· Città del Vaticano ·

Perché le opere liriche hanno bisogno di regie non convenzionali per fare notizia?

Sul podio, bendato

 Sul podio, bendato  QUO-171
26 luglio 2023

Il maestro Alberto Veronesi ha diretto l’orchestra bendato. La qualità dell’esecuzione non ne ha risentito. È successo durante l’apertura del Festival Puccini di Torre del Lago. Il motivo è legato a una protesta contro un allestimento di Bohème con forti richiami alla contestazione giovanile del Sessantotto. Forse bastava rifiutarsi di dirigere invece di ricorrere a uno stratagemma che sa un po’ di trovata pubblicitaria. Ma ora che la polvere delle polemiche si è posata, si può ragionare finalmente sulla questione sollevata, involontariamente, da questo gesto: perché le opere liriche hanno “bisogno” di regie non convenzionali per fare notizia?

Ouverture

Interno notte, serata di gala.

Uomini in abito scuro, signore in lungo. Tutti illuminati dai flash in affollati foyer, un po’ di gossip che non manca mai, il trillo della campanella, inizia. Qualcuno scappa, tanto il più è fatto. Le telecamere si spengono, l’opera non è ancora iniziata e il servizio è già in onda. La musica fino a qui non c’entra niente.

Atto primo

Sipario

Via con la Traviata griffata “di Sofia Coppola”, l’Aida zen “di Bob Wilson”, il turismo sessuale della Butterfly “di Damiano Michieletto”, Tosca tra i nazisti, Cenerentola in una bettola di periferia in cui troneggiano foto di calciatori, Fidelio in un cantiere edile, con tanto di caschi arancioni. Oppure tradizione pura. Ma in fondo se la loro arte è immortale è perché Verdi, Rossini, Puccini o Beethoven ci parlano ancora oggi. Di per sé non c’è nulla di oltraggioso nelle attualizzazioni. A volte funzionano a volte meno, e pure questo non è strano. Insomma non sarà qualche pugno chiuso esibito nella recente Bohème a scandalizzarci. La questione è capire perché l’evento si debba costruire quasi sempre “solo” sulla regia.

Sipario.

Atto secondo

Riempire il teatro è la preoccupazione maggiore dei sovrintendenti, che spesso sono talmente competenti da avocare a sé anche il ruolo di direttore artistico, come consentito dalla legge italiana. Il compito è oggettivamente difficile. Programmare l’ennesimo Rigoletto può non bastare, quindi bisogna chiamare o un direttore divo o un regista famoso. Di solito è meglio evitare di scritturare contemporaneamente due personalità forti, perché le scintille sul palcoscenico rischierebbero di incendiare le scene. Risultato: o si spinge sulle edizioni critiche, che cambiano qualche passaggio qua e là, o sulla creatività della regia. Poi si innesca il solito corto circuito: i tradizionalisti apprezzano l’edizione critica e detestano le regie innovative, i progressisti fanno il contrario. Tertium non datur, come al solito. E magari proprio in quella zona di mezzo si potrebbero trovare le interpretazioni più interessanti.

Sipario

Atto terzo

Si potrebbe ipotizzare che la ricerca dell’evento a ogni costo al teatro dell’opera sia necessaria perché si eseguono sempre gli stessi titoli, perlopiù di autori morti, e si investe poco su compositori che godono di buona salute. Le obiezioni sono note: il pubblico non apprezza, le opere contemporanee sono difficili all’ascolto, quando non addirittura “brutte”, qualunque cosa significhi. Tutto vero: i linguaggi di oggi sono più ostici di quelli di ieri e la maggior parte dei lavori non avranno alcun rilievo in futuro. Esattamente come è sempre accaduto.

Grazie alla consulenza della musicologa Emilia Pantini, autrice tra l’altro di un libro intitolato Carriera e storiografia dell’operista del secondo Settecento (Lucca, Libreria musicale italiana, 2023, pagine 1015, euro 70), possiamo snocciolare qualche numero. Grosso modo tra il 1750 e il 1770 a Napoli sono andate in scena 300 opere nuove, altre 300 hanno debuttato a Venezia, 200 a Roma. Di questi 800 lavori ne sono entrati in repertorio un paio. Questo significa che se andassimo a teatro a vedere un’opera contemporanea ogni settimana a partire dal 2 settembre prossimo, che è sabato, il 15 gennaio del 2039 avremmo ascoltato forse due opere che sopravviveranno all’autore, e probabilmente non sono quelle che ci sono piaciute di più, e nemmeno necessariamente le più valide. Spesso ci saremmo annoiati, a volte divertiti, saltuariamente stupiti, raramente saremmo rimasti estasiati, quasi sempre però avremmo riflettuto su temi attuali nella nostra epoca. E soprattutto una volta ricollocati la partitura e il libretto al centro dell’attenzione la regia tornerebbe a svolgere il suo altissimo compito: valorizzare la musica, sottolinearne i dettagli e arricchirla con le immagini che le note possono solo evocare. A quel punto, con lo sguardo rivolto al palcoscenico, se qualcuno salisse sul podio con la maschera di Zorro o con il cappello della fata turchina nemmeno ce ne accorgeremmo.

Sipario

di Marcello Filotei