· Città del Vaticano ·

Rileggendo
«Govindo. Il dono di Madre Teresa» di Marina Ricci

Sulla soglia

 Sulla soglia    QUO-172
27 luglio 2023

Una storia d’amore e di adozione tra  Calcutta e Roma 


«Un figlio cresce dentro, anche se non te ne accorgi. Anche un figlio adottivo. Mentre tu fai funzionare il cervello, lui si annida nel tuo cuore. Quando accade questo sei perduta, perché nulla riuscirà a strapparlo dalla posizione che ha conquistato guardandoti negli occhi». In Govindo. Il dono di Madre Teresa (Edizioni San Paolo, 2016) Marina Ricci ci guida attraverso le strade polverose di Calcutta a sentirne l’odore dell’«aria piena di miasmi», immergendoci in una realtà di estrema miseria, da cui non vorremmo essere neppure sfiorati. Eppure financo in questo mondo regna compassione e speranza, perché, si sa, «la Provvidenza Divina è sempre all’opera, anche in momenti in cui sembrerebbe assente», come scrive padre Brian Kolodiejchuk nella presentazione.

Senza mai scadere nel sentimentalismo, il libro ci accompagna nell’ex capitale delle Indie britanniche in un viaggio commovente attraverso le vite intrecciate di Govindo, un bambino con disabilità e abbandonato di Calcutta, e Madre Teresa, che occupa un posto centrale in questa storia. È stato infatti il grave stato di salute della “suora dei poveri” l’occasione della prima visita di Ricci a Calcutta e i suoi funerali, un anno dopo, l’occasione della seconda. È una «storia d’amore, vera e pura», scrive Enrico Mentana nella prefazione, che ammette di averne condizionato gli eventi. L’autrice era infatti la vaticanista del telegiornale che allora lui dirigeva, il Tg5, e fu lui ad averla voluta come inviata nel 1996 per raccontare Madre Teresa e le attività delle sue missionarie nonché il Nirmal Hriday, la Casa dei moribondi, «quel luogo che aveva reso muto perfino Wojtyła» durante il suo storico primo viaggio apostolico in India nell’86. E Ricci, come quel Papa, «stava per essere presa per mano da una figura molto più piccola di lei, il dono d’amore che si chiamava Govindo». L’incontro con sister Frederick e poi la visita all’orfanotrofio sono stati invece gli strumenti usati da Dio per avvicinare il bambino affetto da ritardo mentale e fisico (sindrome di Cockayne), che nessuno intendeva adottare, alla famiglia Ricci e più tardi a un’intera comunità a Roma.

In queste pagine la figura di Madre Teresa affiora come una luce radiosa, mostrandoci, nel caos e nella miseria urbana, il potere della compassione e della tenerezza. «Nessun racconto può riprodurre l’impatto devastante che ha su chi arriva per la prima volta da un Paese occidentale» a Calcutta, «gigantesca latrina umana, piena di uomini e donne che sembrano bestie, dei quali non si accorge nessuno. Fantasmi della “città terribile” che vive ignorandoli». Ma lo sguardo di Ricci, già madre di quattro figli, non ha potuto evitare di posarsi sugli occhi di Govindo. Quel «fragile mucchietto di ossa» staglia così nello spazio della scrittura e si fa presenza viva, facendo entrare lo straordinario nell’ordinario. «Lui era già dentro di me da quel giorno in cui avevo varcato la soglia dell’orfanotrofio di Shishu Bhavan e lo avevo visto steso per terra che tentava di sollevare la testa e di attirare la mia attenzione. Come se mi avesse riconosciuto fin dalla prima volta e scelto come madre».

Il mondo di Gogo, come lo chiameranno con affetto i fratelli, per due anni era stato «lo stanzone dell’orrore e del dolore. Lettini e bambini (…) menomati nelle loro capacità, nella loro infanzia, nel loro desiderio di essere amati». Ricci racconta in maniera schietta anche il proprio cammino spirituale. Ne viene fuori un quadro vivido delle sue emozioni e di quelle dei protagonisti, figli inclusi, che permettono al lettore di connettersi a un livello profondo con la vita di quel bambino abbandonato verosimilmente in una discarica e “privo di comunicazione”, come recitava la diagnosi indiana, che però sapeva amare e a tutti i costi voleva essere amato. Nel suo universo silenzioso siamo spinti a riflettere sulla nostra povertà interiore, ma anche sulla nostra capacità di fare la differenza nella vita degli altri e al contempo di lasciarci trasformare da chi è povero, malato, rifiutato e apparentemente fragile: «involucri da poco» dove Dio nasconde però le sue gemme più preziose, come dirà il padre al funerale di Govindo.

Marina Ricci non riuscì mai a incontrare Madre Teresa, ma si può forse davvero dire che non l’abbia conosciuta?

di Alicia Lopes Araújo