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La buona Notizia
Il Vangelo della XX domenica del tempo ordinario (Matteo, 15, 21-28)

È l’umiltà che rende grande la fede

 È l’umiltà che rende grande la fede  QUO-189
19 agosto 2023

La vita spirituale non è scientificamente misurabile ma per via empirica possiamo affermare che la grandezza della nostra fede è inversamente proporzionale all’ingombro del nostro ego. Quanto più siamo capaci di umiliarci, tanto più siamo capaci di affidarci a Dio. Quanto più siamo capaci di mettere da parte noi stessi, tanto più diamo a Dio lo spazio per agire nella nostra vita.

Un interessante caso studio di questa equazione si trova nel Vangelo. È l’episodio dell’incontro tra Gesù e una donna cananea proveniente dalla zona di Tiro e Sidone. Questa si rivolge a Gesù perché sua figlia sta male e chiede un miracolo di guarigione. Gesù, inaspettatamente, tira dritto senza darle retta e si giustifica così: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». Ma la donna non si dà per vinta, si prostra davanti a Gesù e implora aiuto. Niente da fare: si sente rispondere da Gesù che il pane dei figli non si dà ai cani. Un’umiliazione che brucia, non c’è dubbio, eppure proprio a questo punto la donna trova la forza di compiere l’atto di fede più grande: «È vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Gesù se ne accorge, rimane impressionato ed esaudisce il desiderio della donna, perché «grande» è la sua fede.

Si tratta di un episodio molto strano perché Gesù ai nostri occhi — noi che abbiamo categorie culturali completamente diverse rispetto a quelle dell’epoca — fa una figura quasi meschina: non dà ascolto a una donna che gli chiede aiuto per sua figlia e anzi le dà del cane. Sul perché Gesù abbia risposto così sono stati scritti fiumi di pagine nel corso della storia, ma non è su questo che ci vogliamo concentrare ora. Ciò che possiamo constatare è che, di fatto, la scontrosità di Gesù mette alla prova la fede della donna cananea e la rafforza. Più Gesù le risponde male, più lei si umilia; più lei si mortifica, più si manifesta la sua fiducia in Dio. Avrebbe potuto andarsene offesa oppure gettare la spugna avvilita, invece di fronte a quella prova trova la libertà di mettere da parte il proprio ego, la ricerca di riconoscimento e la pretesa di aver ragione. In quel momento si crea nel suo cuore lo spazio in cui la potenza di Dio riesce a inserirsi in maniera significativa. E avviene il miracolo.

Di fronte alle dure e ruvide prove della vita, di qualsiasi tipo esse siano, abbiamo due possibilità: chiuderci in noi stessi nel tentativo di difendere il nostro io, oppure aprirci totalmente e affidarci a Dio. La fede è la relazione di fiducia che lega il nostro io con Dio e che permette alla sua potenza di irrompere dentro la nostra esistenza. Per questo Gesù afferma che basta un granello di fede per poter dire a un monte «Spostati!», ed esso si sposterà. Ma solo chi è umile, quindi libero e distaccato persino da se stesso, riesce ad avere la fede che smuove le montagne e fa accadere i miracoli. Tutti vorrebbero che Dio facesse i miracoli. Non tutti, però, sono disposti a lasciare a Dio lo spazio di agire. Senza umiltà rimane sul palco soltanto il nostro ego ma, per quanto possiamo essere capaci, rimaniamo irrimediabilmente limitati. L’umiltà è l’unica via per diventare davvero grandi. Non è matematico, però il Vangelo, e l’esperienza, confermano che è così.

di Alberto Ravagnani