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La buona Notizia
Il Vangelo della XIII domenica del tempo ordinario (Mt 10,37-42)

I tratti di un Gesù esigente

 I tratti di un Gesù esigente  QUO-147
27 giugno 2023

Il passo evangelico, che la liturgia di domenica prossima ci presenta, mostra i tratti di un Gesù che appare particolarmente esigente. «Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me» (Matteo, 10, 37).

Il rabbi sta parlando non a folle indistinte di uomini e donne, ma ai suoi discepoli più stretti. Come dev’essere interpretata questa “pretesa gesuana” di un amore che sia, da parte dei suoi, più viscerale di quello dovuto alle viscere che li ha partoriti? Operando un’escursione teologica in terra antico-testamentaria, pare di ritornare con la memoria alla promessa di Adonai, proclamata da Isaia: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Isaia, 49, 15).

Che cosa va dunque cercando questo maestro dal nome Yeshua? La preminenza di amore chiesta ai discepoli è, di fatto, domanda avanzabile solo da uno che è assai prossimo ad Adonai (così intimo da manifestarne la promessa). La preminenza di amore domandata ai discepoli può esser richiesta solo da uno che sia, al contempo, anche radicalmente uomo.

La messa al centro dell’elemento relazionale — dunque dell’amore — nel rapporto maestro-discepolo non è altro che rivelazione di un’umanità traboccante: quella di Gesù.

Il rabbi Yeshua vuole essere amato, posto al centro di ogni centralità d’amore. Così, questo maestro esigente si mette a parlare in seguito anche di croci da accogliere e di vita da perdere: «Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà» (Matteo, 10, 38-39). Nella logica del maestro di Galilea ciò che “si perde” a causa di lui è per lui ritrovato, ciò che è condannato è per lui salvato, ciò che è incompiuto è per lui condotto a compimento.

Le relazioni di amore umano (anche quelle più passionali) non sono annullate in vista della preminenza di amore per lui, tutt’altro: sono estese. Allo stesso modo la croce non è paradigma dell’esistenza cristiana, ma solo “una sua parte tra le altre”: il penultimo atto che anticipa l’atto finale, la resurrezione. Proprio lì dove è domandata dal rabbi Yeshua una superiorità d’amore sugli altri amori accade il rovesciamento rivelativo: l’amore per il maestro è il solido terreno perché ogni amore umano possa dispiegarsi con pieno vigore. A tal proposito viene efficacemente in nostro aiuto la bellissima metafora del pastore luterano Dietrich Bonhoeffer: «Dio e la sua eternità vogliono essere amati con tutto il cuore; non in modo che ne risulti compromesso o indebolito l’amore terreno, ma in certo senso come cantus firmus (canto fermo), rispetto al quale le altre voci della vita suonano come contrappunto; uno di questi temi contrappuntistici, che hanno la loro piena autonomia e che sono tuttavia relazionati al cantus firmus, è l’amore terreno. Dove il cantus firmus (l’amore a Cristo) è chiaro e distinto, il contrappunto (ogni amore umano) può dispiegarsi con il massimo vigore».

Così è da intendere la preminenza dell’amore “dovuto” a Dio rispetto a quello donato all’uomo: come una preminenza fondativa.

Il bacio a Cristo rende pienezza ogni bacio dato all’uomo (e agli uomini) nel mondo. 

di Deborah Sutera