· Città del Vaticano ·

Il cardinale Parolin al Forum per il dialogo e la pace nei Balcani

Costruire ponti e non muri

 Costruire ponti  e non muri  QUO-139
17 giugno 2023

La Santa Sede, fedele alle parole del Signore «beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio», è sempre stata percepita come «un attore internazionale sovrano e indipendente, libero da interessi materiali, politici, economici e militari». Pertanto, è considerata un’entità in grado «di mediare i conflitti tra gli Stati o di aiutare la riconciliazione delle parti in conflitto, anche all’interno degli Stati». Lo ha sottolineato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, intervenendo al Forum per il dialogo e la pace nei Balcani, svoltosi a Capodistria, in Slovenia, sabato 17 giugno.

Nel mondo di oggi, dilaniato da guerre come quella in Ucraina e da altri conflitti, ha evidenziato il segretario di Stato, è «fondamentale discutere di pace e dialogo». È ancora più appropriato affrontare questi temi in relazione alla regione balcanica, che talvolta è stata definita la «polveriera d’Europa» ma che è stata anche «testimone di straordinari esempi di coesistenza pacifica tra persone di etnie, culture e religioni diverse nel corso dei secoli».

La storia dei Paesi balcanici ha dimostrato come sia possibile «creare una società in cui le differenze non siano un peso ma una fonte di ricchezza». D’altra parte, purtroppo, questa terra «ha anche dimostrato quanto poco ci voglia per distruggere una società di questo tipo». Per questo, l’incontro interreligioso — al quale partecipano rappresentanti di alto livello di tutte le principali religioni: cristianesimo, islam ed ebraismo, provenienti da 15 Paesi della penisola balcanica e dall’Asia minore — è la risposta della Chiesa locale alla chiamata di Dio ad aprirsi al dialogo, che incoraggia le comunità religiose della regione a lavorare per la pace.

Spiegando l’azione della Santa Sede nel conflitto balcanico nel periodo precedente la dissoluzione della Jugoslavia, il segretario di Stato ne ha rimarcato l’«assoluta fedeltà alla missione della Chiesa nel mondo, come sottolineato dal concilio Vaticano ii ». Poi, di fronte alla nuova situazione creatasi dopo le elezioni politiche del 1990 e alle emergenti tendenze separatiste in Croazia e Slovenia, la Santa Sede «ha adottato un atteggiamento di grande prudenza». Dal gennaio 1991, essa ha alzato la voce chiedendo «il rispetto del diritto dei popoli all’autodeterminazione, il rispetto dei diritti degli individui e delle comunità nazionali e il rifiuto dell’uso della forza per risolvere le controversie». Ha incoraggiato «l’instancabile ricerca del dialogo tra le parti e il ristabilimento di una coesistenza pacifica tra i popoli» basata «sul rispetto reciproco e sulla giustizia».

Quando il 25 giugno 1991 sono iniziate le operazioni armate in Slovenia e Croazia, l’azione della Santa Sede si è fatta ancora più insistente. Con l’aggravarsi della situazione, è cresciuta «la convinzione che il riconoscimento internazionale dell’indipendenza di Croazia e Slovenia potesse facilitare il perseguimento della pace». E questa convinzione ha portato la Santa Sede «a promuovere l’emergere di un consenso internazionale sul riconoscimento immediato delle due Repubbliche». Allo stesso tempo, Giovanni Paolo ii , «ha fatto ripetutamente appello ai credenti e ai leader religiosi delle tre comunità presenti in quelle Repubbliche: cattolici, ortodossi e musulmani», esortandoli a «intensificare il dialogo e l’azione comune nella ricerca di un clima di pace e di una cultura dell’incontro». Anche oggi i Balcani, ha osservato il segretario di Stato, «hanno bisogno di investire molto in questa cultura dell’incontro per superare la cultura dello scontro».

Il cardinale ha poi fatto riferimento al dialogo interreligioso come condizione essenziale per la pace. Infatti, uno degli elementi importanti «della cultura dell’incontro, accanto all’ospitalità e all’impegno, è il dialogo». E lo è in particolare «per il futuro pacifico dei Balcani, dove le culture latina, bizantina e islamica si sono incontrate e talvolta scontrate per secoli».

Durante la sua visita in Bosnia ed Erzegovina, nel 2015, Papa Francesco ha ribadito che «il dialogo interreligioso, qui come altrove nel mondo, è una condizione essenziale per la pace, e quindi un dovere per tutti i credenti». Ha ricordato che i leader religiosi sono «i primi custodi della pace» e che rafforzando il dialogo «si può resistere all’estremismo, che purtroppo si manifesta anche all’interno delle religioni».

Del resto, negli insegnamenti del Pontefice il dialogo ecumenico e interreligioso è descritto «sotto la categoria dell’incontro, come un’esortazione a costruire ponti anziché muri»: è questa «l’architettura più impegnativa per costruire il futuro». Un ponte unisce, «crea comunione, apre le porte al dialogo e alla conoscenza e consolida i territori». Un muro, invece, «separa, disintegra, promuove l’autoreferenzialità e la chiusura e limita gli orizzonti».

Infine, quando si parla di pace e dialogo nei Balcani non si può «non menzionare l’opportunità offerta dal percorso europeo per l’intera regione». La prospettiva dell’allargamento dell’Unione Europea si è rivelata infatti «un’opportunità favorevole per promuovere riforme strutturali in ambito politico, economico e sociale, nonché per favorire la pace, la stabilità e la democrazia in tutto il continente». Da parte loro, «i Paesi dei Balcani occidentali aspirano a un’integrazione istituzionale con gli Stati che già fanno parte dell’Unione Europea». E la Santa Sede, ha ribadito Parolin, «guarda con favore a questa aspirazione, la sostiene con forza e spera che trovi una valida e piena realizzazione per alleviare il senso di abbandono che affligge i cittadini che guardano con speranza all’Unione Europea per un futuro di crescita e prosperità».