· Città del Vaticano ·

La ferita di vivere come un’offerta imperfetta per gli altri

 La ferita  di vivere come un’offerta imperfetta  per gli altri  ODS-011
03 giugno 2023

Daniel ne ha passate tante nella vita, così tante che a volte è arrivato a chiedersi se il suo posto fosse davvero qui, in questo mondo. Una delle storie che preferisce è quella di quando si è ritrovato legato al letto in una clinica psichiatrica per colpa di una diagnosi sbagliata. Immobilizzato, confuso e sofferente, in quel momento pensava che tutto il mondo fosse contro di lui. Si sentiva completamente solo e non desiderato. Ricorda di aver pregato in quel momento, chiedendo a Dio il suo aiuto, nel caso quell’esperienza fosse venuta da lui, o, se non era stato Dio a volerla, almeno di togliergli il dolore.

Nel racconto di Daniel non è importante come andò a finire (nessuno lo slegò), ma ciò che gli piace ricordare è la pace che alleviò la sua grande angoscia. In qualche modo, ogni volta che la vita gli si rivoltava contro, riusciva a trarre dalle difficoltà una sorta di nuovo significato che gli dava speranza.

La storia di Daniel assomiglia a molte altre storie che sentiamo raccontare quasi quotidianamente dalle persone che vivono “ai margini”, per le strade di Toronto. La differenza è che Daniel è capace di esprimere sia il suo disagio che la sua speranza.

Per tutta la vita, è stato tormentato dal pensiero di aver fallito completamente. Nessun lavoro vero, nessuna famiglia, nessuna casa. Solo la strada e tante diagnosi che si sforzava di capire.

Qual era il suo scopo? Ne aveva mai avuto uno? Si è reso conto di essere diverso e di essere “a parte” rispetto al resto del mondo “normale”. Per lui era un tormento sentirsi messo da parte per un motivo sbagliato.

Finché arrivò un giorno in cui mi disse: «Dopo molti anni ho capito che sono vivo. Vivo e questo significa che appartengo alla vita. Non ho bisogno di giustificarmi con nessuno. Nemmeno con me stesso. Ho solo bisogno di capire come posso vivere con gratitudine. Questo pensiero mi ha dato speranza. E se ho speranza per me stesso, avrò speranza anche per gli altri. Perché se non vedo speranza in me, non la vedrò nemmeno negli altri. Ed è vero anche il contrario».

Oggi Daniel condivide la speranza che ha trovato con le persone di strada che va a trovare e alle quali porta da mangiare qualche giorno alla settimana.

La nostra comunità di St. John è una comunità di disadattati. Tutti noi, per ragioni diverse, avvertiamo il dolore di non appartenere alla vita con dignità. Questo non dipende solo dal fatto che alle persone viene negato, a volte fin dalla più tenera età, l’amore di cui ogni essere umano ha bisogno. Certo, questa è una cosa difficile da sopportare, ma, come nel caso di Daniel, in qualche modo si può trovare una spiegazione più profonda. Il problema vero è che nessuno vuole l’amore che gli emarginati sanno dare. L’emarginato è colui al quale viene rifiutato il dono del suo amore. Non può offrire se stesso come dono, perché la società non considera buono questo dono.

È così che la persona sprofonda in un’alienazione che non conosce altro che il dolore. Nella nostra comunità di St. John sappiamo che le persone, anche dopo molti anni e nonostante tutti i gesti di aiuto e comunione che possiamo dare, porteranno sempre dentro di loro la ferita di vivere come un’offerta imperfetta per gli altri. E questa è una ferita che guarisce solo con la risurrezione. Con l’unità tra fratelli e sorelle in Cristo.

di padre Nicolaie Atitienei *

*responsabile della St. John
The Compassionate Mission