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Ottant’anni fa il bombardamento di San Lorenzo

L’inutile strage su Roma

 L’inutile strage su Roma  QUO-165
19 luglio 2023

L’8 gennaio 1943 un telegramma cifrato dalla Città del Vaticano raggiunse Londra, via Berna. Il dispaccio ne inoltrava un altro del 29 dicembre 1942 (il n. 290) in cui il ministro britannico presso la Santa Sede, Sir Francis D’Arcy Osborne, riferiva dell’udienza papale con il corpo diplomatico per la presentazione degli auguri per il nuovo anno. Osborne così riassumeva una conversazione abbastanza lunga con Pio xii : «Egli ha promesso che avrebbe fatto tutto il possibile nell’interesse degli ebrei. Dubito ci sarà una qualche pubblica dichiarazione, specialmente dal momento che il passaggio nel suo radiomessaggio natalizio [il discorso di Pio xii del 24 dicembre 1942, ndr] chiaramente si applica alla persecuzione degli ebrei. Ho destato la sua impressione dicendo che la politica di sterminio hitleriana è un crimine senza precedenti nella storia».

Emerse in quel colloquio anche la preoccupazione del Papa per un eventuale bombardamento di Roma e dell’Italia. Trasmissioni della Bbc ne avevano parlato e il cardinale Maglione, segretario di Stato, lo aveva detto a Osborne, mentre il delegato apostolico a Londra, monsignor Godfrey, si era rivolto al governo inglese per chiarimenti. Realmente la Bbc aveva ventilato un possibile bombardamento di Roma; sicché Pio xii aveva fatto sapere agli inglesi che, per quanto riluttante, la Santa Sede avrebbe protestato contro trasmissioni del genere. Il 28 dicembre 1942 Osborne chiarì a Maglione che il suo governo non avrebbe esitato a bombardare Roma «al meglio delle possibilità e nel modo più pesante possibile se il corso della guerra avesse reso tale azione conveniente e utile». Il primo ministro Churchill, del resto, lo aveva annunciato fin dal 30 settembre 1941, ribadendo il concetto alla camera dei Lords non più tardi del 9 dicembre 1942. Per cui non importava se la bbc o altri parlassero o no di bombardare Roma. Il proposito era ufficiale; promanava dallo stesso Churchill.

Massima chiarezza, dunque. «Pur riaffermando la sua assicurazione che, nel caso di bombardamento della città di Roma, ogni sforzo sarebbe compiuto per evitare di colpire la Città del Vaticano, il governo di Sua Maestà non ritiene opportuno che Sua Santità intervenga per evitare il bombardamento di Roma, distinta dalla Città del Vaticano». Roma, dunque, non era fuori degli obiettivi alleati: era la capitale dall’Italia fascista. «Una protesta contro il bombardamento di Roma da parte del Papa indicherebbe che Sua Santità sta intervenendo per proteggere lo Stato italiano e il governo fascista da un’azione militare che il Governo di Sua Maestà sarebbe pienamente in diritto d’intraprendere, sia perché Roma è il quartier generale del governo fascista, sia anche per il bombardamento di Londra in cui l’aviazione italiana ha partecipato». Il mondo cattolico, si chiedevano gli inglesi, avrebbe approvato una tale condotta del Papa?

La Santa Sede, al contrario, aveva evidenziato, «più che la neutralità dello Stato della Città del Vaticano, che naturalmente deve essere rispettata, il fatto che Roma è Sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico, piena di sacre memorie che la rendono cara e venerata a tutti i cattolici del mondo intero». Il Papa aveva ricevuto dal governo francese assicurazioni che Roma sarebbe stata risparmiata; perché il governo inglese non faceva lo stesso? Il Vaticano insistette «sul carattere sacro di Roma, in cui si trovano sparsi in varie parti della città le Basiliche Patriarcali, Chiese e Palazzi Pontifici, Dicasteri Ecclesiastici, che sono di proprietà della Santa Sede e godono del beneficio dell’extraterritorialità», oltre a «monumenti religiosi, spesso di altissimo, anzi universale, interesse artistico e storico».

L’inutile e anche patetica partecipazione dell’Italia fascista al bombardamento tedesco sull’Inghilterra era diventato un tornante fondamentale nelle relazioni italo-britanniche. Perché l’Italia di Mussolini (senza peraltro risultati apprezzabili) aveva accettato di rendersi corresponsabile di una tale operazione?

Va poi considerato che la strategia bellica inglese mutava a seconda che operasse in territorio nemico o in territorio occupato dal nemico. La Francia era in questa seconda categoria; le operazioni sul suo territorio dovevano pertanto evitare il più possibile vittime civili. La Germania, il Giappone e l’Italia (quest’ultima almeno fino all’8 settembre) erano invece a tutti gli effetti Paesi nemici per i quali i bombardamenti aerei avevano per unico scopo quello di distruggere il morale della popolazione civile. Da qui il ricorso a una guerra aerea senza limiti e senza quartiere. Agli inglesi era inoltre estranea la nozione di beni ecclesiastici extraterritoriali al di fuori della Città del Vaticano, fusi nel patrimonio architettonico e archeologico nazionale italiano, in particolare nella capitale.

Semplicemente, Roma restava la capitale di un Paese fascista e nemico. La curia vaticana tentò anche d’insistere sull’importanza per l’umanità delle antiche vestigia, alla stregua di Atene e del Cairo. Ma, agli occhi degli inglesi, queste due città non erano capitali di Paesi nemici. Salvare il Partenone e le piramidi era logico. Risparmiare il Colosseo e il Foro romano non era affatto scontato.

A tale complessità aggiungiamo quella della strategia bellica inglese. Il comando militare della Royal Air Force aveva nei raid sulla Germania l’obiettivo prioritario. Ma la raf riceveva ordini anche dall’Ammiragliato, per il quale la Francia doveva esser bombardata come «base avanzata» tedesca nella battaglia dell’Atlantico.

Per il comandante supremo delle forze alleate in Europa, Eisenhower, i raid sulla Francia rappresentavano invece la copertura aerea necessaria per lo sbarco in Normandia. Il “Ministero della guerra economica” britannico, dal canto suo, voleva bombardare a tappeto obiettivi industriali, sia nella Francia occupata sia in Germania. L’ufficio esecutivo della “guerra politica” si serviva invece della raf per paracadutare sulla Francia agenti e volantini di propaganda; ma a partire dal 1941 anch’esso chiese raid intensivi contro obiettivi francesi controllati dai tedeschi, a cui si voleva dar prova della determinazione britannica alla vittoria. Al Foreign Office , invece, si pensava che attaccare la Francia avrebbe prima o poi alienato alla Gran Bretagna le simpatie dei francesi di Vichy e dei “francesi liberi” di De Gaulle. Per Londra Roma e l’Italia, invece, restavano obiettivo bellico primario, come capitale dell’Italia fascista. Il Vaticano, enclave dello Stato italiano, non sarebbe stato toccato ma le garanzie britanniche si arrestavano a questo punto. Il Vaticano cercava intanto di far spostare fuori Roma il comando italiano delle operazioni e quelli tedeschi collegati, tenendosi anche in contatto con l’inviato personale di Roosevelt, Myron Taylor. Ma il bombardamento alleato di Roma non era la sola preoccupazione. Nel giugno del 1943 si rincorsero voci anche di un possibile raid aereo nazista sul Vaticano. Profittando degli auguri per la ricorrenza di San Luigi, il capo gabinetto del ministero degli esteri, Babuscio Rizzo (ben noto in Vaticano come ex consigliere di quell’ambasciata italiana), conversando con Maglione escluse questa possibilità. Era una vecchia storia che ogni tanto ritornava. Restava dunque più probabile un raid aereo alleato: «Ho colto l’occasione — così Osborne, riferendo di una conversazione avuta con Maglione — per ripetere ciò che avevo detto in passato, e cioè che le aviosuperfici nel distretto di Roma sono indubbiamente obiettivi militari ed erano al di fuori dei confini della città». Ma altri obiettivi, precisò Osborne, erano anche la stazione di Roma e la rete ferroviaria, esattamente come la stazione di Napoli.

In questa situazione, nell’estate del 1943 il Vaticano fece passi presso eminenti personalità dei due rami del parlamento inglese (come il duca di Norfolk, presidente dell’Unione Cattolica) e in via ufficiale si tornò sulla questione con un serio avvertimento: bombardare Roma avrebbe potuto provocare «movimenti popolari». In tal caso sarebbe stato difficile per la Santa Sede «assicurare incolumità Città del Vaticano e dei rappresentanti diplomatici qui ospitati». Leggasi: anche di quelli alleati (e dello stesso Papa). In secondo luogo, «eventuale bombardamento Stato Città del Vaticano, da qualunque parte venisse effettuato, farebbe pur sempre ricadere sugli Alleati davanti giudizio equanime storia gravissima responsabilità di avervi dato occasione».

Ma Churchill era irremovibile. In un dispaccio segretissimo, il 19 giugno 1943, aveva informato il re d’Inghilterra e i suoi ministri che si sarebbero istruiti i piloti della raf «a osservare ogni possibile cura per evitare di colpire quegli edifici papali nella città di Roma elencati nell’art. 13 del Trattato del Laterano, specialmente San Giovanni in Laterano». Era il massimo che Churchill potesse concedere. Quali le alternative? Dichiarare Roma “città aperta”? Impossibile per una capitale di Stato nemico al quale Londra non aveva rivolto «approccio di alcun tipo»; restava quindi l’ipotesi di bombardare Roma «il più pesantemente possibile», se utile e necessario. Il 10 luglio 1943 Roosevelt avvertì Pio xii che le truppe alleate erano sbarcate in Sicilia, assicurando che durante il periodo delle operazioni «lo Stato neutrale della Città del Vaticano e i possedimenti pontifici in Italia saranno rispettati». Non era la promessa di risparmiare Roma; chiara la delusione vaticana: «Il messaggio del presidente Roosevelt ha un evidente scopo reclamistico sia dal punto di vista militare sia dal punto di vista politico», si legge in un appunto interno di curia. Roosevelt «assume il tono di un... crociato». Veniva a liberare l’Italia e l’Europa: «Troppa degnazione!». Il presidente faceva capire «in modo piuttosto... subdolo che il Papa non può disapprovare il magnanimo proposito del Presidente degli Stati Uniti», dando a intendere «che il Papa è suo partner». E poi «neppure una parola su Roma!».

Non sorprenderà dunque che Pio xii non nascondesse il suo «rincrescimento per non trovare nel Messaggio presidenziale alcun segno di esplicita intenzione di evitare bombardamento di Roma». Il 13 luglio 1943 da Londra Godfrey confermò che gli inglesi sulla questione mantenevano le “mani libere”. In fondo i cattolici nel mondo avrebbero capito che «possibili danni edifici ecclesiastici nella diocesi del Papa sarebbero in realtà conseguenza inevitabile del fatto che Roma è sede di un Governo estero (in originale: sovereign Government) con cui Governo di Sua Maestà si trova in guerra». La mattina del 19 luglio Roma veniva sottoposta a un pesante bombardamento alleato durato circa tre ore, con oltre cinquecento bombardieri. Alle cinque del pomeriggio Radio Londra dava la notizia spiegando che l’operazione si era resa necessaria per la presenza nella capitale italiana di obiettivi militari. Un bollettino italiano enumerò gli obiettivi non militari colpiti e dava una stima delle vittime del raid. Per quanto gli alleati insistessero su un’operazione “chirurgica”, era piovuta sulla basilica e sul quartiere di San Lorenzo buona parte delle mille tonnellate di esplosivo. Celebre e impressa nella memoria collettiva un’immagine: Pio xii implorante a braccia distese il soccorso divino nell’inutile strage.

di Matteo Luigi Napolitano