· Città del Vaticano ·

Il racconto

La scelta di mutare l’odio
in speranza di pace

 La scelta di mutare l’odio in speranza di pace  QUO-125
31 maggio 2023

Un dono e un esempio per tutti, anche ai potenti del mondo, questa mattina lo hanno offerto in piazza San Pietro i giovani di “Rondine Cittadella della Pace” di Arezzo. Perché, come ricordato da Papa Francesco nel salutarli, pur «venendo dall’Ucraina e dalla Russia e da altri Paesi di guerra, hanno deciso di non essere nemici, ma di vivere da fratelli», tramutando, non senza difficoltà, l’odio in speranza di pace.

Sono arrivati in piazza San Pietro con il vescovo della diocesi toscana Andrea Migliavacca e il fondatore dell’associazione Franco Vaccari. Fanno parte dello Studentato internazionale - World House, progetto lanciato nel 1998 per giungere a una trasformazione dell’esperienza tragica del conflitto in un luogo dove “coppie di nemici” sono disposte a mettersi in gioco per costruire una concreta relazione di pace. Nonostante questa scelta possa risultare faticosa e pesante, a volte addirittura non condivisa dalle famiglie di appartenenza o dagli amici.

Con loro anche i ragazzi del progetto Mediterraneo, che Rondine porta avanti su indicazione della Conferenza episcopale italiana.

«Sono grato per l’accoglienza riservata da Papa Francesco al “Metodo Rondine”, un’attenzione che conferma quanto la stessa superi i confini della diocesi» ha detto monsignor Migliavacca, sottolineandone, nell’attuale contesto storico, «la realtà profetica che coniuga i giovani e la pace, o meglio ancora, i giovani e la costruzione della pace».

«A ogni stretta di mano che dava ai nostri giovani, il volto del Papa sembrava illuminarsi. È stato un momento di grande bellezza in cui sembravano prendere vita il Pontefice stesso e quei semi di speranza e di pace che animano la nostra attività» ha precisato Vaccari.

Aderendo al progetto Rondine questi studenti hanno accettato di seguire un programma biennale in cui vivere e studiare insieme, guardando in faccia ciò da cui vorrebbero solo fuggire. Sono in tutto poco più di trenta ragazzi, provenienti da territori segnati da conflitti e violenze attuali o passate, che vivono per 24 mesi fianco a fianco. «Ogni autunno, arrivando a Rondine, le “matricole” portano con sé il proprio Paese. Durante il percorso di studio sembra di essere contemporaneamente nei vari luoghi di guerra e questo confronto è alla base della loro formazione» ha spiegato Valentina Pierucci, responsabile di World House. Con l’auspicio che possano diventare ambasciatori e futuri leader di pace nei rispettivi Paesi di provenienza e contribuire alla risoluzione dei conflitti: «tutti, anche quelli dimenticati e quelli che speriamo non ritornino» evidenzia Pierucci alludendo alla situazione di tensione nei Balcani.

«Come l’esperienza di Matteo Ricci ricordata stamane dal Pontefice, anche la nostra si sta basando su un lento percorso di avvicinamento, che inizia dall’imparare in primis la lingua italiana, e prosegue con lo scoprire che, spesso, abbiamo più cose in comune con i “nostri nemici”» ha dichiarato Sheryl, proveniente dal Medio Oriente, evidenziando come questo comporti una sorta di rigenerazione dei rapporti, tramite il riconoscimento e l’accettazione delle differenze altrui.

«Si è trattato di un percorso innovativo per me dove le testimonianze della paura, del dolore e della rabbia che la guerra ha innescato, vengono praticamente messe in comune, elaborate e dissipate quotidianamente perché si è consapevoli che non c’è pace senza relazione» ha affermato Salomon, arrivato a Rondine dal Mali.

In questo contesto, che progressivamente consente la comprensione e la condivisione, «stiamo vivendo un’opportunità importantissima, per noi stessi e per gli altri, per mandare messaggi di pace e dialogo al mondo» ha concluso Ruzica, arrivata dalla Bosnia ed Erzegovina.

L’artista aborigena australiana e la sua esperienza di fede


“Dadirri” è una parola che proviene dalle lingue Ngan’gikurunggurr e Ngen’giwumirri dei popoli aborigeni della regione del fiume Daly, nel Territorio del Nord in Australia, e significa «ricerca dell’ascolto profondo interiore»; quella che qualcuno chiama contemplazione. Costituisce l’elemento fondante dello stile di vita di Miriam Rose Ungunmerr Baumann, rinomata educatrice e artista aborigena australiana. Solitamente lo propone come pilastro centrale delle sue relazioni e stamane, in piazza San Pietro, lo ha raccontato a Papa Francesco. Per venire a Roma ha lasciato la sua comunità rurale vicino Darwin, nell’entroterra australiano. Formatasi in una scuola missionaria cattolica, è stata la prima insegnante aborigena riconosciuta in Australia, nel 1975. Nel corso della sua vita, ha dato un enorme contributo all’istruzione, alla protezione dell’ambiente e alla promozione della cultura e dell’arte indigene, guadagnandosi nel 2021 il riconoscimento di Senior Australian of the Year. E dal 1988, attraverso la Miriam Rose Foundation, è impegnata a migliorare la vita e a creare le basi per un futuro più luminoso e coeso per i bambini e i giovani indigeni, utilizzando i quattro pilastri di arte, cultura, istruzione e opportunità.

«La sua presenza a Roma — racconta Chiara Porro, ambasciatore d’Australia presso la Santa Sede, che l’ha accompagnata — coincide con la “National Reconciliation Week”, la settimana della riconciliazione con gli aborigeni australiani, dal 29 maggio al 3 giugno, e aggiungerà un significato speciale a un anno che segna anche il cinquantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra l’Australia e la Santa Sede».

Ieri è stato presentato il dipinto che l’artista aborigena ha donato ai Musei vaticani, alla presenza del direttore Barbara Jatta e di suor Raffaella Petrini, segretario generale del Governatorato. Miriam-Rose ha parlato del proprio legame con la terra e di come la sua gente abbia trovato Dio nella natura, che è stata l’ispirazione per la sua pittura. Questo pomeriggio, poi, l’artista sarà presente alla messa presieduta alla Domus Australia dal cardinale Arthur Roche, prefetto del Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, per celebrare i 50 anni della prima liturgia aborigena in Australia, nel 1973 a Melbourne durante il 40° Congresso eucaristico internazionale.

Un Capitolo generale di suore e giovani seminaristi pugliesi


Hanno concluso da pochi giorni a Bologna i lavori del loro xvii capitolo generale, sul tema «Animate dallo Spirito, riorganizziamo la nostra vita come Clarisse Francescane Missionarie del Santissimo Sacramento nello stile sinodale», e quest’anno celebrano il 125° anniversario di fondazione. Per la duplice occasione, stamane, circa cinquanta suore della famiglia religiosa, tra cui le 43 capitolari, sono venute all’udienza generale per ricevere la benedizione del Papa e testimoniare «la dimensione eucaristico-missionaria della congregazione, che corrisponde al camminare insieme con un’apertura e uno sguardo verso le periferie, nei luoghi dove occorre portare la tenerezza», come affermato dalla nuova superiora generale, suor M. Chiara Lorenzato.

«È stato per loro un anno intenso, impegnativo, un tempo esigente in vista della scelta da compiere per iniziare una vita di preghiera». Con queste parole don Quintino Venneri, responsabile della Comunità dell’anno propedeutico del Pontificio seminario regionale pugliese, ha descritto gli ultimi mesi trascorsi insieme con i 13 ragazzi — accompagnati stamattina all’udienza generale — che a metà settembre entreranno nella struttura formativa di Molfetta. «Sono molto emozionati per l’incontro con il vescovo di Roma» ha testimoniato don Davide Errico, loro padre spirituale, precisando che i giovani provengono da varie diocesi della regione. E a settembre si uniranno ad essi anche due seminaristi della diocesi calabrese di Rossano-Cariati.

La devozione a Maria in una parrocchia romana e una irpina


«Oggi, ai piedi del Santo Padre, si chiude l’anno mariano parrocchiale. Sono stati dodici mesi meravigliosi per la nostra comunità, una testimonianza di grande amore alla Vergine». Lo ha affermato il rogazionista Pasquale Albisinni, parroco dei Santi Antonio e Annibale Maria, a Roma. «Lo scorso 19 maggio — aggiunge — abbiamo portato la statua della nostra Madre Celeste in Vaticano per farla benedire e incoronare dal Papa. E questa sera sfilerà in processione per le vie del nostro quartiere sulla Tuscolana, alla presenza del cardinale Comastri».

«Abbiamo portato al Santo Padre il simulacro della Madonna del Rosario, per avere la sua benedizione» raccontano don Giovanni Mascia e Carmine Citro, rispettivamente parroco dei Santi Vito e Stefano a Montoro, in provincia di Avellino, e priore della confraternita del Santissimo Rosario, eretta il 20 maggio 1610. Il motivo è stata la conclusione — avvenuta il 28 gennaio scorso — del Giubileo particolare per il 450° anniversario della fondazione della chiesa Maria Santissima di Costantinopoli nella frazione Piazza di Pandola. Per questa occasione l’effige è stata completamente restaurata. E oggi pomeriggio viene portata in processione nella chiesa romana di Santa Maria sopra Minerva. 

di Fabrizio Peloni