· Città del Vaticano ·

Ricordo del canonista Manuel Jesús Arroba Conde

Amico, fratello, padre
e maestro

 Amico, fratello, padre e maestro  QUO-126
01 giugno 2023

Un amico, un fratello, un padre, un maestro: molti di coloro che hanno conosciuto e frequentato padre Manuel Jesús Arroba Conde (Cmf) — morto martedì 30 maggio a Madrid all’età di 65 anni — si stanno chiedendo in queste ore «chi» di questi abbiano perduto. Nondimeno egli è stato un vero conoscitore del Diritto canonico in ciascuna delle sue specializzazioni, sebbene la sua attività primaria sia stata focalizzata sul Diritto processuale canonico e soprattutto per questo sia stato ben conosciuto dagli specialisti.

Con una formazione filosofica e teologica di primissimo ordine, arrivando a Roma con una licenza in Teologia dogmatica a Granada, nell’Institutum Utriusque Iuris della Pontificia Università Lateranense conseguì il dottorato in Utroque Iure e nell’autunno 1989 iniziò ad insegnare Diritto processuale canonico, attività svolta per trent’anni, fino al 2019.

La sua formazione di base gli permise di vivere in modo tutto personale il “cambio d’epoca” tra il Codice pio-benedettino e quello derivato dal Vaticano ii , su cui fu tra le prime generazioni a formarsi in modo completo. Forte di una formazione di amplissimo respiro intellettuale, accresciuta dalla concezione del Diritto tipica dell’Utrumque Ius, seppe sfuggire gli approcci unidirezionali, collocando ogni questione canonistica, anche la più specialistica, all’interno dell’orizzonte giuridico più generale, convinto della funzione veicolare del diritto stesso tanto per capire che per spiegare anche le questioni più tecniche. E così, giovanissimo, divenne referendario del Supremo tribunale della Segnatura Apostolica per espressi meriti guadagnati “sul campo”.

L’insegnamento della disciplina più tecnica del Diritto canonico, il Diritto processuale, lo vide ben presto convinto promotore della necessità non tanto di “giustificare” (come si faceva al tempo e spesso si continua) l’esistenza nella Chiesa di un tal genere di disciplina, quanto invece di “collocarla” nel suo corretto “grembo” ecclesiale: la ricerca della verità sulla vita e vocazione delle singole persone proprio laddove le fragilità, sia personali che relazionali o esistenziali in genere, hanno finito per attivare inautenticità ed irrealismi capaci d’impedire lo stesso sorgere di un vero (oltre che valido) matrimonio. Ciò, tuttavia, fuor da ogni soggettivismo, come solo un approccio istituzionale a tale ricerca della verità può assicurare. In tal modo maturò progressivamente la (sua) visione istituzional-personalista non solo del Processo canonico ma del Diritto canonico stesso: una visione che parte e ritorna sempre alla persona concreta, transitando attraverso un ausilio istituzionale che garantisca quanta più verità umanamente possibile: il processo, soprattutto per quanto riguarda cause matrimoniali e penali, altri strumenti non meno specifici e tecnici per altri ambiti.

Proprio su questa linea fu convinto promotore del valore probatorio della dichiarazione delle parti, della perizia almeno sugli atti della causa, della possibilità di farsi sempre assistere da un patrono, non meno che della necessità di supportare la verità ed oggettività del giudizio attraverso un’osservanza scrupolosa della procedura. Convinzioni maturate sul campo come giudice per decenni nel tribunale di prima istanza del Vicariato di Roma e che lo hanno portato ad essere tra i primi e maggiori sostenitori della riforma del Processo di nullità matrimoniale del 2015, all’interno di una “prossimità” che non perde il rigore del “giusto processo”, a garanzia tanto delle parti che della vita ecclesiale stessa. Membro del Sinodo straordinario del 2014, aveva accompagnato “da dentro” il nuovo esito processuale che poi illustrò spesso attraverso l’idea, già formulata nel 1999, della norma missionis quale orizzonte fondamentale entro cui capire, spiegare, far evolvere gli strumenti giuridici ecclesiali.

Un vero patrimonio, non solo scientifico, che seppe trasfondere nella “sua” istituzione di riferimento: l’Institutum Utriusque Iuris, al quale consacrò con vero spirito missionario la maturità della sua vita anche accademica, indirizzando l’applicazione della riforma degli studi canonistici del 2003 verso una proposta didattica alla miglior portata degli studenti laici, in gran parte già professionisti del Diritto di famiglia, per formare intere generazioni di patroni e giudici, oltre che docenti, operanti ormai in tutto il mondo. L’amplissima produzione scientifica, non solo specialistica, rimane più un seme che non soltanto una eredità: seme da far germogliare e fruttificare per il futuro.

di Paolo Gherri
Decano della facoltà di Diritto canonico della Pontificia Università Lateranense