finanziamenti ottenuti, in mancanza dei quali non sarebbe stato possibile reggere l’urto dei bisognosi d’aiuto. Sergij racconta il dramma dei piccoli orfani, provenienti da Mariupol e Kherson, le procedure necessarie per l’affidamento ai parenti superstiti, le strategie terapeutiche di gruppo messe in atto affinché questi bambini possano elaborare il trauma patito imparando a costruire buone relazioni sociali: nel caso in cui non fossero guidati a farlo in modo giusto e corretto, la loro ferita interiore potrebbe iniziare a sanguinare anche molto tempo dopo l’accaduto, rischiando di minare l’equilibrio psichico degli adolescenti. Non si può diventare adulti consapevoli senza aver attraversato questo “cerchio di fuoco”.

Allora comprendo che a Ohmatdyt ci si prende cura del futuro ucraino. L’azione di questi operatori non è meno importante di quella, fondamentale, dei medici militari al fronte. Ecco perché l’iniziativa di Papa Francesco, tesa a mettere al sicuro specialmente i più fragili, attraverso la recente missione del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, è stata molto apprezzata. Eppure, mentre scendo le scale scheggiate dell’istituto sanitario, non riesco a trattenere una specie di amarezza. La stessa inquietudine che mi fa tornare a La guardia bianca. Il cui finale recita così: «Tutto passerà. Le sofferenze, i tormenti, il sangue, la fame e la pestilenza. La spada sparirà, ma le stelle resteranno anche quando le ombre dei nostri corpi e delle nostre opere non saranno più sulla terra. Non c’è uomo che non lo sappia. Perché dunque non vogliamo rivolgere lo sguardo alle stelle? Perché?».

di Eraldo Affinati