· Città del Vaticano ·

La buona Notizia Il Vangelo della xv domenica del tempo ordinario (Mt 13,1-23)

Creare comunione

 Creare comunione  QUO-158
11 luglio 2023

Ormai è risaputo: se in classe c’è un buon clima tra alunni e professori, allora l’apprendimento è facilitato. Certo, ci saranno sempre i ragazzi con la testa dura, quelli intelligenti ma incostanti e quelli con così tanti problemi dentro e fuori casa da non riuscire a impegnarsi, ma il bravo professore sa che il suo compito è creare il miglior contesto di classe possibile per aiutare tutti, al netto delle difficoltà di ciascuno, ad ascoltare il suo insegnamento, comprenderlo e poi ottenere buoni voti (chi il massimo, chi meno, chi appena la sufficienza). In un certo senso anche Gesù, che era il Maestro, lo diceva.

Quando racconta la famosa parabola del seminatore, il Signore elenca diverse tipologie di “alunni” di fronte alla Parola, ciascuno con le proprie difficoltà: c’è chi ha il cuore indurito e non sa fidarsi, per cui rimane impermeabile ad ogni insegnamento; c’è chi manca di spessore umano e di vita interiore, quindi si accende velocemente di fronte a Dio, ma poi si spegne subito; c’è chi vive in mezzo a tentazioni, preoccupazioni e fatiche e per questo finisce per veder soffocare i germogli di novità nati dalla Parola di Dio. Gesù non se la prende con chi è come la strada asfaltata, come il campo sassoso o come la terra piena di rovi: semplicemente loro esistono e, anzi, bisogna comprendere le loro difficoltà per aiutarli. La cosa più importante e urgente, però, è fare in modo che alla fine ci sia il terreno buono, il contesto buono affinché la Parola venga ascoltata e compresa e, quindi, porti frutto.

Nel leggere e interpretare la parabola del seminatore, la Chiesa si è sempre troppo soffermata sull’analisi e sul rimprovero delle tipologie di terreno ostili alla Parola, quando invece l’attenzione principale da avere è sulla strategia da mettere in atto per poter creare il terreno buono.

Lo vedo soprattutto rispetto ai ragazzi. Troppo spesso, come Chiesa, di fronte agli adolescenti e ai giovani che passano per i nostri ambienti tendiamo ad essere dei maestri troppo severi, che innanzitutto fanno notare le mancanze e solo poi (ma nemmeno sempre) ci interroghiamo su come creare per loro delle condizioni ottimali per aprire il cuore e comprendere la Parola. Ce la prendiamo con la loro età, che è per natura superficiale, oppure con la cultura che respirano, che inevitabilmente li rende un po’ impermeabili alla trascendenza; oppure li rimproveriamo perché si accendono facilmente, perché quando pregano ricercano le emozioni (che però poi passano), perché quando si convertono diventano idealisti e radicali in maniera un po’ ingenua; oppure tendiamo a sottolineare in maniera ossessiva le tentazioni, le fragilità e i peccati che infestano le loro giornate, come se prima di tutto venisse la condotta morale, come se non riconoscessimo che la libertà di un giovane è condizionata dalla cultura in cui vive e ha bisogno di tempo (e amore) per “liberarsi”. Per carità, è giusto far notare tutto ciò, ma ciò che conta davvero è creare il giusto contesto perché tutti, ciascuno con le proprie difficoltà, abbiano la possibilità di ascoltare e comprendere la Parola. Ciò che conta davvero è agire come un bravo maestro, che prima di tutto sa di dover creare il giusto contesto relazione all’interno della classe, perché solo questo può permettere ai singoli di superare ciascuno le proprie difficoltà. Ciò che conta davvero, in altre parole, è creare comunione, che è il terreno buono nel quale la Parola può portare frutto.

Se come Chiesa ci impegnassimo di meno a far notare ai singoli i loro problemi e di più a creare un contesto comunionale che permetta ai singoli di convertirsi, sicuramente vedremo molti più frutti di santità. Siamo chiamati a creare fraternità, a mettere al primo posto le relazioni, ad amare in modo tale che anche altri, che si sentono amati, imparino ad amare a loro volta. È questa la terra buona che rende bella e feconda la Chiesa. (alberto ravagnani)

di Alberto Ravagnani