· Città del Vaticano ·

Bailamme

Un mondo intero
in una zolletta di zucchero

 Un mondo intero  in una zolletta di zucchero  QUO-161
14 luglio 2023

Il limite aguzza l’ingegno, è risaputo. Ma il limite è anche capace di ridestare tesori che affiorano dalla memoria come sorprese. Nel piccolo negozio di alimentari del paese di mare in cui siamo in vacanza c’è l’essenziale e ho trovato lo zucchero solo in zollette. Non le uso più da tantissimo tempo, però avevano qualcosa di familiare. 

Dopo pranzo il gesto è venuto spontaneo, con la leggerezza delle abitudini che si fanno sovrappensiero. Usando un cucchiaino ho immerso la zolletta nel caffè e poi l’ho tirata su, appoggiandola su un piattino.

Tutto è venuto a galla come un’onda di burrasca. Era così che mio nonno Domenico mi faceva assaggiare di nascosto il caffè quando ero bambina, tenendomi sulle ginocchia. Di nascosto, perché in quella cucina c’era anche mia nonna, ma era quasi sempre di spalle, indaffarata ai fornelli per la cena già dal dopo pranzo. Era un rito e un segreto tra me e mio nonno. E la zolletta zuppa di caffè si è portata dietro tutto quel mondo domestico dell’infanzia. Odori e sapori soprattutto, i pomodori mangiati a morsi nei campi dove i nonni lavoravano, l’esalazione acre dell’uva pestata a piedi nudi, il caldo delle uova appena deposte dalle galline. Sono passati quarant’anni da allora, da quei giorni dimenticati.

Dimenticati? Evidentemente no. C’è qui e ora, dentro, l’innesco di una memoria essenziale che è compagna di chi siamo, al di là delle nostre consapevolezze molto ristrette.

Chi ci ha lasciato abita ancora con noi, ha proprio una casa nello spazio intimo dell’anima. Ed è più di quei ricordi che ci sforziamo di richiamare alla coscienza. Sì, mi sfugge la voce di mio nonno e i tratti del suo volto sono annebbiati se non li richiamo a mente con una fotografia. Ma proprio uno dei tre sensi che mancano alla realtà virtuale, il gusto, mi ha portato in dote un di più di realtà. La zolletta zuppa di caffè non mi ha fatto ricordare, ma rivivere. Non è stato un pensiero, ma un tuffo vivo in un recinto di affetti che non è venuto meno, anche se la morte ha temporaneamente sottratto la compagnia di chi ho amato, di chi mi ha amata.

Forse è questa la vera realtà aumentata: una memoria che non è un album di figurine immobili e bidimensionali, ma una casa abitata e viva che ci portiamo a spasso ogni istante. Se basta un sapore o un profumo a far affiorare una cascata di percezioni vivide ed emozioni intoccate dal tempo, vuol dire che la sorgente da cui nascono zampilla acqua fresca. Ed è consolante sapere che abito ancora quella cucina, sono sulle ginocchia di mio nonno. Non sono affatto quella creatura che a denti stretti crede di dover affrontare da sola ogni sfida, incidente e imprevisto. Il bene che si è incarnato vive e vegeta, e nell’intimo ogni individualità è — a ben vedere — una compagnia di affetti. 

 

 

 

di Annalisa Teggi