«Un instancabile ministero di riconciliazione e di consolazione, di conforto e di sostegno in quel cammino della vita che per tanti appare arduo e pesante da portare con amore», soprattutto in questo tempo «duro e difficile, segnato da divisioni e guerre fratricide, fino all’ultima nella vicina Ucraina»: è quello che il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, ha chiesto a monsignor Diego Giovanni Ravelli, maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie e responsabile della Cappella musicale pontificia Sistina, ordinandolo vescovo sabato pomeriggio, 3 giugno, all’altare della Cattedra della basilica Vaticana, alla presenza di Papa Francesco. Era stato proprio il Pontefice, lo scorso 21 aprile, a elevarlo all’episcopato, assegnandogli la Chiesa titolare di Recanati e conferendogli il titolo personale di arcivescovo.
Co-ordinanti il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski, con cui Ravelli ha collaborato per otto anni, e il vescovo Guido Marini, oggi ordinario di Tortona, predecessore del novello presule come maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie. Erano presenti la mamma Carla, con altri famigliari e amici. Tra i numerosi concelebranti il decano e il vice decano del Collegio cardinalizio, Giovanni Battista Re e Leonardo Sandri, e il vescovo Stefano Russo, pastore della diocesi di Velletri-Segni, al cui clero appartiene l’ordinato. Sacerdoti assistenti sono stati don Cesare Bianchi e Giancarlo Moscatelli, parroco di Lazzate, dove il presule è nato. «In questo ministero della consolazione e dell’incoraggiamento — gli ha detto il porporato — tu sarai strumento di tutte quelle grazie che il Signore ha riservato per tempi difficili e oscuri, affinché anche in una società segnata da secolarismo e indifferenza appaia ancora ogni giorno il miracolo di comunità che lodano Dio e proclamano la gioia del Vangelo».
All’inizio dell’omelia il cardinale Parolin ha fatto riferimento al luogo del suggestivo rito, la «basilica di San Pietro, che ti ha visto tante volte in questi ultimi anni» — la nomina risale all’11 ottobre 2021 — «nell’esercizio dell’ufficio di maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie», di cui «per volontà del Santo Padre» l’arcivescovo Ravelli continuerà ad occuparsi: «A te il compito di far risplendere le celebrazioni presiedute dal Pontefice per decoro, semplicità e ordine, in modo da guidare i fedeli all’incontro con il mistero pasquale di Cristo».
Commentando le letture, il segretario di Stato, a proposito della prima, tratta dal libro del Profeta Geremia, ha spiegato che «il Signore non ci ha scelti perché adatti a essere preti, religiosi o vescovi; ma, chiamandoci, ha messo in noi ciò che è necessario per realizzare questa missione. Il suo amore e la sua scelta sono segni della sua assoluta gratuità e benevolenza. Il tuo nuovo ministero sia vissuto, dunque, con serenità di animo, con inalterabile fiducia nella grazia di Dio e anche con un pizzico di buon umore» ha raccomandato il cardinale, evidenziando anche «la tentazione che può cogliere un vescovo — o un prete — quando per i più svariati motivi il ministero diviene pesante, insopportabile, e dal suo cuore sale la domanda: “Chi me lo fa fare?”». Ed è allora, ha aggiunto, che «occorre saper rinnovare le motivazioni della scelta e fondare la propria fedeltà e perseveranza sul fatto che si è detto un sì a Qualcuno, non a qualcosa o a qualche attività o prestazione».
Passando poi alla pagina del Vangelo di Giovanni proposta dalla liturgia, in cui Gesù attribuisce a sé stesso l’immagine della vite, Parolin ha spiegato: «Con il Battesimo è avvenuto un innesto: noi, rami per qualche misura selvatici, siamo stati innestati alla vite che ha la pienezza del rigoglio. Custodisci sempre, caro don Diego, quest’innesto, abbine cura, perché senza questa comunicazione con Gesù e il suo Vangelo, si interrompe il flusso della linfa e rischiamo di rinsecchire». Al punto che «più dell’invecchiare negli anni, dovrebbe preoccuparci l’inaridirsi, il rinsecchirsi, l’ammuffire nello Spirito».
Rimarcando poi il legame indelebile tra la figura e la vocazione del pastore nella Chiesa, il cardinale ha quindi rilanciato «le dure parole di Gesù sui mercenari che abbandonano il gregge se vedono venire il lupo; tanti sono i richiami dei Padri della Chiesa sui pastori che “tosano” il gregge invece che servirlo. Il nostro ministero è una pedagogia dell’incontro con Cristo; prendere i fratelli per mano, condurli a incontrare Gesù unico salvatore, e poi ritirarci in silenzio. La nostra persona, da sé, non conta niente sibi non pascere».
Infine una riflessione sul motto episcopale scelto da Ravelli, Evangelii gaudium, tratto dall’esortazione apostolica di Papa Francesco sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale. «Queste parole evocano la tua gioia di avere incontrato il Signore e di avere aderito a lui, diventando suo discepolo e strumento vivo della sua misericordia. Siamo certi che, con il passare del tempo, questa gioia non solo non sarà ridimensionata dalle fatiche e dalle prove, ma andrà crescendo e irrobustendosi. Se vivrai per il Vangelo, ancor prima dovrai vivere del Vangelo», ha concluso Parolin, affidando il novello presule alla Vergine Maria, Mater Ecclesiae, la cui stella brilla nel suo stemma episcopale.