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DONNE CHIESA MONDO

LaProposta
Deve tornare a essere luogo piacevole, sostiene una teologa

La liturgia è come un bacio

 La liturgia  è come un bacio  DCM-007
01 luglio 2023

Baciare qualcuno, baciare un oggetto, abbracciarsi, scambiarsi un bacio, sono riti che accompagnano il nostro vivere quotidiano, ma anche il nostro celebrare cristiano. Proprio perché è un gesto di forte implicazione relazionale, nella liturgia viene riservato ad occasioni particolari: si bacia esclusivamente la presenza di Cristo nei suoi principali segni sacramentali: l’altare e l’evangeliario. Per questo, il bacio è associato sempre al gesto del venerare ed è accompagnato il più delle volte dal silenzio o da una preghiera sussurrata nel cuore. Solo in seconda istanza, questo gesto si estende alla presenza di Dio nei fratelli nel bacio di pace. Tutti gli atri baci di devozione, rivolti ad immagini e oggetti sacri (come la croce, la stola, le statue, le reliquie eccetera) ne sono, in un certo senso, un’estensione. Baciare infatti è un gesto di forte valenza simbolica e di intenso coinvolgimento interiore: una eccessiva moltiplicazione ne svilisce il valore.

È stata proprio la riforma liturgica del Concilio vaticano ii a volerlo particolarmente prezioso, da riservare in modo esclusivo ai due momenti culminanti della celebrazione eucaristica: il bacio del vangelo, vertice della Liturgia della Parola, e il bacio dell’altare, centro e culmine di tutta la celebrazione eucaristica. Il rito, infatti, prevede il bacio dell’altare nella dinamica del saluto (riti di ingresso) e del congedo (riti di conclusione), quasi ad annodare insieme, in un'unica azione, il saluto a Cristo con il suo stesso corpo, la Chiesa. Il bacio, così profondamente legato alla bocca e alla simbolica del nutrimento, riveste nella liturgia un particolare significato iniziatico ed eucaristico. Esso, infatti, così come è preludio alla relazione sessuale, lo è del momento di maggior coinvolgimento del battezzato: la celebrazione eucaristica. La bocca, infatti, rappresenta quella soglia tra l’esterno e l’interno, l’entrare e l’uscire, di cui la lingua si fa mediatrice. Nella liturgia, infatti, il bacio si fa custode delle soglie (bacio all’altare nei riti di ingresso e nei riti di conclusione), invita ad entrare ed accompagna l’uscita. Anche nel rito del Battesimo la bocca diviene protagonista di una iniziazione attraverso il rito dell’Effatà (apriti!). Gesto iniziatico che ogni battezzato è chiamato a rivivere ogni giorno attraverso il tocco santo delle dita nel rito dell’invitatorio della Liturgia delle Ore (Signore, apri le mie labbra. E la mia bocca proclamerà la tua lode). Un gesto, un tocco, una percezione, preludio di un appagamento e sazietà che solo l’Eucaristia sa saziare e al tempo stesso accendere di nuovo desiderio.

C’è dunque da chiedersi: perché la liturgia è così sobria di baci?

La risposta va cercata nella natura stessa della celebrazione liturgica chiamata ad alimentare, accendere e sostenere, il tempo della presenza/assenza del Risorto. Alla dimensione propriamente teologica della liturgia, infatti, appartiene il gioco del desiderio: sfiorare senza trattenere, assaggiare senza saziare, sbirciare sotto il velo dei simboli, intuire senza mai presumere di aver compreso. Di qui, la predilezione per l’accensione dei sensi con pudore e sobrietà (In Lui gustiamo sobri l’ebbrezza dello Spirito, canta un antico inno liturgico). La liturgia, infatti, non si impossessa del mistero: essa lo avvicina e dona largamente affinché sia creduto, compreso, per far sentire che, persino nella sua paradossale familiarità con noi, esso rimane inaccessibile. Dunque, anche nella liturgia il bacio è assaggio. Il discepolo, infatti, è chiamato a vincere il desiderio del possedere la presenza del Maestro, come è avvenuto per l’emorroissa, che stringe tra le mani il mantello di Gesù (Marco 5, 28-30), come per Maria Maddalena presso la tomba vuota (Giovanni 20,17). Bacio e abbraccio che, dopo la risurrezione, diviene monito e attesa: Noli me tangere, non mi trattenere, ovvero, Noli me osculare. Il discepolo-amante dopo la risurrezione, infatti, non potrà più trovare il Maestro e stringerlo e sé, ma sarà invitato ad un continuo errare, ritornando instancabilmente lì dove tutto è iniziato, in Galilea (Matteo 28,7), il luogo del primo sguardo d’amore. Così ci ricorda anche papa Francesco:

«Il vangelo è chiaro: bisogna ritornare là, per vedere Gesù risorto, e diventare testimoni della sua risurrezione. Non è un ritorno indietro, non è una nostalgia. È ritornare al primo amore, per ricevere il fuoco che Gesù ha acceso nel mondo, e portarlo a tutti, sino ai confini della terra. Tornare in Galilea senza paura. “Galilea delle genti” (Matteo 4,15; Isaia 8,23): orizzonte del Risorto, orizzonte della Chiesa; desiderio intenso di incontro… Mettiamoci in cammino!». (Omelia della veglia pasquale del 2017).

Il linguaggio rituale è il luogo di questo gioco di alternanze: un continuo andare e ritornare in Galilea, spazio in cui celebrare la dinamica tra separazione e congiunzione con Dio, lontananza e vicinanza, alterità e intimità, nel fluttuare continuo tra la potenza agente di Dio e il desiderio dell’uomo. Ciò che lo muove, infatti, è il desiderio, e ciò che lo strugge è la lontananza. Tutta la logica rituale si muove al passo di questa danza sacra, fatta di tocchi che accendono e lontananze laceranti. Nella liturgia, dunque, il bacio è domato e riscattato dalla tentazione della bramosia ma, al tempo stesso, annuncia e celebra una realtà già abitata: una comunione di respiro, bocca, chiamata a gustare e a lodare ad una sola voce che «Il Signore è risorto!». Non è forse questo il gesto che renderà possibile la confessione del Nome? L’alito, il respiro dalla bocca di Gesù che dà vita e restituisce anima alla comunità dei discepoli spaventati dentro una stanza asfittica (Giovanni 20,22). L’alito di Gesù si fa così immagine di quello spazio-tempo in cui tra la bocca di Gesù e la bocca dei discepoli si dilata l’attesa e il desiderio del suo ritorno. Tempo di abbracci e di baci dati e ricevuti, così come canta la bocca della sposa del Cantico dei cantici: «Mi baci dei baci della tua bocca» (Ct 1,1). Non va dimenticato, infine, che il bacio prelude all’atto amoroso, quindi all’essere di noi tutti, alla nostra nascita, vita e morte. E, se nelle favole il bacio è in grado di ridonare la vita, di spezzare incantesimi o di trasformare i rospi in principi, anche nella realtà il bacio è pegno sicuro di speranza e di ogni trasformazione! Nella poesia di David Maria Turoldo, il frate servita che è una delle figure più rappresentative del cattolicesimo del secondo Novecento, il bacio narra il dramma della lotta tra la morte e la vita, respiro dato e respiro tolto:

Mi baci con i baci…ma è con il bacio
Che Egli il suo respiro di nuovo si prende:
il respiro che alitando bocca a bocca
ti rese “persona vivens”, lassù…
Da quella vetta dunque inizia
la grande Contesa
E Morte con Amore convive.
E tu hai solo una scelta:
aspirare il suo alito
con la stessa passione….

La celebrazione liturgica deve tornare ad essere un luogo piacevole in cui sperimentare la sobria ebbrezza dello Spirito. Serietà e giocosità, verità e bellezza, comprensione e immaginazione, meditazione ed eccitazione, tutte queste componenti dell’essere umano devono poter trovare nel rito il loro giusto spazio ed equilibrio. Se nel passato vi erano pratiche di pietà appassionate e di straordinaria commozione, oggi le nostre liturgie sembrano disdegnare ogni forma emozionale oppure le si abbandona ad una sfrenatezza senza controllo. La liturgia si fa maestra e guida degli affetti: li alimenta e al tempo stesso li contiene, li illumina e purifica, li accende e li eleva, preserva quel delicato confine tra l’esternazione e il riserbo, educando così al giusto rispetto dell’intimità.

La liturgia è come un bacio….

di Morena Baldacci
Teologa