· Città del Vaticano ·

Il Meeting mondiale sulla fraternità umana
Il discorso preparato da Papa Francesco

Non stanchiamoci di gridare
“no alla guerra”

 Non stanchiamoci di gridare  “no alla guerra”  QUO-134
12 giugno 2023

«Non stanchiamoci di gridare “no alla guerra”, in nome di Dio o nel nome di ogni uomo e di ogni donna che aspira alla pace». Lo ha scritto Papa Francesco nel discorso in occasione del Meeting sulla fraternità umana, svoltosi sabato 10 giugno. Dal policlinico Gemelli il Pontefice ha voluto unirsi idealmente ai partecipanti inviando loro il testo — che pubblichiamo di seguito — letto dal cardinale Mauro Gambetti.

Care sorelle e cari fratelli,
buon pomeriggio!

Anche se non posso accogliervi di persona, vorrei darvi il mio benvenuto e ringraziarvi di cuore per essere venuti. Sono contento di affermare insieme a voi il desiderio di fraternità e di pace per la vita del mondo. Uno scrittore ha posto sulle labbra di Francesco di Assisi queste parole: «Il Signore è là dove sono i tuoi fratelli» ( E. Leclerc , La sapienza di un povero). Davvero, il Cielo che sta sopra di noi ci invita a camminare sulla terra insieme, a riscoprirci fratelli e a credere nella fraternità come dinamica fondamentale del nostro peregrinare.

Nell’Enciclica Fratelli tutti ho scritto che «la fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza» (n. 103), perché chi vede un fratello vede nell’altro un volto, non un numero: è sempre “qualcuno” che ha dignità e merita rispetto, non “qualcosa” da utilizzare, sfruttare o scartare. Nel nostro mondo, dilaniato dalla violenza e dalla guerra, non bastano ritocchi e aggiustamenti: solo una grande alleanza spirituale e sociale che nasca dai cuori e ruoti attorno alla fraternità può riportare al centro delle relazioni la sacralità e l’inviolabilità della dignità umana.

Per questo la fraternità non ha bisogno di teorie, ma di gesti concreti e di scelte condivise che la rendano cultura di pace. La domanda da porci non è dunque che cosa la società e il mondo possono darmi, ma che cosa posso dare io ai miei fratelli e alle mie sorelle. Tornando a casa, pensiamo a quale gesto concreto di fraternità fare: riconciliarci in famiglia, con gli amici o con i vicini, pregare per chi ci ha ferito, riconoscere e aiutare chi è nel bisogno, portare una parola di pace a scuola, in università o nella vita sociale, ungere di prossimità qualcuno che si sente solo...

Sentiamoci chiamati ad applicare il balsamo della tenerezza all’interno delle relazioni che si sono incancrenite, tra le persone come tra i popoli. Non stanchiamoci di gridare “no alla guerra”, in nome di Dio o nel nome di ogni uomo e di ogni donna che aspira alla pace. Mi vengono alla mente quei versi di Giuseppe Ungaretti che, nel cuore della guerra, sentì il bisogno di parlare proprio dei fratelli come «Parola tremante / nella notte / Foglia appena nata». La fraternità è bene fragile e prezioso. I fratelli sono l’ancora di verità nel mare in tempesta dei conflitti che seminano menzogna. Evocare i fratelli è ricordare a chi sta combattendo, e a tutti noi, che il sentimento di fraternità che ci unisce è più forte dell’odio e della violenza, anzi accomuna tutti nello stesso dolore. È da qui che si parte e si riparte, dal senso del “sentire insieme”, scintilla che può riaccendere la luce per fermare la notte dei conflitti.

Credere che l’altro sia fratello, dire all’altro “fratello” non è una parola vuota, ma la cosa più concreta che ciascuno di noi può fare. Significa infatti emanciparsi dalla povertà di credersi al mondo come figli unici. Significa, al tempo stesso, scegliere di superare la logica dei soci, che stanno insieme solo per interesse, sapendo anche andare oltre i limiti dei vincoli di sangue o etnici, che riconoscono solo il simile e negano il diverso. Penso alla parabola del Samaritano (cfr. Lc 10, 25-37), che si ferma con compassione davanti al giudeo bisognoso di aiuto. Le loro culture erano nemiche, le loro storie diverse, le loro regioni ostili l’una all’altra, ma per quell’uomo la persona trovata per strada e il suo bisogno vengono prima di tutto.

Quando gli uomini e le società scelgono la fraternità anche le politiche cambiano: la persona torna a prevalere sul profitto, la casa che tutti abitiamo sull’ambiente da sfruttare per i propri interessi, il lavoro viene pagato con il giusto salario, l’accoglienza diventa ricchezza, la vita speranza, la giustizia apre alla riparazione e la memoria del male procurato viene risanata nell’incontro tra vittime e rei.

Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per aver organizzato questo incontro e per aver dato vita alla “Dichiarazione sulla fraternità umana”, elaborata stamani dagli illustri Premi Nobel presenti. Credo che essa ci offra “una grammatica della fraternità” e sia una guida efficace per viverla e testimoniarla ogni giorno in modo concreto. Avete lavorato bene insieme e vi ringrazio tanto! Facciamo in modo che quanto vissuto oggi sia il primo passo di un cammino e possa avviare un processo di fraternità: le piazze collegate da varie città del mondo, che saluto con gratitudine e affetto, testimoniano sia la ricchezza della diversità, sia la possibilità di essere fratelli anche quando non siamo vicini, com’è capitato a me. Andate avanti!

Vorrei salutarvi lasciandovi un’immagine, quella dell’abbraccio. Di questo pomeriggio trascorso insieme vi auguro di custodire nel cuore e nella memoria il desiderio di abbracciare le donne e gli uomini di tutto il mondo per costruire insieme una cultura di pace. La pace, infatti, ha bisogno di fraternità e la fraternità ha bisogno di incontro. L’abbraccio dato e ricevuto oggi, simboleggiato dalla piazza nella quale vi state incontrando, diventi impegno di vita. E profezia di speranza. Io stesso vi abbraccio e, mentre vi ripeto il mio grazie, di cuore vi dico: sono con voi!


L’abbraccio al mondo


Un abbraccio idealmente grande quanto il Colonnato del Bernini, formato da tanti giovani che si tenevano per mano a simboleggiare la fraternità umana. Ogni ragazzo indossava una maglietta su cui era riprodotta la bandiera di una nazione. Intanto, in piazza San Pietro — e in mondovisione sui media Vaticani, Rai 1 e in streaming sulle piattaforme social della Fondazione Fratelli tutti — si diffondevano le note della celebre canzone We are the world. 

È stato questo uno dei momenti più significativi del primo Meeting mondiale della fraternità umana, che si è svolto sabato pomeriggio, 10 giugno, in piazza San Pietro. L’iniziativa — che ha avuto un momento di dibattito al mattino e uno pubblico nel pomeriggio — è stata promossa dall’istituzione  ispirata all’omonima enciclica di Papa Francesco. «#Not alone» il tema scelto per questa edizione. Un incontro, presentato da Carlo Conti, in cui si sono alternati musiche e testimonianze in collegamento in diretta da otto piazze del mondo.

Altro momento importante è stata la firma della Dichiarazione sulla fraternità umana, preparata al mattino da trenta premi Nobel. Il testo, che suona come un appello alla pace e alla giustizia sociale, è stato letto da Nadia Murad, attivista per i diritti umani in Iraq e premio Nobel per la pace del 2018, e dal bengalese Muhammed Yunus, promotore del microcredito, che ricevette il Nobel nel 2006. «All’odio rispondiamo con l’amore — si sottolinea nel documento — per creare società di pace, unificare la terra macchiata dal sangue della violenza e dell’odio, dalle disuguaglianze sociali e dalla corruzione del cuore. Lo vogliamo gridare al mondo nel nome della fraternità: non più la guerra!».

Il cardinale Pietro Parolin, firmando la Dichiarazione, ha detto che «abbiamo tanti problemi nel mondo, però abbiamo anche una risposta, una strada maestra sulla quale possiamo camminare tutti per tentare con buona volontà e con impegno di risolvere queste difficoltà»; ed è la «strada della fraternità», che la Chiesa «ha sempre indicato al mondo e che Papa Francesco ha ripreso in maniera molto precisa e determinata nell’enciclica Fratelli tutti». Per questo, tutto ciò che va «nel senso della fraternità umana può davvero essere la via per costruire un mondo nuovo, diverso, di pace e di solidarietà», e questo «gesto che abbiamo compiuto va proprio in questo senso». Da qui l’auspicio perché queste parole così impegnative possano «tradursi nella pratica di tutti i giorni», non delegando agli altri, in quanto «ognuno di noi deve fare la sua parte». Il cardinale Mauro Gambetti, presidente della Fondazione, ha letto il messaggio che Papa Francesco ha inviato al Meeting.