«Fu interamente un “curato” e questo non succede spesso. Lo fu così completamente che l’ultimo villaggio di Francia ebbe il primo curato di Francia, e la Francia tutta intera si mise in viaggio per andare a vederlo». Le parole del drammaturgo Henri Ghéon su Jean-Marie Baptiste Vianney fanno immaginare i lunghi e faticosi tragitti percorsi quotidianamente in treno da centinaia di persone che, a metà Ottocento, desideravano raggiungere il segaligno sacerdote di Ars-sur-Formans, di cui oggi ricorre la memoria liturgica. I vagoni della linea Parigi-Lione ospitavano gente d’ogni ceto, notabili e uomini della strada, cittadini e contadini, intellettuali e analfabeti. Ma, a differenza di quanto può accadere ai giorni nostri, durante il lungo viaggio non succedeva spesso che ragazzi chiassosi e magari un po’ maleducati riuscissero a infastidire contegnosi e raffinati lettori di gazzette internazionali: all’epoca, nonostante e in conseguenza dei rimescolamenti di carte della storia giocate sui tavoli di rivoluzioni, restaurazioni, repubbliche ed imperi, le distinzioni fra le classi delle carrozze (si vedano al proposito i disegni dell’artista marsigliese Honoré Daumier) rispecchiavano assai più precisamente di adesso quelle sociali, e le relazioni “ferroviarie” fra esse erano azzerate. Molti di quei viaggiatori da Lione proseguivano verso Ars, per l’appunto. Negli ultimi vent’anni dell’esistenza del sacerdote il servizio di trasporti che copriva i trentacinque chilometri di distanza tra la Città dei due fiumi e il piccolo villaggio dell’Ain era andato sempre più irrobustendosi per consentire ai circa quattrocento pellegrini giornalieri di raggiungere il confessionale in cui praticamente viveva. «Convertiva tutti coloro che arrivavano fino a lui», continua Ghéon, «e se non fosse morto avrebbe convertito tutta la Francia». Quelle persone che il treno provvedeva a mantenere separate irrigidendo ed evidenziando strutturalmente i diaframmi sociali e culturali si ritrovavano per qualche ora o qualche giorno l’una accanto all’altra. In tali momenti il riconoscimento della nudità del proprio cuore ferito che cercava perdono e pace faceva saltare ogni distinzione, e il sacerdote di Ars stava là ad abbracciare e condividere quella comune povertà, che avvertiva acutamente come propria: «Fu promosso Canonico, poi Cavaliere della Legione d’Onore, poi fu ritenuto un santo. Ma, finché visse, egli non ne capì mai il perché», conclude il drammaturgo. Lo intuivano però quei viaggiatori, tutti, a prescindere dalle carrozze ferroviarie di provenienza, mendicanti della grazia del perdono di Dio che traspariva dalla voce e dai gesti del piccolo curato francese. (paolo mattei)
di Paolo Mattei