
Molto di quanto viene proposto da Papa Francesco nell’enciclica Laudato sì’ si può vivere durante gli anni da studente all’Università cattolica. A dirlo è Tomás Virtuoso, di 29 anni, di Lisbona, con laurea e master in economia alla Catholic Lisbon school of business and economics dell’Università cattolica portoghese. È il primo giovane a rivolgersi al Pontefice, durante l’incontro con gli universitari.
Tomás e la «Laudato si’»
Tomás spiega di aver fatto l’esperienza dei principi della Laudato si’ sui banchi delle aule o della biblioteca e nella «straordinaria esperienza della Missione Paese, sia ancora nel progetto Economia di Francesco», come nelle «tante amicizie che ho stretto qui, le quali mi ricordano che la mia vita acquista scopo e grandezza quando è vissuta con gli altri e al loro servizio».
Tomás — che è anche studente al seminario maggiore di Cristo Re (Olivais) del Patriarcato di Lisbona al 2° anno di teologia — ha spiegato che nel suo percorso accademico, l’Università cattolica portoghese è stata un luogo «di trasversalità di saperi», in cui tutto viene percepito come «connesso e interdipendente, di rinnovato stupore davanti alla bellezza della realtà creata, sia in un’equazione matematica che in un testo di sant’Agostino, e di incontro profondo con Dio, che tutto sostiene e a tutto dà senso». Soffermatosi a riflettere sull’importanza dell’enciclica, sottolinea quanto essa incoraggi «a mettere in campo sempre più il meglio della scienza, riponendo fiducia nel dono divino della ragione, per continuare a trovare soluzioni efficaci nelle sfide che ci si presentano». E rimarca che essa chiede di «respingere il progresso tecnologico che non abbia una forte radice etica e spirituale, che non assicuri il rispetto dell’inviolabile dignità della persona e di tutto il creato». In terzo luogo, l’enciclica «porta alla ferma decisione di vivere secondo le esigenze del bene comune, principio strutturante della dottrina sociale della Chiesa». Inoltre da un lato «stimola a una conversione di vita, della testa, del cuore e delle mani e dall’altro incoraggia a una partecipazione politica e sociale più impegnata», che metta al centro «l’opzione preferenziale per i poveri». Infine, il giovane vi individua un incoraggiamento «a evangelizzare, ad affermare senza paura che non è possibile un’autentica ecologia integrale senza Dio, che non può esserci futuro in un mondo senza Dio». Quindi Tomás ricorda che nel corso del iv congresso internazionale sulla cura del creato, ospitato dall’Università ospitato all’inizio della settimana su iniziativa della Fondazione Giovanni Paolo ii per la gioventù, tutti si sono impegnati «con l’ecologia integrale». E conclude consegnando al Papa il Manifesto frutto del lavoro dei partecipanti, «circa gli stili di vita per una umanità nuova», nella certezza che «Cristo, Dio vivo e vero, è la risposta a un mondo che cerca un senso tra le gioie e i dolori del tempo presente».
Mariana e il Patto educativo globale
È stata poi la volta di Mariana Craveiro, di 21 anni, originaria di Porto, con laurea breve in psicologia alla Facoltà di educazione e psicologia nel centro regionale di Porto dell’Università cattolica portoghese. Mariana — che dal settembre 2023 sarà studentessa della laurea magistrale in psicologia della giustizia e del comportamento deviante — osserva che il suo percorso universitario converge sui principi con i quali il Papa «ha convocato il mondo accademico con la proposta di un Patto educativo globale». La studentessa ha fatto notare di aver fatto il suo ingresso all’Università cattolica nel 2020, in piena pandemia. In tale contesto, attraverso il programma “Cattolica solidale”, l’ateneo l’ha aiutata a capire «l’urgenza di mantenere come priorità la persona umana», e così ha potuto ogni settimana aiutare a servire pasti ai senzatetto e ai bisognosi nel centro della città di Porto.
Questa esperienza, aggiunge Mariana, è stata solo un punto di partenza, «il modo in cui Dio mi ha insegnato che questo servizio di accoglienza ai più vulnerabili ed esclusi doveva essere una priorità nei miei giorni di studente, come membro di una “Chiesa in uscita”». Negli ultimi anni ha collaborato con un’istituzione che sostiene persone disabili e ha potuto rendersi conto «dell’impatto della speranza e della gioia donate e ricevute».
L’Università cattolica, osserva la ragazza, l’ha messa in contatto con la metodologia “tirocinio-servizio”, che le ha dato una comprensione più inclusiva «dei temi curriculari e maggiore certezza circa la responsabilità civica che porta con sé l’educazione». In tale contesto, ha fatto volontariato nella clinica psichiatrica di un carcere. «Mi sono tuffata dentro questo progetto — spiega — con testa, mani, cuore e anima, e siamo riusciti a raggiungere traguardi alti, facendo sì che, ad esempio, 28 detenuti con problemi di salute mentale riconoscano le loro potenzialità e sperimentino la “libertà dei talenti”».
Mariana ha riconosciuto che mai le è mancato «il contributo della comunità educativa, con le condizioni e gli strumenti necessari per poter crescere integralmente come giovane e come donna». Da qui l’impegno ad «essere abbraccio di riconciliazione e di pace nel servizio alla comunità e si è detta sicura che Dio la invita «a sognare il mio cammino tra i più esclusi». Come futura psicologa, ha evidenziato, il suo dovere «consiste nell’accogliere tutti senza discriminazioni e nell’accettare gli altri così come sono, indipendentemente dalle condizioni in cui vivono o dal loro passato».
Ha detto poi di essere protagonista del cambiamento, e non giovane «alla finestra che vede passare il mondo», ma di voler «applicare professionalmente ciò che ho imparato per raggiungere i più vulnerabili e aiutare a scrivere nuove storie e paradigmi per un mondo più giusto e più credente».
Mariana osserva che la generazione dei giovani di oggi vuole essere felice. «Mi rendo conto con gioia — conclude — di trovarmi circondata da giovani protagonisti, intraprendenti e pronti a “far rumore” con quell’entusiasmo, impegno e speranza che trasformano il mondo». I giovani cristiani hanno «una gran voglia di contagiare gli altri e mostrar loro che vale la pena rischiare con Dio. So che Dio è giovane, e lo vedo giorno dopo giorno in ognuno di noi».
Nella lingua portoghese c’è un’espressione che si usa quando si vuole aiutare qualcuno: chamar à razão (farlo ragionare). È proprio la ragione che deve rimanere «al servizio della comunione». Racconta così al Papa la sua esperienza Beatriz Ataíde, di 27 anni, nata a Lisbona, studentessa presso la Facoltà di filosofia e scienze sociali.
Beatriz e l’Economy of Francesco
Beatriz è anche membro dell’hub Economia di Francesco, e così, da «agente culturale in senso lato» confida di provare «gioia nel portare l’arte della contemplazione in mezzo alla gente». Il suo obiettivo è «aiutare a pensare e a vivere la vita sulla base dei principi di carità, di pace e di verità».
La giovane ricorda il consiglio di sant’Ignazio: «è di aiuto l’impegno con il poco, il piccolo e il possibile». In questo momento, aggiunge, si sta impegnando a terminare il corso di filosofia «con effettivo e affettivo profitto». Essenziale per questo è possedere «la buona abitudine della preghiera, per crescere giorno dopo giorno in fiducia nella Provvidenza e apertura allo Spirito Santo». Poi dice che i suoi studi si collocano «al culmine di un lungo processo di discernimento». In effetti, racconta di essersi piano piano resa conto che, «qualunque sia la forma vocazionale che possa assumere la mia vita, il mio anelito di maturare passa sempre attraverso il prendermi cura degli altri». In particolare, si sente chiamata da Dio ad «aiutare a rialzare i cuori feriti dal peccato». Così, dopo la conversione, ha avuto diverse esperienze che le hanno fatto concludere come sia «a partire dal campo della cultura» che si sente «chiamata a essere benedetta da Dio, a scoprire» sé stessa, «a scoprire Lui e ad agire». Infatti, come «lievito in mezzo alla pasta, come sale della terra», è nella cultura del villaggio, in quella della gente, «nella cultura della terra con le sue canzoni» che desidera trovarsi “vigilante”. E con la Chiesa, «in favore di una buona e sana cultura». Una grande conferma di ciò è il rendersi conto che, «già prima della mia conversione al Dio di Gesù Cristo, lo Spirito Santo mi incamminava in questa direzione in quanto battezzata». Da quel tempo le è rimasto anche un grande interesse per la domanda su cosa significhi vivere ed essere persona, e sul senso della sofferenza.
Così la filosofia emerge come «la via attraverso la quale Dio mi rende capace di assumere sempre più questa cura per i miei fratelli e per me stessa, per i quali Gesù Cristo tanto soffre». Beatriz ha scoperto il «grande dinamismo che promana dallo studio della filosofia per lavorare sulle virtù, ma anche per creare legami di amicizia nella comune ricerca della Verità, che è Cristo, e per combattere lo sradicamento culturale».
Mahoor e la cultura dell’incontro
Infine interviene Mahoor Kaffashian, di 25 anni, originaria dell’Iran. Dal 2022 è studentessa di odontoiatria nel centro regionale di Viseu dell’Università cattolica portoghese. È stata una sfollata dal suo Paese e si poi è rifugiata in Ucraina, dove una vera guerra l’ha fatta sentire come «sopravvissuta». Soprattutto, sottolinea di essere credente e di dovere il suo «sguardo di speranza riguardo il futuro allo straordinario team dell’Università cattolica: si sono presi cura di me e continuano a farlo nell’ambito» del Fondo di sostegno sociale “Papa Francesco” per una cultura dell’incontro.
«Se l’anno scorso — confida — mi avessero detto che ero una persona molto forte, probabilmente non ci avrei creduto; ma adesso ci credo». Dopo tutto quello che ha passato, «dopo il sentimento costante di assenza di un focolare, della famiglia, degli amici, dopo essere rimasta senza casa, senza università, senza soldi, so che il concetto di forza non vuole dire che non mi senta stanca, esausta e abbattuta dal dolore e dalle perdite; significa solo che ho la forza, la fede e il coraggio per andare avanti». Mahoor si dice orgogliosa di trovarsi a Lisbona per un nuovo inizio in un Paese «così bello e accogliente, partecipando attivamente alla vita della nostra casa comune e studiando», mentre cerca di seminare intorno a sé «l’amore, la speranza e la fede che mi ha incondizionatamente offerto questa Università in un’autentica cultura dell’incontro».
Non ci sono parole, conclude «per descrivere i miei sentimenti in questo momento, ma ho la fortuna di poter essere qui a parlarle con orgoglio del passato, credendo che verranno giorni migliori».