· Città del Vaticano ·

«Le ferrovie del Messico» di Gian Marco Griffi

Un viaggio fantastico
tra lirismo e ironia

 Un viaggio fantastico  tra lirismo e ironia   QUO-142
21 giugno 2023

Volto l’ultima pagina de Le Ferrovie del Messico (Milano, Laurana editore, 2022, pagine 824, euro 22) e provo subito un pacificante sentimento di soddisfazione.

E non solo perché sono arrivato felicemente in cima alla montagna cartacea delle oltre 800 pagine ma perché credo di aver capito cosa mi piace (molto) e cosa meno (assai poco) di questo libro di Gian Marco Griffi.

Dice: è una variante del modernismo letterario, per quel gusto enciclopedico, la capacità di essere al contempo veridici e mistificatori e via discorrendo.

Ma tra le caratteristiche di quella temperie novecentesca e dei suoi epigoni manca del tutto, e per fortuna, quella complessità studiata a tavolino che impone, come imprescindibili, stilemi astratti e situazioni mentalmente predisposte e quindi calate sulle parole, spesso artificiosamente difformi dal comune patrimonio delle esperienze, con tanto di postura da sopracciglio inarcato e corrispondente degnazione verso il resto della produzione che tanto intimidisce.

E c’è invece in questo libro monstre, che la timidezza neanche sa cosa sia, l’antico, sfrenato, gustosamente combinatorio piacere del narrare, che sorride beato ai diktat delle scuole di scrittura sulla mistica del taglio, come al divieto di “spiegare troppo perché va lasciato spazio all’immaginazione al lettore”, perché in queste 800 pagine Griffi spiega e dice, dice e stradice, affabula e incanta, ma la sua originalità è, per così dire, nel modo naturale in cui l’immaginazione si genera all’interno del tessuto narrativo e alla fine rende plausibile e armonizzata col tutto anche la propria torrenziale, esuberante e straniante inventiva, le citazioni colte, i riferimenti criptici, le situazioni improbabili miracolosamente funzionali alla storia anche quando seguono a distanza di poche righe un quadro totalmente quotidiano.

E poi la storia, perché qui la storia e la trama contano. E come.

Semplice, lineare ma capace di produrre digressioni, deviazioni, alternanze di voci e altri abili trucchi della valigia del narratore che anche quando scrive in realtà parla.

Perché è come se lo vedessimo Griffi al centro di una piazza al tramonto che illustra la vicenda del suo Cesco Magetti soldato semplice della Guardia nazionale Repubblicana ferroviaria di Asti.

Siamo nel 1944 e lui, straziato da un perenne mal di denti, riceve l’ordine proveniente dalle più alte sfere del Reich di redigere una mappa delle Ferrovie del Messico, compito quantomeno improbo che impiegherà quasi tutto il libro per a suo modo realizzare combinando testimonianze bislacche, ascoltando notizie fuorvianti, sottoponendosi a logorroici informatori jazzofili — e qui magari qualche taglio ci stava — cercando documenti, illustrazioni, libri e trovando indizi insufficienti, spesso falsi, quasi sempre frustranti, mentre noi lettori nel frattempo veniamo trasportati in un Messico forse fittizio forse reale tra allucinazioni e topografie ma anche in un Aldilà che ha la sua porta di accesso nei sotterranei di un bagno pubblico.

Un’epica del trascurabile la definisce Griffi, dando rilevanza a figure e situazioni estrinseche al nocciolo della vicenda e anche questa non è una trovata solo modernista, ma ricorda certi poemi medievali e rinascimentali, non solo l’amato Ariosto, ma il Beowulf su tutti, la cui tecnica caratteristica, erede della tradizione orale, è mettere al centro episodi apparentemente irrilevanti e relegare ai margini la trama principale.

Bisogna essere lirici e ironici allo stesso tempo, recita la quarta di copertina e forse a volte il connubio non risulta del tutto riuscito, soprattutto quando alcuni personaggi tratteggiati nel registro comico e surreale fanno i conti con la propria interiorità, lasciando il lettore incerto se debba commuoversi o assistere all’ennesimo gioco di straniamento.

Ma siccome il sottoscritto tifa per il lirismo chiude questa recensione con una chiara citazione di “bandiera” attraverso la voce di un personaggio.

«Credo fosse questo il motivo per cui amava i poeti, i trovatori, i giullari, giacché nelle loro voci scopriva quello stesso scontro, quella folle corsa della vita verso la gioia (…) Lo diceva sempre mia madre che taluni hanno ricevuto in sorte una sensibilità superiore (mi insegnò a riconoscerli dagli occhi) e che a loro tocca di combattere per tutto ciò che gli uomini gettano via nella discarica del trascurabile, un fiore, un sasso, una porta non aperta, un sentimento, un sogno infantile».

di Saverio Simonelli