· Città del Vaticano ·

Parole e gesti di Papa Francesco

Le periferie finestre sulla totalità

Pope Francis during the Mass in Lampedusa Island, south Italy, 08 July 2013. Pope Francis arrives in ...
03 giugno 2023

Lampedusa: tutto inizia da qui. Sì, perché per parlare dell’attenzione di Papa Francesco per le periferie non si può non ricordare questa piccola isola italiana, terra di sbarchi disperati per tanti migranti. Ed è proprio in questo luogo che il Pontefice, l’8 luglio di dieci anni fa, ha deciso di recarsi per quello che era il suo primo viaggio al di fuori del Vaticano. Il fatto che il Vescovo di Roma abbia scelto un’isola lontana, decentrata dal punto di vista sia geografico che esistenziale, dice già tutto sull’importanza che egli pone alla cura delle periferie. Tale tema, infatti, attraversa tutto il suo Pontificato, declinandosi in varie forme e ricorrendo in numerosi testi, discorsi ed omelie. Ribaltando le prospettive più comuni, Francesco pone le periferie al centro, ma ciò per lui non ha nulla di sorprendente, anzi: è semplicemente un modo per essere nella sequela di Gesù, per seguire i precetti evangelici. Non a caso, il 5 febbraio 2022, ricevendo in udienza i sindaci dell’Anci (Associazione nazionale dei comuni d’Italia), il Papa ha detto: «Fa pensare il fatto che Gesù sia nato in una stalla a Betlemme e sia morto fuori dalle mura di Gerusalemme sul Calvario. Ci ricorda la “centralità” evangelica delle periferie. Mi piace ripetere che dalle periferie si vede meglio la totalità: non dal centro, dalle periferie. Partire dalle periferie non vuol dire escludere qualcuno, è una scelta di metodo; non una scelta ideologica, ma di partire dai poveri per servire il bene di tutti».

Fatta questa premessa, ora proviamo a ricordare alcune caratteristiche delle “periferie secondo Francesco”. E proviamo a farlo attraverso un acrostico, espressione linguistica particolarmente cara al Papa. Di conseguenza, il termine “periferia” si potrebbe spiegare così:

P oliedro e piccolezza evangelica : per Francesco, il modello al quale bisogna puntare è il poliedro. Esso, infatti, «riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità. Sia l’azione pastorale sia l’azione politica cercano di raccogliere in tale poliedro il meglio di ciascuno. Lì sono inseriti i poveri, con la loro cultura, i loro progetti e le loro proprie potenzialità» (Evangelii gaudium, 236). Allo stesso modo, «il poliedro rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda, benché ciò comporti discussioni e diffidenze. Da tutti, infatti, si può imparare qualcosa, nessuno è inutile, nessuno è superfluo. Ciò implica includere le periferie. Chi vive in esse ha un altro punto di vista, vede aspetti della realtà che non si riconoscono dai centri di potere dove si prendono le decisioni più determinanti» (Fratelli tutti, 215).

Ma, nascosto nella P di “periferia” c’è anche un secondo aspetto che non va dimenticato: è quello della “piccolezza evangelica”, altro tema cui Francesco ha dedicato diverse riflessioni. Ci piace ricordarne una in particolare: quella contenuta nel discorso ai membri del Movimento “Foi et lumière international”, incontrati in Vaticano il 2 ottobre 2021: «Ogni persona, anche e soprattutto la più piccola e la più fragile, è amata da Dio e ha un suo posto nella Chiesa e nel mondo. È il “vangelo della piccolezza” — ha detto il Papa in quell’occasione —, ma ancora oggi nella Chiesa e nel mondo sono tanti coloro che nella piccolezza e nella fragilità sono dimenticati ed esclusi». Di qui, l’invito rivolto alle comunità cristiane ad «avere lo stile evangelico del lievito: non isolarsi e chiudersi, ma partecipare alla vita della Chiesa nelle parrocchie e nei quartieri, testimoniare la scelta di Dio per gli ultimi, i piccoli, gli esclusi». Infatti, solo «la comunità che custodisce i piccoli particolari dell’amore, dove i membri si prendono cura gli uni degli altri e costituiscono uno spazio aperto ed evangelizzatore, è luogo della presenza del Risorto» (Gaudete et exsultate,144).

E sclusi : tutte le persone dimenticate, abbandonate, emarginate, rifiutate, trascurate sono gli abitanti delle periferie del mondo, quelle create dalla “cultura dello scarto” e dalla “globalizzazione dell’indifferenza” che portano a dare valore all’essere umano in termini di produttività e non di umanità. Tuttavia, come ha ricordato Francesco il 26 luglio 2022, nel corso del suo viaggio apostolico in Canada, «se vogliamo prenderci cura e risanare la vita delle nostre comunità, non possiamo che partire dai poveri, dai più emarginati. Occorre guardare di più alle periferie e porsi in ascolto del grido degli ultimi; è necessario saper ascoltare il dolore di quanti, spesso in silenzio, nelle nostre città affollate e spersonalizzate, gridano: “Non lasciateci soli!”. È anche il grido di anziani che rischiano di morire da soli in casa o abbandonati presso una struttura, o di malati scomodi ai quali, al posto dell’affetto, viene somministrata la morte. È il grido soffocato dei ragazzi e delle ragazze più interrogati che ascoltati, i quali delegano la loro libertà a un telefonino, mentre nelle stesse strade altri loro coetanei vagano persi, anestetizzati da qualche divertimento, in preda a dipendenze che li rendono tristi e insofferenti, incapaci di credere in sé stessi, di amare quello che sono e la bellezza della vita che hanno».

R icchezza della comunità : una società che non dimentica le periferie e che a loro volge il pensiero, il cuore, lo sguardo — dice il Papa — è una società ricca, non in senso economico, bensì umano. Infatti, come ricordato il 26 gennaio di quest’anno, nell’udienza all’Assifero, associazione che riunisce fondazioni ed enti filantropici italiani, «farsi vicini agli ultimi, chinarsi sulle loro ferite, farsi carico dei loro bisogni, è porre buone fondamenta nella costruzione di comunità unite e solide, per un mondo migliore e per un futuro di pace. È Cristo stesso che nel povero ci viene incontro, per indicarci la via del Regno dei Cieli, Lui che “si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà” (cfr. 2 Cor 8, 9)».

I ncontro : strettamente collegato al tema delle periferie c’è un altro tema che connota in modo peculiare l’attuale Pontificato: è la promozione di una “cultura dell’incontro”, da intendersi come atteggiamento religioso, diplomatico, spirituale e politico. «Parlare di “cultura dell’incontro” significa che come popolo ci appassiona il volerci incontrare, il cercare punti di contatto, gettare ponti, progettare qualcosa che coinvolga tutti» scrive Francesco nell’enciclica Fratelli tutti. Un’affermazione ribadita anche il 16 marzo scorso, nell’udienza a una delegazione dell’United Association of Humanistic Buddhism (Taiwan): «La cultura dell’incontro — ha detto il Papa — costruisce ponti e apre finestre sui sacri valori e principi che ispirano gli altri. Abbatte i muri che dividono le persone e le tengono prigioniere di preconcetti, pregiudizi o indifferenza».

E a proposito di combattere pregiudizi e indifferenza, c’è un ambito nel quale la “cultura dell’incontro” va particolarmente promossa e rilanciata ed è quello dell’accoglienza dei migranti. Sin dai primi anni di Pontificato, Francesco ha acceso i riflettori su questo tema, esortando la comunità cristiana ad impegnarsi affinché «non ci sia scontro, ma incontro. È possibile dialogare, ascoltarsi, progettare insieme, e in questo modo superare il sospetto e il pregiudizio e costruire una convivenza sempre più sicura, pacifica ed inclusiva».

Parole che si ritrovano anche nel Messaggio per la 107° Giornata mondiale del Migrante e rifugiato, celebrata nel 2021: «Nell’incontro con la diversità degli stranieri, dei migranti, dei rifugiati, e nel dialogo interculturale che ne può scaturire ci è data l’opportunità di crescere come Chiesa, di arricchirci mutuamente — ha scritto il Pontefice —. In effetti, dovunque si trovi, ogni battezzato è a pieno diritto membro della comunità ecclesiale locale, membro dell’unica Chiesa, abitante nell’unica casa, componente dell’unica famiglia».

F raternità e fratellanza : «“Fratelli tutti”, scriveva San Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo. Tra i suoi consigli voglio evidenziarne uno, nel quale invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui egli dichiara beato colui che ama l’altro “quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui”. Con queste poche e semplici parole ha spiegato l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita»: l’incipit dell’enciclica Fratelli tutti racchiude molto bene il concetto di fraternità che, secondo Francesco, va posto alla base del modo in cui si guarda alle periferie globali.

Una fraternità che, a sua volta, si declina anche come fratellanza: il Pontefice lo ha spiegato a ottobre 2021, nel videomessaggio registrato per la prima Giornata internazionale della fratellanza umana: «Oggi non c’è tempo per l’indifferenza. Non possiamo lavarcene le mani, con la distanza, con la non-curanza, col disinteresse. O siamo fratelli, o crolla tutto. È la frontiera. La frontiera sulla quale dobbiamo costruire; è la sfida del nostro secolo, è la sfida dei nostri tempi. Fratellanza vuol dire mano tesa; fratellanza vuol dire rispetto. Fratellanza vuol dire ascoltare con il cuore aperto». Non a caso, il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato dal Papa ad Abu Dhabi nel febbraio del 2019, insieme al Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, richiama tale principio «in nome dei poveri, dei miseri, dei bisognosi e degli emarginati che Dio ha comandato di soccorrere come un dovere richiesto a tutti gli uomini».

E sistenziale : Papa Francesco lo ha ripetuto spesso: le periferie non sono solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali, fatte di emarginazione ed esclusione sociale. Anche queste terre “ai margini” vanno considerate con amore: «Ci sono periferie che si trovano vicino a noi, nel centro di una città, o nella propria famiglia — si legge in «Fratelli tutti —. C’è anche un aspetto dell’apertura universale dell’amore che non è geografico, ma esistenziale. È la capacità quotidiana di allargare la mia cerchia, di arrivare a quelli che spontaneamente non sento parte del mio mondo di interessi, benché siano vicino a me. D’altra parte, ogni fratello o sorella sofferente, abbandonato o ignorato dalla mia società è un forestiero esistenziale, anche se è nato nello stesso Paese. Può essere un cittadino con tutte le carte in regola, però lo fanno sentire come uno straniero nella propria terra».

R esponsabilità della Chiesa e dei cristiani : il magistero di Bergoglio ci insegna che le periferie sono un luogo importante ed essenziale per l’evangelizzazione e che è quindi responsabilità della Chiesa impegnarsi nell’annuncio del Vangelo in queste terre poste ai margini. Francesco lo ha ribadito più volte, tra cui all’udienza generale del 17 novembre 2021, quando ha detto: «La Chiesa sa che è chiamata ad annunciare la buona novella a partire dalle periferie. Giuseppe, che è un falegname di Nazaret e che si fida del progetto di Dio sulla sua giovane promessa sposa e su di lui, ricorda alla Chiesa di fissare lo sguardo su ciò che il mondo ignora volutamente. Oggi Giuseppe ci insegna questo: “Non guardare tanto le cose che il mondo loda, guarda agli angoli, guarda alle ombre, guarda alle periferie, quello che il mondo non vuole”. Egli ricorda a ciascuno di noi di dare importanza a ciò che gli altri scartano».

La medesima responsabilità dell’annuncio evangelico nelle periferie riguarda anche tutti i cristiani, perché essi non devono aver paura «di decentrarsi, di andare verso le periferie, perché hanno il loro centro in Gesù Cristo. Egli ci libera dalla paura; in sua compagnia possiamo avanzare sicuri in qualunque luogo, anche attraverso i momenti bui della vita, sapendo che, dovunque andiamo, sempre il Signore ci precede con la sua grazia, e la nostra gioia è condividere con gli altri la buona notizia che Lui è con noi» (Messaggio al Meeting per l’amicizia fra i popoli, agosto 2014).

I n uscita : il richiamo a una Chiesa “in uscita” verso l’altro e verso le periferie compare nella prima udienza generale di Papa Francesco, tenuta il 27 marzo 2013, a due settimane esatte dalla sua elezione: «Seguire, accompagnare Cristo, rimanere con Lui esige un “uscire” — ha detto il Papa dieci anni fa —. Uscire da se stessi, da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte dell’azione creativa di Dio. Dio è uscito da se stesso per venire in mezzo a noi, ha posto la sua tenda tra noi per portarci la sua misericordia che salva e dona speranza. Anche noi, se vogliamo seguirlo e rimanere con Lui, non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle novantanove pecore, dobbiamo “uscire”, cercare con Lui la pecorella smarrita, quella più lontana».

In modo più sistematico, il concetto ritorna nel primo capitolo dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, diffusa a novembre 2013, vero e proprio documento programmatico del Pontificato di Francesco. In essa si legge: «Nella Parola di Dio appare costantemente questo dinamismo di “uscita” che Dio vuole provocare nei credenti (…) Tutti siamo chiamati a questa nuova “uscita” missionaria, tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo».

A micizia sociale : come la fraternità, anche l’amicizia sociale è un atteggiamento fondamentale richiamato tante volte dal Papa, in nome della pace e della convivenza comune. Un atteggiamento e uno strumento che diventa tanto più necessario quanto più ci si orienta alle periferie: a ricordarlo è lo stesso Francesco sia nella Fratelli tutti, il cui sottotitolo è, appunto, «sulla fraternità e l’amicizia sociale», sia ad esempio nel videomessaggio per l’intenzione di preghiera per il mese di luglio 2021: in esso, il Pontefice prende spunto dall’assunto biblico contenuto nel Siracide (6,14), ovvero “Chi trova un amico trova un tesoro”, per proporre a tutti «di andare oltre i gruppi di amici e di costruire l’amicizia sociale tanto necessaria per la buona convivenza». Il che significa ritrovarsi con i più poveri e vulnerabili, «quelli che vivono nelle periferie».

di Isabella Piro

Isabella Piro