· Città del Vaticano ·

Diario ucraino/3

Quel treno per Kyiv

 Quel treno per Kyiv  QUO-191
22 agosto 2023

Scrivo queste note sul treno notturno che da Černivci mi porterà a Kyiv. Partenza alle 17.00, arrivo previsto alle 6.20 del giorno dopo. Accanto a me una madre sventola il ventaglio insieme alla figlia, entrambe ridono sgranocchiando patatine fritte: raramente ho sentito una naturalezza simile a quella che provo adesso viaggiando insieme a loro.

Secondo l’applicazione Air Alert appena scaricata sul cellulare, la capitale ucraina ha avuto almeno tre allarmi aerei soltanto oggi, eppure non sono in apprensione. Forse, dico a me stesso quasi scherzando, dipende dalla benedizione ricevuta stamattina: padre Yosafat Moschych, vescovo della chiesa cattolico-greca di Černivci, intitolata alla Madonna dell’Assunzione, 47 anni, occhi azzurro elettrici, dopo aver celebrato la messa, di fronte a una folla composta soprattutto da donne e bambini, mi ha disegnato la croce sulla fronte bisbigliando la formula di rito con una serietà impressionante.

Poco prima avevo chiesto a padre Michele Pankiv, ventenne sacerdote di Ivano Franchivs’k, dove fra poco farò tappa, come potesse conciliare pace e giustizia. Lui, poco più che un ragazzo, è rimasto in silenzio per molti secondi prima di parlare. Non posso rispondere ora a questa domanda, ha affermato, perché sono un uomo ferito, visto che in questa guerra ho perso tre cugini e un amico fraterno. Mi mostra le loro foto: giovanissimi e felici. Allora gli chiedo la ragione per cui ha scelto il sacerdozio. Dice che da adolescente, quando pregava, sentiva crescere dentro di sé un amore che avrebbe voluto condividere: mi è sembrata una dichiarazione di poetica nella quale è racchiusa molta parte del cristianesimo. Michele — come l’arcangelo di cui porta il nome e il cui monumento è posto di fianco alla chiesa nella memoria delle guerre novecentesche — appare deciso e determinato, ancorché amaramente consapevole del male umano. Ci tiene a precisare che la sua preghiera adesso la rivolge anche verso i nemici: se così non fosse, se trionfasse l’odio, il diavolo (usa proprio questa parola) resterebbe inciso nel suo animo e non ci potrebbe essere una vera pace, ammesso e non concesso che i rappresentanti delle nazioni contrapposte riuscissero a formalizzarla nei loro protocolli.

Il treno caracolla nel folto della vegetazione prima di sbucare nella vasta pianura dove Egoruska, il dodicenne protagonista dell’opera La steppa di Anton Čechov, compie la propria educazione sentimentale viaggiando a cassetta vicino al conducente: «Per la rapidità della corsa, la camicia rossa gli si gonfiava come una vescica sulla schiena e il cappello nuovo ornato di una penna di pavone gli scivolava di continuo sulla nuca».

Osservando il paesaggio dal finestrino cerco di ritrovare la sua stessa stupefazione: cielo, grano e girasoli. Il manto erboso si diffonde compatto a perdita d’occhio oltre l’orizzonte. Non sembra possibile che stasera questa luce piena scomparirà, ora pare essere eterna. Eppure i droni la solcheranno di sicuro, lanciati apposta da uomini come noi impegnati a uccidere altri simili. Mi preparo alla prossima oscurità ucraina alla maniera di un monaco della letteratura perché so già che fra poco transiterò vicino a Berdyčiv dove nacquero Joseph Conrad e Vasilij Grossman: il primo ha contribuito a edificare, viaggiando dagli arcipelaghi malesi alle foreste pluviali africane, le basi interiori del sentimento slavo; il secondo ha scritto parole che riecheggiano come grida nella notte: «Ove manca la libertà umana, non può esistere libertà nazionale, giacché la libertà nazionale è innanzi tutto libertà dell’uomo».

Qualche ora fa, un bambino sul piazzale antistante la chiesa manovrava piccole astronavi. A un certo punto me ne ha fatto passare una sulla testa accompagnando il gesto con un verso che avrebbe voluto essere il rombo del motore. Il giocattolo gli è scivolato a terra finendo per incastrarsi nella scanalatura tra una pietra e l’altra. Prima che lo raccogliesse, ho visto che era un lanciarazzi verde con la punta rossa.

di Eraldo Affinati