· Città del Vaticano ·

Oltre 800 milioni di persone nel mondo soffrono la fame
mentre ogni anno si sprecano 1,3 miliardi di tonnellate di cibo

Un paradosso feroce

An internally displaced woman gets her arm measured during a food distribution organised by the ...
01 giugno 2023

È un paradosso. Un tragico, drammatico e feroce paradosso, quello che vede una parte del mondo soffrire la fame e un’altra parte del pianeta sprecare il cibo. I dati non mentono: secondo il direttore esecutivo del Fondo alimentare mondiale (Wfp), Cindy McCain, nel mondo ci sono almeno 80 Paesi che hanno bisogno di cibo, un bisogno che diventa sempre più disperato a causa dei danni provocati dai cambiamenti climatici. Mentre la Fao lancia l’allarme per i 3,1 miliardi di persone in stato di insicurezza alimentare nel mondo e gli 828 milioni di uomini, donne e bambini che patiscono la fame, spesso acuita dalla concomitanza di crisi politiche, economiche e climatiche.

Già doloroso di per sé, questo scenario lo diventa ancora di più se si pensa che ogni anno un terzo del cibo ancora commestibile (circa 1,3 miliardi di tonnellate all’anno) finisce nella spazzatura.

Cosa fare allora? La Fao e il Wfp invocano azioni decise per constrastare le conseguenze dei cambiamenti climatici, tutelare le persone più vulnerabili e investire nelle aree rurali. Ma i grandi cambiamenti iniziano da piccoli passi, come quelli che compie da vent’anni, in Italia, il Banco Alimentare: finora, attraverso l’iniziativa “Siticibo”, la Fondazione ha raccolto le eccedenze della ristorazione e della grande distribuzione mettendo in salvo l’equivalente di oltre 203 milioni di pasti, donati alle persone povere e affamate. Perché salvare il cibo spesso equivale a salvare una vita.
 

L’impegno ventennale della Fondazione Banco Alimentare
 contro gli sprechi di cibo 

Portare in tavola la solidarietà e la speranza

Tre cotolette alla milanese e quattro crocchette di patate, recuperate da una mensa aziendale di Segrate: la storia del programma “Siticibo” della Fondazione Banco Alimentare parte da qui. Ed è una storia che in Italia prosegue dal 2003, ovvero da vent’anni. Due decenni durante i quali — spiega una nota — sono stati salvati dallo spreco 203 milioni di pasti, dei quali 13 milioni dalla ristorazione e 190 milioni, equivalenti a 95.000 tonnellate di alimenti, dai punti vendita della Grande distribuzione organizzata (Gdo).

La storia del programma solidale si snoda attraverso alcune tappe significative, come la legge 155/2003, detta anche “del Buon Samaritano” che disciplina la distribuzione dei prodotti alimentari a fini di solidarietà sociale, cercando una soluzione — afferma il Banco Alimentare — a «l’elevato spreco di alimenti nelle mense scolastiche e nella ristorazione collettiva, che contrastava con l’allungarsi delle file fuori dalle mense per poveri». Il 2005, poi, segna un altro passaggio-chiave: in quell’anno, l’organizzazione benefica avvia il recupero dal canale della Gdo, ovvero «dai supermercati da cui vengono ritirate le eccedenze alimentari secche, fresche, cotte, surgelate che non possono più essere commercializzate, ma possono essere donate». Infine, con l’entrata in vigore della legge 166/2016, nota come “legge Gadda”, si punta non solo alla «donazione e alla distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale, ma anche alla limitazione degli sprechi». La sottolineatura non è da poco, dato che in Italia, ogni anno, viene sprecato cibo per un valore di 9 miliardi di euro. Basti dire che in media, nei rinfreschi, viene preparato il 30 per cento di cibo in più rispetto a quello realmente consumato.

Massima attenzione viene riservata anche alla sostenibilità ambientale, tanto che nel 2015 il Banco Alimentare ha avviato il progetto “Impatto+” dedicato a quantificare gli impatti ambientali positivi e negativi delle sue attività con un indicatore: le tonnellate di Co2 equivalente risparmiate. Nel 2022, ad esempio, sono state 52.440 le tonnellate di Co2 non emesse, rispetto alle 46.000 tonnellate di alimenti salvati dallo spreco.

Fondamentale, inoltre, è la diversificazione del prodotto che “Siticibo” rende disponibile, distribuendo un’ampia varietà di alimenti sia freschi che cotti. E mentre prima dell’avvento di “Siticibo” si recuperavano solo cibi secchi, ovvero quelli definiti «beni di prima necessità», oggi si va dal gelato al pollo fritto. Ad un occhio disattento tutto questo potrebbe sembrare superfluo, ma in realtà non lo è: «Il cibo non è mero nutrimento, bensì è anche occasione di racconto — spiega il Banco Alimentare —. E dunque, il pollo fritto contiene in sé un valore inestimabile, relazionale, ossia la possibilità, ad esempio, per i ragazzi di una casa famiglia di confrontarsi con i compagni di scuola e sentirsi esattamente uguali a loro». In questo senso, la questione del cibo diventa una questione di equità sociale e il recupero degli alimenti si trasforma in dialogo, in relazione con l’altro. In fondo, il richiamo al prossimo è contenuto nel nome stesso di “Siticibo” che «coniuga in sé il riferimento al cibo e la positività di un “sì”, inserendo però quel “ti” che sposta l’attenzione verso gli altri», afferma la Fondazione. Ma il neologismo evoca anche il concetto di città: “siti” è la pronuncia della parola inglese “city”, in omaggio al modello americano di “City Harvest”, è una delle più grandi organizzazioni di soccorso alimentare di New York, negli Stati Uniti.

Per il futuro, il Banco Alimentare punta a un ulteriore sviluppo con un obiettivo di aumento nel triennio del numero dei punti vendita Gdo coinvolti (+24 per cento) e una conseguente crescita degli alimenti recuperati (+20 per cento). Perché, come afferma il suo presidente, Giovanni Bruno, «la gente seria pratica la speranza».

di Isabella Piro