· Città del Vaticano ·

«Il segreto del tenente Giardina» di Giovanni Grasso

Domande sulla nostra Storia

 Domande sulla nostra Storia  QUO-164
18 luglio 2023

Partire dalla Norimberga del 1933, risalire al fascismo di fine anni Venti, arrivare alle Dolomiti della Prima guerra mondiale: è un viaggio attraverso tre romanzi quello compiuto dal 2020 a oggi da Giovanni Grasso, consigliere del Presidente della Repubblica per la stampa e la comunicazione. Un viaggio in tre tappe nel tentativo di scandagliare e capire pagine oscure del ventesimo secolo, decenni difficili che hanno visto — come si legge nell’ultimo libro della trilogia, Il segreto del tenente Giardina (Milano, Rizzoli, 2023, pagine 224, euro 19) — «troppi uomini morire e morire male». Un viaggio che, raccontando il passato, arriva dritto al nostro presente, a questi anni Venti del nuovo millennio.

Il segreto del tenente Giardina è un giallo, genere difficile da presentare senza svelarne la trama. Il dicibile, in questo caso, è che la detective si chiama Luce Di Giovanni. È un’architetta intraprendente e sicura di sé che, lasciata l’Italia dopo un’adolescenza complicata, vive e lavora a Parigi. Rientrata nel paesino d’origine per il funerale dell’amata nonna che l’ha cresciuta, Luce scopre che, morendo, Antonietta le ha affidato un incarico per nulla semplice: individuare il luogo di sepoltura di suo padre (e quindi del bisnonno di Luce), il fante Antonio Crespi, morto nel 1916 sulle Dolomiti durante l’infuriare dei combattimenti contro gli austriaci. L’assenza di un luogo preciso è un tarlo che ha accompagnato nel tempo Antonietta, un mistero il cui unico indizio è la lettera del tenente Gaetano Giardina, comandante di compagnia di Crespi, che ne annunciava alla famiglia la morte «da eroe». Null’altro.

La matassa è ingarbugliata, le prime ricerche d’archivio si risolvono in nulla, finché Luce — un po’ per ostinazione, un po’ per senso del dovere, un po’ per fortuna — individua una crepa. È il diario di guerra di Giardina, nonno a sua volta di un nipote caparbio e singolare, tale Marco Grillo. Luce trova questo giornalista solitario eccentrico, curioso, ironico, dinamicamente ossessionato dai ricordi di famiglia, che vive a Roma. I detective così, di fatto, diventano due, e le ragioni di questa collaborazione sono tante perché, ci suggerisce Grasso, perché la complessità resta sempre la caratteristica dell’essere umani.

La lettura congiunta del diario del tenente porta a una svolta: alcune pagine, quelle decisive, mancano; semplicemente scomparse. Per venirne a capo, sarà necessario un viaggio in Sicilia, nell’antica casa dei Grillo — Grasso torna dunque (da romanziere, non più da giornalista, ma in ogni caso da storico) in quella terra così ben raccontata nel suo libro dedicato a Piersanti Mattarella (San Paolo, 2014). Nel nuovo romanzo, passo dopo passo, scesi dal treno Luce e Marco riusciranno a far riaffiorare la vera storia di quel lontano 1916. Una storia difficile, brutale, dura, ma anche indispensabile per vivere il presente, per essere davvero donne e uomini costruttori di futuro.

Tra gli altri, un aspetto — dall’attualità sconcertante — che interessa Grasso è quello di dare un nome, un’identità precisa all’altro da sé, che poi è il passaggio indispensabile per uscire dalla spirale di odio, violenza e guerra. Operazione inversa a quella compiuta da chi fomenta la contrapposizione, da chi ancora soffia sul rifiuto e l’esclusione per distrarre e manipolare («Non “i nemici”, singole persone con le loro storie e il loro vissuto, ma “il nemico”: questa entità informe, indefinita, declinata al singolare, in modo da spogliarla da ogni attributo umano»).

Con questa trilogia, dunque, Giovanni Grasso romanziere ribalta stereotipi e luoghi comuni comodi e rassicuranti, specie in tempi difficili. La letteratura è una via preziosissima di denuncia, per chi voglia e sappia usarla («Susanna mi ha raccontato di milze spappolate, di arti amputati, di colonne vertebrali spezzate, di occhi bruciati [...]. Questo è il portato della guerra, quello autentico, quello di cui non si parlerà nei discorsi celebrativi, nelle cerimonie patriottiche o nei libri di storia»).

Ma scegliendo di denunciare, l’autore fa qualcosa in più: chiama in causa noi lettori mettendoci davanti al nostro presente. Alla responsabilità individuale, al valore delle azioni dei singoli che non sono mai — né ieri né oggi — solo forma, solo obblighi o solo numeri. «I numeri, a differenza dei nomi, non hanno volto e non hanno storia, non hanno affetti e famiglie lontani, non hanno radici e sogni».

di Giulia Galeotti