· Città del Vaticano ·

A colloquio con l’arcivescovo siriano Mourad, nel 2015 per cinque mesi prigioniero di estremisti islamici

Pregando per i rapitori che volevano tagliargli la testa

 Pregando per i rapitori  che volevano  tagliargli la testa  QUO-184
10 agosto 2023

Il 5 luglio Papa Francesco ha costituito, presso il Dicastero per le Cause dei santi, la Commissione dei nuovi martiri - testimoni della fede. In questo contesto i media vaticani hanno raccolto la testimonianza di monsignor Jacques Mourad, arcivescovo di Homs dei Siri.

Rapito nel 2015 in Siria e trattenuto per 5 mesi dai jihadisti del sedicente Stato islamico prima di riuscire a fuggire, monsignor Jacques Mourad, arcivescovo di Homs dei Siri, è stato vicino al martirio. «Convertiti o ti tagliamo la testa», lo avevano minacciato i suoi rapitori. Questa frase, pronunciata come un ultimatum, lo ha messo — lui che a quel tempo era solo un sacerdote — davanti ai voti della sua ordinazione. «Ero esattamente in questa posizione — ricorda — o continuo a portare la Croce fino alla morte con Cristo per amore della Chiesa e per la salvezza del mondo, oppure rinuncio ma allora rinuncio anche alla mia vocazione».

Una scelta scontata

Capì che avrebbe continuato a portare la Croce, «ma non solo per portare la Croce, bensì anche con il pensiero ai miei rapitori», dice l’arcivescovo e aggiunge: «Il dono che ho ricevuto da questa esperienza è di guardare queste persone, i jihadisti, in spirito di preghiera per chiedere a Dio di illuminare il loro cuore, di convertirli. Non per me, ma per la loro salvezza e per la pace del nostro mondo».

Questa totale fiducia rinnovata in Dio «mi ha liberato da tutte le paure». «Quando ti trovi faccia a faccia con la morte, c’è un certo sentimento di paura che penetra la nostra anima. Ogni volta che sentivo questa paura pregavo il Rosario, la paura passava e si trasformava in coraggio».

Un tempo di grazia

«Oggi considero questa esperienza una grazia, una grazia iniziata l’ottavo giorno, poco prima del tramonto». Monsignor Mourad racconta che alla fine della sua prima settimana in ostaggio riceve la visita del governatore di Raqqa, senza sapere che l’uomo che aveva davanti era il capo del sedicente Stato islamico in Siria. «Quando gli ho chiesto: “Perché siamo prigionieri, cosa abbiamo fatto di male per essere tenuti prigionieri?”, il capo islamista mi ha risposto: “Considerate questo tempo come un tempo di ritiro”. Questa sua risposta ha sconvolto il resto della mia vita», afferma l’arcivescovo e confessa che mai si sarebbe aspettato una risposta del genere da un leader estremista a capo di un gruppo tra i più sanguinari, un nemico! «Anche se per un discepolo di Cristo non esistono nemici e, se pure ci fosse, dobbiamo amarlo». Il vescovo prosegue la sua riflessione: «Come si può amare un nemico che ti vuole uccidere, e che tu vorresti uccidere? Questo è il mistero dell’amore di Cristo che si è rivelato in modo così chiaro, quando sulla croce dice “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”».

Jacques Mourad è evaso nel quinto mese di detenzione, aiutato da un giovane musulmano che con una quindicina di altri ha organizzato la fuga di decine di ostaggi. «Dio ha voluto salvarmi in questo mondo perché io continuassi a servire e per testimoniare l’importante principio evangelico: se vuoi la pace, comincia ad aprire il tuo cuore».

Il martirio del gesuita Frans Van der Lugt

Un anno prima del suo rapimento, sempre a Homs, il gesuita olandese Frans Van der Lugt era stato assassinato nel giardino del suo convento. Nel 2015, Jacques Mourad sapeva molto bene a cosa andava incontro con i suoi carcerieri jihadisti. «Padre Frans era per me e per tutti i siriani l’esempio stesso della fedeltà al suo Signore, Gesù Cristo. Egli aveva dedicato la sua vita all’amore per la Siria e per il popolo siriano». Il suo esempio, prosegue monsignor Mourad, è quello del Cristo incarnato che porta a tutti il messaggio dell’amore del Padre, «e la vera salvezza non può arrivare se non con l’amore e il dono di sé».

La scomparsa
di padre Paolo Dall’Oglio

In occasione del decimo anniversario della scomparsa di un altro gesuita, Paolo Dall’Oglio, di cui non si hanno notizie dal 2013, è stata celebrata una messa a Roma. Alla commemorazione era presente monsignor Jacques Mourad. Lui e padre Dall’Oglio avevano condiviso quasi 30 anni di vita insieme. Con le maniche rimboccate, i due uomini hanno restaurato insieme il monastero di Mar Musa. Si conoscevano dal 1986: «Conoscevo padre Paolo come conosco me stesso e l’ho amato come amo me stesso. Per me è un martire vivente. È veramente un martire vivente, che sia morto o che sia ancora vivo». L’arcivescovo approfondisce: «Un martire è qualcuno che vive sempre nella memoria della Chiesa, nel cuore della Chiesa e del popolo di Dio». Padre Paolo, racconta monsignor Mourad, ha davvero sostenuto l’esistenza di molte persone. «Le persone venivano da ogni parte» per incontrarlo. «Se si mettessero insieme i messaggi e le lettere, ricevuti o inviati, se ne potrebbe fare una enciclopedia», continua accennando un sorriso. «Era sempre presente per tutti, per il più piccolo come per il più grande, per l’ignorante come per il sapiente, per il credente come per qualsiasi altra persona».

La preghiera

«Posso testimoniare che la preghiera è l’unica cosa che ha dato un senso alla mia prigionia, alla mia vita di ogni giorno». Per monsignor Mourad, essere prigioniero è la cosa peggiore che possa essere inflitta all’essere umano creato a immagine di Dio, «creato libero, libero di pensare, libero di parlare, libero nei suoi movimenti». «Dio ci ha fatto questo dono», afferma, e fare di un uomo un prigioniero è «un atto che va contro la volontà di Dio nella sua creazione». E in questo quadro, sottolinea, «la sola pratica che aiuti una persona a vivere questa libertà essenziale è la preghiera, perché è questa che permette di uscire da sé stessi per essere con Dio e per vivere con colui che amiamo». Paradossalmente, conclude, questo periodo di prigionia è stato «il tempo più fecondo nella mia vita spirituale, nel mio rapporto con Dio e con la Vergine Maria».

di Jean Charles Putzolu