«Io ti amo», dice l’amante all’amato. E, quando va bene, l’altro risponde con le stesse parole. E allora va non bene ma benissimo, è un miracolo che si compie davanti ai loro occhi. Gli occhi giocano un ruolo fondamentale in fatti d’amore. Perché nello sguardo c’è già un po’ tutto, il segreto di questo mistero che chiamiamo amore: «L’unica vera lezione / Consiste nel guardare / Cose che si muovono o appena prendono colore» canta il poeta irlandese Patrick Kavanagh nella lirica Is e avverte subito che anche il silenzio è richiesto: «Senza commenti da parte del filologo. / Stare a guardare è abbastanza / Quando è questione di amore».
E se volessimo fare i filologi il rischio è proprio di essere presi da quella «fretta che l’onestade ad ogn’atto dismaga» di cui parla Dante nel canto terzo del Purgatorio, cioè togliere il decoro (e la magia) proprio dall’atto, l’amare, più grande che ci sia per gli uomini. Il filologo infatti si potrebbe chiedere: ma cosa sto dicendo quando dico «io ti amo»? Io amo te. Ma forse quel «ti», con una forzatura grammaticale, si potrebbe declinare al dativo e tradurlo «io amo a te», come a dire: «io dono amore a te», appunto dativo. Jacques Lacan osservava come «amore è donare quello che non si ha». Senza addentrarci troppo si potrebbe dire che in effetti amare non è il dono di qualcosa ma di qualcuno: l’amante non dona cose, oggetti, ma se stesso, la propria vita, il proprio tempo, tutte cose che non si posseggono ma si vivono. Amore e vita, dunque, anche con l’accento: amore è vita. Vita e quindi morte. Una felice, struggente e drammatica, intuizione è quella di Gabriel Marcel: «Quando un uomo dice a una donna “ti amo”, le dice: “tu non morirai”». Sono in molti che riconducono in effetti la parola «amore» alla negazione della morte, a-mors. Ma qui conviene fermarsi sulla soglia e non aggiungere altre voci agli infiniti commenti che dell’amore hanno usato e abusato. Anche se rimane profondamente vera l’affermazione di Christian Bobin: «Ti amo — questa parola è la più misteriosa che ci sia, l’unica degna di essere commentata per secoli». (andrea monda)
di Andrea Monda