
Un’occasione mancata che, al contempo, è una spinta a un impegno maggiore. I Paesi dell'Amazzonia, riuniti per il loro vertice fino a ieri a Belém do Pará, in Brasile, non sono riusciti a trovare un accordo per un’azione concreta contro la deforestazione. La Dichiarazione comune adottata nel corso dei lavori dalle delegazioni della nazione ospitante e di Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela, non ha soddisfatto le aspettative degli esperti riguardo all’adozione congiunta di misure per preservare il bioma: a mancare, si sottolinea, è l’obiettivo comune per la deforestazione zero entro il 2030, punto sostenuto dal presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva. Nel documento, i Paesi amazzonici richiamano «l’urgenza» di concordarlo entro quella scadenza «per combattere la deforestazione e sradicare e fermare l’avanzata dell’estrazione illegale di risorse naturali». Ma, è stato evidenziato nei colloqui, non possono rinunciare allo sfruttamento delle loro risorse petrolifere perché i Paesi sviluppati non hanno rispettato i loro impegni in materia di finanziamento dello sviluppo sostenibile nella regione: non sono stati mobilitati i «100 miliardi di dollari l’anno in nuovi e ulteriori finanziamenti per il clima», ha detto il presidente brasiliano ad una platea allargata anche agli inviati di Francia, Norvegia, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica del Congo, Indonesia. «La povertà è un ostacolo alla sostenibilità», ha aggiunto, in quella che è stata letta come una risposta alle critiche non solo di ambientalisti e studiosi che hanno giudicato la Dichiarazione di Belém come «poco ambiziosa», ma anche di quelle interne all’alleanza regionale e al suo stesso governo sull’apertura allo sfruttamento delle riserve di petrolio alle foci del Rio delle Amazzoni. Il prossimo vertice, è stato stabilito, si terrà nel 2025 in Colombia, ancora una volta per tentare di salvare il più grande polmone verde della terra.