· Città del Vaticano ·

Il tema della settimana

Occhi che guardano, immaginano, sognano

 Occhi che guardano, immaginano, sognano  QUO-126
01 giugno 2023

L’appuntamento era per le 9 del mattino. Ma già alle 8.30 eravamo tutti in attesa davanti a Porta Sant’Anna: oltre 40 poeti, narratori, sceneggiatori che sono arrivati a Roma da Canada, India, Irlanda, Italia, Kenya, Nigeria, Polonia, Regno Unito, Stati Uniti, Uganda. Con loro erano presenti familiari, studiosi e gli organizzatori di un seminario sul tema dell’immaginazione poetica e dell’ispirazione cattolica, frutto della collaborazione tra «La Civiltà Cattolica» e la Georgetown University, due antiche istituzioni della Compagnia di Gesù. Alle 10.30 era fissata un’udienza con Papa Francesco. Il giorno precedente il Pontefice aveva annullato tutti gli incontri a causa di uno stato febbrile. Quando l’abbiamo saputo la febbre era venuta a noi: sarebbe stato un vero peccato perdere quell’occasione. La febbre ci era passata quando, più tardi, abbiamo saputo che tutto rimaneva confermato.

Per tre giorni gli scrittori si sono confrontati nella sede della rivista su come la fede cattolica plasmi l’immaginazione e dia vita all’espressione artistica. I presenti si identificano come cattolici, o sentono che il cattolicesimo è stato una dimensione formativa del loro sviluppo artistico. Si sono pure chiesti in che modo gli artisti utilizzano discorsi — a volte anche trasgressivi o eterodossi — che mettono in discussione l’eredità intellettuale, sociale o politica in cui questa fede è vissuta nel mondo contemporaneo.

Tutti sono arrivati a Roma per parlare insieme di questi argomenti che coinvolgono la vita e l’ispirazione. Da qui il desiderio di ritrovarsi con Francesco per ascoltare le sue parole, le parole di Pietro.

Avevo incontrato il regista Martin Scorsese nella sua casa di New York un paio di mesi prima. Gli avevo detto di questo convegno e lì per lì, senza averci pensato prima, l’ho invitato, approfittando della presenza del regista a Cannes per la presentazione del suo film Killers of the Flower Moon in uscita a ottobre. Pensavo che l’incontro col Papa sarebbe stato un momento importante anche per lui (e non era il primo). E che sarebbe stato splendido avere una conversazione tra noi davanti a persone che hanno nella creatività il motore della loro opera, della loro espressione. Immaginavo un incontro a «La Civiltà Cattolica» a porte chiuse, intimo, in qualche modo. L’abbiamo realizzato. Scorsese aveva letto la prefazione del Papa al mio libro Una trama divina. Gesù in controcampo. Lì il Papa aveva rivolto un appello agli artisti: «abbiamo bisogno della genialità di un linguaggio nuovo, di storie e immagini potenti, di scrittori, poeti, artisti capaci di gridare al mondo il messaggio evangelico, di farci vedere Gesù». Scorsese l’aveva preso molto sul serio, con la forza di un invito personale: doveva rispondere. Non con un saggio, ma da regista — mi aveva scritto in una mail — con una sceneggiatura, «qualcosa che catturi l’occhio e la mente in modo inaspettato». E così ha fatto. E la sua ricerca su Gesù sta proseguendo, ha chiaramente detto nella conversazione a «La Civiltà Cattolica».

Ma facciamo un passo indietro. L’ingresso in Vaticano del regista, della moglie Helen e della figlia Francesca era atteso alle 9.30. Alle 9.28 erano già in Sala Clementina. E il Papa è arrivato con un anticipo di 20 minuti sulla tabella di marcia.

Appena si sono aperte le porte è scoppiato l’applauso. L’uomo vestito di bianco con il suo bastone ha fatto i primi passi verso la sedia. Ma il suo sorriso e i suoi occhi erano rivolti verso i poeti. E si sono fermati a un certo punto. E si è fermato anche lui. Ha cambiato direzione e si è diretto verso la prima fila, dove al centro era la famiglia Scorsese. Ho assistito allo scambio degli sguardi, all’intreccio delle mani di Martin, di Helen e di Francesco: un intreccio indistricabile che accompagnava il loro sorriso. «Che coraggio a venire fin qui», ha sussurrato il Papa. E Francesco ha guardato Helen, affetta da una infermità debilitante. Le mani si sono sciolte solo per permettere a Francesco di estendere il suo braccio fino alla testa di Helen per una benedizione che aveva la forma di una carezza.

Solo dopo questo saluto il Papa ha ripreso il suo cammino verso la sedia. Ho pronunciato qualche parola di saluto a nome di tutti. «Sono lieto di incontrarvi», ha risposto. E lo era davvero. E ha iniziato immergendo la sua stessa esperienza di vita nelle sue parole: «Ho amato molti poeti e scrittori nella mia vita, tra i quali ricordo soprattutto Dante, Dostoevskij e altri ancora. Devo anche ringraziare i miei studenti del Colegio de la Inmaculada Concepción di Santa Fe, con i quali ho condiviso le mie letture quando ero giovane e insegnavo letteratura. Le parole degli scrittori mi hanno aiutato a capire me stesso, il mondo, il mio popolo; ma anche ad approfondire il cuore umano, la mia personale vita di fede, e perfino il mio compito pastorale, anche ora in questo ministero».

Da qui ha proseguito in un discorso mozzafiato sulla poesia come «spina nel cuore», sulla necessità del realismo e insieme del sogno, dell’arte come antidoto alla vita intesa come calcolo. Ha parlato dell’esperienza «debordante», straripante, di Dio, e per questo ha chiesto di «andare oltre i bordi chiusi e definiti», di non addomesticare le inquietudini, di «tenere acceso il fuoco delle passioni buone». Ma comunque — ha proseguito — anche affrontando le critiche, «non smettete di essere originali, creativi. Non perdete lo stupore di essere vivi».

La commozione per le parole del Pontefice ha avuto una eco nei saluti personali, un piccolo pellegrinaggio ad Petri sedem per chiedere una benedizione, dare un sorriso, e magari un dono. Gli Scorsese hanno dato al Papa regali provenienti dalle mani delle popolazioni native degli Osage, residenti nella regione delle Grandi Pianure, che oggi vivono nello stato dell’Oklahoma (Usa). Killers of the Flower Moon parla di loro che, negli anni Venti, furono oggetto di avidità, omicidi e razzismo dopo che il petrolio venne scoperto nella loro terra. Francesco, del resto, lo aveva appena detto citando i Fratelli Karamazov: l’arte parla anche «dei conflitti sociali, dei nostri egoismi personali».

Tutto sono andati via custodendo nel cuore un Francesco vulcanico, che ha alzato il pugno per rafforzare il senso di alcune parole, aggiungendo espressioni a braccio. Gli artisti sono responsabili della nostra immaginazione. E oggi la Chiesa — ha detto con parole inequivocabili — «ha bisogno della vostra genialità». Perché? Perché essa «ha bisogno di protestare, chiamare e gridare» in questo mondo. Poesia e parresia: un binomio inscindibile.

di Antonio Spadaro
Direttore de «La Civiltà Cattolica»