· Città del Vaticano ·

Il cardinale Parolin al convegno di studi per l’ottantesimo anniversario del Codice di Camaldoli

Ascoltare quel monito
contro la guerra

 Ascoltare quel monito contro la guerra   QUO-169
24 luglio 2023

Sebbene il contesto sia diverso rispetto agli anni bui del secondo conflitto mondiale, una «inopinata guerra nel cuore dell’Europa sembra voler ravvivare macabre nostalgie totalitarie». È il timore espresso dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, nella messa celebrata ieri a conclusione del convegno di studi «Il Codice di Camaldoli, 80 anni dopo». L’incontro, a cui ha partecipato anche il capo dello Stato italiano, Sergio Mattarella, si era aperto venerdì 21 luglio, introdotto dal cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), per iniziativa di quest’ultima e dalla comunità del monastero benedettino toscano, per commemorare l’anniversario del documento redatto nel luglio 1943, tra i più significativi del cattolicesimo del Novecento e fonte d’ispirazione per la Costituzione italiana.

All’omelia Parolin, dopo aver commentato le letture proposte dalla liturgia (Sap 12, 13.16-19; Sal 86, [85]; Rm 8, 26-27; Mt 13, 24-43) ha ricordato come alla vigilia della caduta del regime fascista «dal 18 al 24 luglio 1943 un gruppo di intellettuali, laici e religiosi, cattolici si riunì, presso questo monastero, sotto la guida di monsignor Adriano Bernareggi, con l’intento di confrontarsi e riflettere sul magistero sociale della Chiesa, sui problemi della società, sui rapporti tra individuo e Stato, tra bene comune e libertà individuale». L’intento, ha precisato il porporato, era quello di aggiornare il Codice di Malines, cioè quel documento che raccoglieva un insieme di direttive per la soluzione dei problemi sociali alla luce della morale cattolica, riflesso del movimento di pensiero suscitato dalla Rerum novarum di Leone xiii . Fu elaborato dal 1924 al 1926 e pubblicato l’anno dopo nella città belga dall’Unione internazionale di studi sociali. Sulla scorta di tali principi, gli estensori del Codice di Camaldoli diedero forma al documento, attraverso un’attenta opera di esegesi e di interpretazione, ma anche di integrazione e sviluppo del pensiero espresso nei documenti ufficiali del Magistero, ha ricordato Parolin. I successivi, tragici avvenimenti modificarono non solo il piano di lavoro, ha aggiunto, «ma sollevarono interrogativi nuovi e ne approfondirono altri». Alcuni parvero ancora più drammatici «dopo il 25 luglio del 1943» quando «si cominciò a vedere con maggiore consapevolezza il male che si era manifestato nel cuore dell’Europa, che aveva coperto con una densa oscurità» l’Italia «ed era penetrato in noi stessi». Ma ciò non impedì al Codice di Camaldoli di essere pubblicato nel 1944.

Quell’iniziativa fu necessaria, ha rimarcato il segretario di Stato, ed è ad essa cui oggi occorre guardare «come si guarda a un insegnamento, a una lezione», per quanto «siano diversi i tempi storici in cui viviamo», e anche le condizioni ecclesiali: «Allora si era lungi dall’immaginare il rinnovamento del concilio Vaticano ii — ha evidenziato il cardinale —, ora stiamo vivendo una profonda trasformazione ecclesiale e stiamo sperimentando una svolta antropologica che sembra voler mettere in discussione la fede stessa». Di fronte a ciò la risposta più credibile è il «discernimento del proprio tempo». Infatti, «comprendere la storia in atto e le sue necessità, a partire dall’ispirazione cristiana, significa elaborare una cultura adeguata che oggi è in larga parte inedita». A tutt’oggi, ha proseguito, «ci sono parole da scrivere che allarghino l’orizzonte stesso del magistero, “doveri ignoti ad altre età” come ebbe a dire Pio xii nel 1942»: una responsabilità, questa, di tutto il Popolo di Dio.

E a tal proposito, rilanciando quanto aveva detto il cardinale Zuppi in apertura del convegno, il segretario di Stato ha auspicato un aumento «dei luoghi di incontro, di formazione, le occasioni di riflessione comune non solo sui temi civili e sociali, ma anche su quelli della fede»: sia nella forma ecclesiale, di cui «il Sinodo in corso, voluto da Papa Francesco, è un’espressione»; sia nella forma laicale, «attraverso un autonomo e responsabile esercizio di laicità del credente». Da qui si evidenzia allora, ha concluso il porporato, come la partecipazione alla crescita democratica della società civile e delle istituzioni abbia oggi «bisogno di donne e di uomini cristiani, consapevoli della loro fede, che testimonino, in ogni ambito del vivere comune, la loro ispirazione, i valori e i comportamenti che la loro fede continua a fermentare, senza i quali questa società non sarà migliore». Perdura infatti nel mondo odierno, un «individualismo esasperato» che «non restituisce alle persone la libertà sperata, la felicità cercata, bensì il consumo di sé stessi. Abbiamo bisogno di recuperare la passione dell’altro, il riconoscimento dell’altro, l’accoglienza dell’altro». Con la consapevolezza, però, che «il campo su cui cade il seme è il cuore di ognuno. Noi siamo gettati nel campo della storia, lievito nella pasta, grano accanto alla zizzania. Solo Dio sa come il suo Spirito scende su ognuno di noi, su ogni storia umana, su ogni volto».