· Città del Vaticano ·

Il segretario di Stato ordina vescovo il rappresentante pontificio Gian Luca Perici

In Zambia e in Malawi
come instancabile operatore
di pace

 In Zambia e in Malawi come instancabile operatore di pace   QUO-162
15 luglio 2023

Portare «il lieto annuncio di vera liberazione» come instancabile operatore di pace e fasciare le piaghe dei miseri, rimanendo immerso «nella carità di Cristo, nel suo amore per le pecore smarrite, minacciate e indifese» che vivono in Zambia e in Malawi. Questa la consegna affidata dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, a monsignor Gian Luca Perici, da lui ordinato vescovo stamane, sabato 15 luglio, nella solenne cornice della basilica di San Pietro, dopo la nomina da parte di Papa Francesco lo scorso 5 giugno a rappresentante pontificio nei due Paesi africani.

All’omelia il porporato ha ricordato i doveri fondamentali del vescovo, che nella sua missione è sostenuto dall’azione dello Spirito Santo per superare «ogni ostacolo e mantenere fraterna coesione e viva speranza» nelle due nazioni, nelle quali «i cattolici sono circa un terzo della popolazione e dove la Chiesa registra una crescita delle vocazioni in un contesto tuttavia non privo di problematiche e complicato da diversi fattori». Tra questi, Parolin ha ricordato «il crescere di un certo proselitismo aggressivo da parte di alcune correnti musulmane, che minaccia di incrinare il tradizionale corso pacifico delle relazioni reciproche». Quindi rivolgendosi direttamente a monsignor Perici, ha aggiunto: «Sul piano dello sviluppo umano potrai riscontrare luci ed ombre», come «il pericolo di una possibile insicurezza alimentare, dovuta all’esaurirsi delle scorte in un ambito di diffusa povertà».

Per insegnare con autorevolezza «senza autoritarismi, per governare con fermezza e dolcezza, per distribuire il pane di vita e ogni efficacia sacramentale — ha quindi argomentato il segretario di Stato — il vescovo trova in Cristo un modello tanto splendido e alto, che potrebbe in un primo momento persino instillare in lui un certo timore paralizzante».

Ma è solo grazie all’incontro «tra il dono divino e il ringraziamento umano, tra la supplica umana e la costante assistenza divina», che ogni presule «può svolgere bene la sua delicata funzione» ed essere una benedizione per la comunità che gli viene affidata».

Fondamentale in tal senso, ha rilanciato il porporato, «il lavoro assiduo, senza essere esasperato ed autoreferenziale, con una preghiera che diviene gioiosa compagnia e cara abitudine, con la carità verso il prossimo, senza dimenticare coloro che, per le più svariate ragioni, potrebbero non essere in totale sintonia con le sue opinioni, le sue decisioni e il suo metodo d’azione».

Non c’è separazione o contraddizione «tra quello che sarai come vescovo e quello che sarai come rappresentante del Papa» ha poi osservato rivolgendosi nuovamente all’eletto. «Anzi, questa è la condizione per esercitare bene il compito specifico che ti è affidato, che è quello di far giungere la parola del Papa alle Chiese ed ai governi di quegli Stati ai quali sei inviato, di essere un instancabile operatore di pace in questo mondo tribolato da guerre e conflitti sanguinosi, di promuovere la difesa dei diritti fondamentali della persona umana, spesso minacciati da ideologie che la strumentalizzano e la manipolano in nome di un umanesimo, che in verità non ha più nulla di umano».

E inoltre, ha detto ancora, «sei chiamato a sensibilizzare gli Stati e la società, affinché sia conosciuta e tenuta in alta considerazione la dottrina sociale della Chiesa, per contrastare un modello economico che considera normale l’esclusione e lo scarto di una rilevante quota di persone e da cui deriva una società squilibrata, dove aumentano a dismisura le diseguaglianze e nuove forme di schiavitù»; promuovendo al contempo «una comunione sempre più salda tra la Sede Apostolica e le Chiese particolari»; ed «essere un autentico ponte, in grado di presentare le necessità, le problematiche, le speranze ed i timori delle singole Chiese locali alla Chiesa Universale», in modo da far «loro percepire la paterna sollecitudine del Successore dell’apostolo Pietro per tutte le Chiese, la sua solidarietà con esse e la sua incessante e generosa opera al servizio dell’unità della Chiesa e a custodia del deposito di fede». Un compito a cui, ha rimarcato il celebrante, «ti sei lungamente preparato, prestando il tuo servizio presso le nunziature di Messico, Haiti, Malta, Angola, Brasile, Svezia, Spagna e Portogallo, distribuite in tre continenti», conoscendo «diverse culture e sperimentato la complessità e la bellezza della Chiesa» oltre all’urgenza dei problemi. «Hai potuto renderti conto — ha concluso — di quanto sia importante salvaguardare e anzi promuovere, sia le specifiche e originali caratteristiche di ogni Chiesa, sia il bene inestimabile della comunione tra di loro e di tutte con la Sede apostolica».

All’altare della cattedra, nel giorno in cui la Chiesa fa memoria di san Bonaventura, co-ordinanti sono stati il cardinale Luis Antonio G. Tagle, pro-prefetto del dicastero per l’Evangelizzazione, e il vescovo Stefano Russo, ordinario di Velletri-Segni, diocesi di appartenenza di monsignor Perici. Il quale ha ricevuto dal Pontefice la sede titolare di Bolsena con titolo personale di arcivescovo e ha scelto come motto «Sub tuum praesidium».

Numerosi i concelebranti, tra i quali i cardinali Odilo Pedro Sherer e Lorenzo Baldisseri, il cardinale eletto Robert Francis Prevost, prefetto del Dicastero per i vescovi, gli arcivescovi Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, e Luciano Russo, segretario per le Rappresentanze pontificie, l’arcivescovo eletto Mauricio Rueda Beltz, anch’egli nominato di recente nunzio apostolico, e monsignor Roberto Campisi, assessore della Segreteria di Stato.

Presenti i famigliari del novello presule, alcuni giunti dagli Stati Uniti e dalla nativa Bassano del Grappa, nel Vicentino, sindaci di città alle quali è legato e membri del corpo diplomatico. A tutti l’arcivescovo Perici, ha rivolto il proprio saluto al termine del rito.

di Rosario Capomasi