I rapporti tra persone sono i più esposti alle oscillazioni dell’egocentrismo che trova sempre nuovo alimento nell’abbandono del sentiero e del metodo del dubbio. Osservare la norma del rispetto dell’Altro non rivela qualunquismo o negligente indifferenza nei confronti dei propri riferimenti. Semplicemente significa perseguire la via dell’inclusione. Per questo è necessario stare attenti ai pregiudizi macroscopici e, non di meno, a quelli più sottili e striscianti che invadono il nostro sentire di distorsioni mentali e comportamentali.
Ho incontrato Mariella, ho scritto della sua storia e come me tanti altri collaboratori temporanei, ma, a pieno titolo, parte integrante della redazione dell’«Osservatore di Strada».
Ognuno simbolicamente ha indossato l’abito buono per avvicinarsi alla persona di cui avrebbe raccontato. Si è calato nell’incontro con la consapevolezza che è difficilissimo conoscere davvero qualcuno, ma lo si può incontrare e custodire per sempre e questo grazie alle parole, agli sguardi, all’aver lasciato che l’Altro trovasse dimora nella nostra casa e noi nella sua. Con delicatezza tutti abbiamo cercato di guardare dentro quel bagaglio che per l’incontro veniva dischiuso. Con il massimo rispetto ognuno ha cercato di maneggiare quelle vite che prendevano trasparenza. Con impegno chi trascriveva e poi riscriveva per dare la forma migliore a quelle storie di parole e dolore si è predisposto a non tradire il suo mandato, scavando in sé, provando con empatia a comprendere, lasciandosi guidare con fiducia lì dove c’era da scendere lungo cunicoli bui e malfermi.
Ne sono sicura.
In alcuni casi è stato facile, in altri meno. Spesso ha significato leggere tra le righe, vincere la fisiologica diffidenza di chi è stato tradito mille e mille volte. E in alcuni casi faceva caldo, in altri tanto freddo.
È capitato che chi ha scritto abbia chiesto nel tempo notizie della persona di cui aveva raccolto frammenti di vita. È successo che alcuni si siano impegnati per trovare risposte a ciò che di irrisolto poteva essere emerso durante l’incontro. È accaduto che quelle conoscenze siano diventate vere e proprie amicizie.
Ne sono sicura.
Per ognuno quel dialogare semplice e informale è stato l’occasione per farsi delle domande, per rivedere il proprio vissuto, per rimettere in discussione un percepito altrimenti cristallizzato.
Poi, una domenica, anch’io insieme al gruppo che più di consueto si riunisce a Piazza San Pietro ho distribuito il mensile. Proprio sotto la finestra da dove a mezzogiorno è solito affacciarsi il Santo Padre.
È bello quando le persone accolgono il dono del giornale. Lo sfogliano o lo mettono a loro volta in una borsa o in uno zaino per poterlo leggere con calma in un secondo momento. È bello anche quando lo utilizzano per ripararsi dal sole o ci si siedono sopra per non rovinare quegli indumenti che prima o poi metteranno da parte per fare spazio a qualcosa, nel loro sentire, di più bello e più nuovo.
Succede anche questo.
Mi sono rabbuiata solo quando qualcuno non ha neppure voluto ascoltare le ragioni dell’«Osservatore di Strada». Come se la proposta fosse una delle tante offerte commerciali dalle quali ognuno di noi è quotidianamente sollecitato. Per quel rifiuto ho sentito delusione, in alcuni casi ho avvertito qualcosa di molto simile alla frustrazione.
Mi sono chiesta il perché di quelle percezioni.
Poi ho capito.
Ho capito che di Mariella mi sentivo responsabile. Che di lei mi importa veramente. Che da quel nostro incontro era scaturito un legame profondo.
Ho capito quello che veramente l’ascolto delle sue ragioni e del suo dolore mi avevano regalato.
Mariella mi stava a cuore. Non era più solo lei. Era la “mia” Mariella.
Nella partigianeria che solo l’amicizia e l’amore sanno donare, volevo che questo potesse accadere anche ad altri.
Se solo avessimo la voglia di soffermarci, tradendo l’apparente incoercibilità del nostro troppo IO, comprenderemmo che conoscere è prima di tutto un atto d’amore verso sé stessi. Ne sono sicura.
di Anna Paola Lacatena