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Una pennellata di colore e di umanità

 Una pennellata di colore  e  di umanità  ODS-011
03 giugno 2023

Mario, a vederlo, non pare avere settant’anni. I segni degli anni sul viso e la barba bianca non seguono le logiche del tempo che passa. Beve soltanto Coca-Cola, ne va matto. Fuma le Marlboro rosse, con la nuvola di fumo che diventa un tutt’uno con i suoi capelli lunghi.

La sua casa è stata abbattuta qualche settimana fa. Senza preavviso, tutto è andato perduto. Mario però ha le spalle larghe e lo sguardo di chi è abituato agli alti e bassi, che altro non sono che la vita. Lui questo lo sa da sempre, fin dai primi passi nella sua borgata. L’indomani, nel suo primo giorno senza casa, è andato a distribuire pacchi pieni di cibo alle famiglie bisognose, perché la vita prosegue e il prossimo non smette di avere bisogno e lui non vuole sottrarsi al proprio dovere, alla sua missione.

Il quartiere del Trullo oggi è pieno di luce e di colori, i murales di Mario, e di chi dipinge con lui, hanno ridato l’identità all’intera borgata. Se gli si domanda perché abbia iniziato a dipingere i palazzi, lui risponde che il murale unisce la gente fin dal principio, dalla prima pennellata. La gente si incuriosisce, si avvicina, si esprime sui colori e sui loro contrasti, si sente parte di un qualcosa. L’arte riunisce. Che un palazzo con una facciata colorata fa sorridere la gente mentre cammina per strada, fa alzare lo sguardo verso l’alto e certe volte gli occhi delle persone si incrociano, scambiandosi tacite forme di calore.

La borgata del Trullo è il destino di Mario che ha anche vissuto in altri quartieri, per poi ritornare lì dove ha compreso l’essenza dell’esistenza.

Monteverde prima, zona Pantheon poi. Dal basso verso l’alto verrebbe da dire, ma non per lui. Non conosce, non per ignoranza ma per il valore che gli vuole attribuire, il divario tra queste due parole all’interno del senso della vita. Tra il basso e l’alto non passa alcun merito, è sempre un insieme di coincidenze e fortune. Le persone dovrebbero tenerlo a mente. Al Pantheon ha gestito un’edicola, ha vissuto in quella zona in mezzo a diverse persone, molto lontane dalla sua idea di vita. Così un giorno, senza dire niente a nessuno — forse perché le scelte, per chi le sa fare, non vanno comunicate agli altri — è ritornato nella borgata del Trullo, al servizio della comunità.

Mentre parliamo, le persone che passano nei paraggi lo salutano per nome. Tutti conoscono Mario D’Amico, a tal punto che forse la “D” del cognome risulta ingombrante nell’interrompere la sua essenza: Mario è un amico. Lo è di tutti, per tutti. Per gli ultimi o per i primi, non c’è alcuna differenza.

Mario ha visto crescere il quartiere, ne ha voluto far parte, ma non ha mai preteso di cambiarlo. Nella sua visione delle cose, l’umiltà è la lente attraverso la quale osserva il mondo. Non è «Cosa posso fare qui?» la sua domanda, ma «Quanto posso fare?».

Se si parla di povertà, Mario non la intende soltanto come quella materiale. Quando a Natale consegna i pacchi di cibo alle signore anziane, che vivono da sole, si rende conto che la solitudine, la mancata condivisione con qualcuno, è la forma di povertà che quasi nessuno considera. Non lo dice per dire.

Quando casa sua era in piedi, intatta e abbellita a museo, invitava gente. «Portate quello che volete e chi volete» e le persone accorrevano. La vita va condivisa, gli sconosciuti non sono altro che amici da scoprire. Tutti possono diventare poveri, da un giorno all’altro. E allora cosa rimane? Tutto il resto, la vita, la compagnia.

Mario D’Amico è un artista, un uomo di strada, un amico. Ora la casa è stata demolita, possiede poco, ma ciò non sembra avere alcuna importanza per lui. Lui nel quartiere sta bene, vive nella dinamicità dell’esistenza. Tutta la generosità di Mario è circoscritta nella sua visione dell’arte. «Io sarei pure contento se qualcun altro cancellasse un mio murale per farne uno nuovo. L’arte fa il suo tempo, è giusto che anche gli altri si possano esprimere. I miei disegni, una volta fatti, non sono più i miei. Sono di tutti, del quartiere».

Il saluto con Mario D’Amico non è un classico «ciao», ma è un invito di condivisione: «Chiamami, ci vediamo e ti mostro tutto il cuore della borgata».

Mario D’Amico e Nikolai Prestia