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Hic sunt leones
Il Paese africano è attanagliato da una grave crisi politica, di sicurezza e umanitaria

Situazione incandescente
in Mali

 Situazione incandescente  in Mali   QUO-173
28 luglio 2023

L’azione invasiva dei gruppi islamisti militanti in Mali continua ad aggravarsi nonostante il disinteresse della grande stampa internazionale. Con la persistente esclusione da parte della giunta militare attualmente al potere nei confronti delle voci del dissenso e l’alienazione dei partner regionali e internazionali impegnati nel garantire la sicurezza, la situazione sta degenerando notevolmente di giorno in giorno. Il Mali ha chiesto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di terminare la missione di pace Minusma, operativa da undici anni nel Paese. La decisione in tal senso è stata votata all’unanimità il 30 giugno scorso. Il ritiro dei caschi blu dovrebbe essere completato entro la fine dell’anno. A questo proposito il ministro degli esteri maliano, Abdoulaye Diop, ha evidenziato che la fine della missione è stata causata da un deficit fiduciario tra il suo governo e le Nazioni Unite.

Nel 2021, le autorità maliane, facendosi interpreti di un sentimento antioccidentale, hanno firmato un accordo con il gruppo paramilitare russo Wagner per sostenere la lotta contro i gruppi armati islamisti che infestano il Paese saheliano. Al momento i risultati di questa partnership, dal punto di vista della sicurezza sul territorio, come vedremo più avanti, tardano a farsi vedere. Nonostante la recente crisi del gruppo Wagner in Ucraina, i governi occidentali temono, comunque, un rafforzamento dei legami tra il Mali e la Russia È importante ricordare che contestualmente i rapporti tra Bamako e Parigi si sono deteriorati. Già nel febbraio dello scorso anno, su esplicita richiesta della giunta militare, il presidente francese Emmanuel Macron aveva annunciato la fine della missione militare francese in Mali. La notizia ha suscitato grande preoccupazione in molte cancellerie africane ed europee. L’esercito francese era intervenuto in Mali all’inizio del 2013, per volere dell’allora presidente François Hollande nell’ambito dell’operazione Serval che riconquistò con successo vasti settori nel nord del Paese, respingendo i gruppi islamisti. Successivamente, nell’agosto del 2014, venne avviata un’operazione anti-insurrezionale denominata Barkhane, guidata dall’ esercito francese contro i gruppi islamisti nella fascia saheliana. Costituita da un contingente di circa 3.000 uomini, Barkhane era condotta in cooperazione con cinque Paesi, tutte ex colonie francesi che attraversano il Sahel: Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger (Paese in cui è ora in corso un tentato colpo di Stato).

Successivamente, il 17 febbraio 2022, la Francia ha iniziato a ritirare le proprie truppe dal Mali, a causa del deterioramento dei rapporti diplomatici con Bamako. Lo scorso novembre, Macron ha annunciato la fine dell’operazione Barkhane e ha dichiarato che alcune truppe francesi rimarranno nella regione in base a nuovi accordi. Contemporaneamente si è ritirata dal Mali anche l’operazione multinazionale delle forze speciali europee Takuba, mentre nel gennaio scorso, il governo burkinabé ha chiesto alla Francia di ritirare le proprie truppe rimaste nel Paese la cui presenza era finalizzata alla lotta al il terrorismo jihadista. Rimane il fatto che l’Unione Europea (Ue), Francia inclusa, non intende abbandonare il Sahel: sta infatti valutando un ridispiegamento militare regionale per proseguire la lotta al terrorismo nella regione. Occorre comunque sottolineare che in questo contesto geopolitico, il Mali è in una condizione incandescente da tutti i punti di vista. Il 18 giugno scorso si è svolta una consultazione referendaria che ha visto il 97 per cento dei voti a favore della nuova Costituzione proposta dalla giunta militare. L’affluenza è stata ufficialmente del 39,4 per cento, anche se alcune componenti della società civile e del dissenso politico hanno riferito che la partecipazione al referendum non ha superato il 28 per cento. I gruppi islamici hanno voluto che sia tolto il riconoscimento dello Stato maliano come laico. Si è trattato della prima di una serie di votazioni che dovranno spianare la strada alle elezioni in programma nel febbraio del prossimo anno per garantire al Paese un governo civile.

Mentre scriviamo, il Mali è sprofondato in una crisi di sicurezza, politica e umanitaria. Secondo il monitoraggio di Africa Center for strategic studies, la violenza contro i civili da parte di gruppi islamisti militanti è diventata quasi 5 volte più frequente negli ultimi 12 mesi rispetto all’anno prima che la giunta prendesse il potere. Nei primi 6 mesi del 2023, circa 6.150 chilometri quadrati di territorio maliano sono stati travolti dalla violenza jihadista, rispetto ai 5.200 chilometri quadrati dei 6 mesi precedenti (con un aumento del 18 per cento). Gran parte del nord del Paese è caduto sotto il dominio de facto di gruppi islamisti che seminano morte e distruzione. Con l’uscita di scena dell’Ecowas/Cedeao (Comunità economica dei Paesi dell’Africa Occidentale), della Francia, dell’Unione europea e delle Nazioni Unite, la giunta ha di fatto ceduto il controllo territoriale della regione dell’Azawad, nel nord del Mali, alle formazioni islamiste.

Questo abbandono e la privazione dei diritti civili delle comunità insediate nella parte settentrionale del Paese hanno portato i gruppi Tuareg a rinnovare le loro richieste di indipendenza da Bamako. Ciò rappresenta una radicale messa in discussione del fragile accordo di pace di Algeri firmato nel 2015. Anche se mai apertamente riconosciuto dal governo di Bamako, nel dicembre 2021, la giunta maliana ha approvato non solo il dispiegamento di un migliaio di paramilitari russi del gruppo Wagner, ma ha anche autorizzato l’accesso alle miniere d’oro maliane. Da allora, nonostante i proclami della propaganda, la sicurezza appare peggiorata. Infatti, oltre alla violenza perpetrata dai gruppi islamisti contro i civili (dal 2021 è aumentata del 278 per cento), con almeno 1.632 vittime, bisogna considerare che nel 71 per cento degli attacchi contro i civili è stato registrato il coinvolgimento militare dei mercenari.

Inoltre i miliziani russi hanno anche creato due compagnie minerarie e detengono partecipazioni in almeno tre siti auriferi a sud di Bamako. Pertanto, essi stanno consolidando i loro affari esportando il metallo prezioso all’estero.

Il bilancio fin qui descritto sommariamente in Mali è emblematico, macchiato com’è da violenze nei confronti dei civili e dalla predazione mineraria. Al contempo, come se non bastasse, la pressione dei gruppi jihadisti continua a lievitare nell’intero Sahel.

Resta il fatto che l’Europa ha l’obbligo di rivedere la sua politica africana, avviando un percorso innovativo che tenga conto della reciprocità degli interessi a partire dal sacrosanto rispetto dei diritti umani. Il tema della mobilità umana dalla sponda africana, ricordiamolo una volta per tutte, non può prescindere da questo ragionamento. Anche perché andando avanti di questo passo, tra jihadisti, reti mafiose, golpisti e mercenari, in Mali e non solo in Mali, ma anche in altre parti dell’Africa, potrebbe non esserci più spazio per affermare l’agognato cambiamento. E poiché, come predica saggiamente Papa Francesco, «siamo tutti sulla stessa barca», nessuno può permettersi di fare orecchie da mercante.

di Giulio Albanese