
«Essere insoddisfatti è essere uomini». Papa Francesco parlando ai giovani universitari nel secondo giorno del suo viaggio in Portogallo cita il poeta e scrittore Fernando Pessoa nato e morto a Lisbona, autore, tra le altre opere, dello straordinario Libro dell’inquietudine. E l’inquietudine è il filo rosso dei discorsi del Papa in queste prime giornate. Già mercoledì, nell’omelia dei Vespri aveva detto chiaramente: «Ecco cosa ci domanda il Signore: di risvegliare l’inquietudine per il Vangelo. E possiamo dire che questa è l’inquietudine “buona” che l’immensità dell’oceano consegna a voi portoghesi: spingersi oltre la riva non per conquistare il mondo, ma per allietarlo con la consolazione e la gioia del Vangelo». La missione del cristiano è partire per questa strana forma di conquista che non vuol dire cercare nemici da sconfiggere, ma toccare i cuori degli uomini tristi e pessimisti con la gioia e la speranza. Così “armati” i cristiani sono chiamati ad essere pellegrini nel mondo. Innanzitutto per un fatto di realismo: ogni uomo è già, nel momento in cui viene al mondo, un pellegrino. Rivolgendosi ai giovani universitari il Papa ha affermato che «nel termine “pellegrino” vediamo rispecchiata la condizione umana, perché ognuno è chiamato a confrontarsi con grandi domande che non hanno una risposta, una risposta semplicistica o immediata, ma invitano a compiere un viaggio, a superare sé stessi, ad andare oltre. È un processo che un universitario comprende bene, perché così nasce la scienza. E così cresce pure la ricerca spirituale». E anche l’arte, si potrebbe aggiungere. Come diceva Andrej Tarkovskij «l’artista esiste proprio perché il mondo non è perfetto e l’arte non sarebbe necessaria a nessuno se il mondo fosse il regno dell’armonia e della bellezza».
Ogni uomo è un pellegrino, dice il Papa, e i due verbi essenziali dei pellegrini sono “cercare e rischiare”. Qui si trova l’inquietudine di cui parla il Papa, quella che non si deve temere: «Non dobbiamo aver paura di sentirci inquieti, di pensare che quanto facciamo non basti. Essere insoddisfatti, in questo senso e nella giusta misura, è un buon antidoto contro la presunzione di autosufficienza e contro il narcisismo. L’incompletezza caratterizza la nostra condizione di cercatori e pellegrini, come dice Gesù, “siamo nel mondo, ma non siamo del mondo” (cfr. Gv 17, 16). Siamo in cammino verso... Siamo chiamati a qualcosa di più, a un decollo senza il quale non c’è volo. Non allarmiamoci allora se ci troviamo interiormente assetati, inquieti, incompiuti, desiderosi di senso e di futuro, com saudades do futuro! Non siamo malati, siamo vivi!». L’affermazione di Pessoa sull’insoddisfazione trova il suo corrispondente nella battuta dello scrittore francese Julien Green: «finché sono inquieto posso stare tranquillo». È un tema, questo dell’incompletezza, molto caro a Bergoglio che ha spesso parlato della necessità di avere un “pensiero incompiuto”. Questo senso di inappagamento non deve portare allo scoraggiamento, né tantomeno al rimpianto o al risentimento, ma a quella nostalgia “buona” che è la nostalgia del futuro.
È fondamentale per questo avere lo sguardo sulla realtà che sia uno sguardo ispirato dalla fede e dalla luce del Vangelo. Nell’omelia dei Vespri di mercoledì il Papa ha esortato a non cadere nella tentazione della sfiducia e della paura: «Non è tempo di fermarsi, non è tempo di arrendersi, non è tempo di ormeggiare la barca a riva o di guardarsi indietro; non dobbiamo fuggire questo tempo perché ci spaventa e rifugiarci in forme e stili del passato. No, questo è il tempo di grazia che il Signore ci dà per avventurarci nel mare dell’evangelizzazione e della missione». E come a riprendere il discorso, parlando ai giovani universitari ha detto: «cercate e rischiate. In questo frangente storico le sfide sono enormi, i gemiti dolorosi. Stiamo vedendo una terza guerra mondiale a pezzi. Ma abbracciamo il rischio di pensare che non siamo in un’agonia, bensì in un parto; non alla fine, ma all’inizio di un grande spettacolo. Siate dunque protagonisti di una “nuova coreografia” che metta al centro la persona umana, siate coreografi della danza della vita».
Non un’agonia, ma un parto. È questo lo sguardo del cristiano di chi sa discernere e cogliere l’opera di Dio anche quando i segni esteriori della storia sembrano indicare solo una direzione quella più oscura e inquietante, sapendo come già intuiva san Paolo che «tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto» (Romani 8, 20).
Il rischio pericoloso invece è quello di diventare prigionieri di una inquietudine e di una nostalgia non sane ma tristi, paralizzanti. Rispondendo agli universitari il Papa ha ribadito che «il cristianesimo non può essere abitato come una fortezza circondata da mura, che alza i suoi bastioni nei confronti del mondo». Già oltre 70 anni fa il teologo gesuita von Balthasar pubblicava un saggio dal titolo Abbattere i bastioni in cui affermava la necessità per la Chiesa di abbandonare il suo arroccamento e distruggere le mura difensive che la tengono separata dal mondo moderno e dalla sua cultura.
Il riconoscimento del proprio cor inquietum è quindi non un approdo stanco e rassegnato, ma un passaggio necessario per una ripartenza ricca di fiducia e speranza, perché come ha ricordato il Papa agli universitari, il seme si deve dischiudere per generare vita e l’inverno aprirsi alla «meraviglia della primavera. Abbiate perciò il coraggio di sostituire le paure coi sogni: non siate amministratori di paure, ma imprenditori di sogni!». (andrea monda)
di Andrea Monda