· Città del Vaticano ·

A San Basilio con Lucia e Simone, medici volontari nel centro della San Vincenzo de’ Paoli

Creare relazioni che consolano

 Creare relazioni che consolano  ODS-011
03 giugno 2023

E non si dica che non è la buona sorte! …nella gioia e nel dolore, in salute e in malattia, perché è anche questa la vittoria del matrimonio: avere un progetto di vita condiviso, gli occhi rivolti all’amato e il desiderio congiunto di portare quello sguardo altrove, nei posti insperati, spesso illuminati dai colori dei murales piuttosto che da un sole di primo mattino. Ma quel sole gli abitanti di San Basilio hanno iniziato a intravederlo da quando c’è chi, di loro, sa prendersi cura. Come Lucia e Simone, da poco genitori, giovani medici e volontari, che a San Basilio ci vivono e si occupano delle persone del quartiere per prendersi cura della loro umanità prima ancora che delle loro povertà fisiche.

Era il 2021, quando la Società di San Vincenzo de’ Paoli di Roma, la Parrocchia e la Conferenza vincenziana di San Basilio fervevano all’idea di dar avvio al progetto Compagnia solidale San Basilio, che da mera utopia scritta su carta stava per trasformarsi in un contenitore di accoglienza tout court.

Ci hanno creduto, da subito, don Stefano Sparapane, parroco a San Basilio, Giuliano Crepaldi, presidente della Società San Vincenzo di Roma, e tutti i numerosi volontari che collaborano per apportare modifiche alla “carta d’identità” di chi si sente emarginato e solo. Un progetto che approda dopo anni di distribuzione di pacchi alimentari alle famiglie bisognose, ma tende in avanti ad una cura globale dei singoli: assistenza sanitaria, supporto psicologico e superamento delle difficoltà linguistiche e legali...

San Basilio, purtroppo, cova dentro di sé tante povertà e racconta molto in termini di bisogno. Nel quartiere illegalità e disoccupazione si fanno sentire in modo prepotente. Per chi arriva da altre zone di Roma, appare un luogo animato da colori e scenari inaspettati, grandi spazi e aree verdi; una vetrina che inganna, dietro la quale c’è il ricordo della floridezza di qualche decennio fa. Il quartiere è stato descritto come una enclave chiusa, supportata dal volontariato che si adopera quotidianamente per dare nuova luce a una borgata, dimenticata dalle istituzioni.

Lucia e Simone hanno conosciuto il progetto Compagnia solidale San Basilio e il centro di cura istituito presso la parrocchia e ne hanno sposato il decalogo di umanità che lo regola. Sono stati, da subito, coinvolti nell’attività medica di volontariato, in quanto il centro ancora non riesce a rispondere a tutte le richieste di assistenza sanitaria e garantire copertura in tutti gli ambiti della medicina. Lucia, endocrinologa, è presente una volta a settimana e visita circa 7-8 persone durante il turno. Il suo obiettivo, non potendo il centro sostituirsi ad una struttura sanitaria, è di tracciare percorsi di cura per indirizzare le persone verso l’ambulatorio, verso l’ospedale di riferimento, creando dei link e soprattutto fornendo le informazioni necessarie sulle patologie. Le parole usate da Lucia per descrivere il suo impegno sono la chiave di lettura dei desideri dei suoi pazienti: tempo, compassione e consolazione. Sì, perché «il vero bisogno — dice Lucia —, qui come in tante altre periferie della città e del mondo, è il tempo. Il tempo dell’ascolto, della comunicazione e del prendersi cura. In qualunque struttura sanitaria, non vi è la possibilità di dedicare tempo sufficiente a ciascun paziente perché la lista delle visite è sempre lunga. Al centro, invece, questo è possibile».

Lucia ha registrato una povertà grande non determinata dalla malattia e dalla mancanza di possibilità per curarsi, ma generata dalla mancanza di essere riconosciuti nel proprio dolore fisico e spirituale: «Spesso, i pazienti che si rivolgono a me sono pazienti cronici, ad esempio con una tiroidite facilmente curabile, che non accettano la malattia e la vivono trasferendo su questa il peso di tutti i problemi da cui sono attanagliati. Il vero focus non è sulla malattia, ma sul bisogno di compassione».

Da ultimo, c’è la solitudine e, quindi, il bisogno di essere consolati (cum-solo) da qualcuno disposto ad entrare nella solitudine dell’altro per alleggerire il gravame della malattia.

Suo marito Simone, urologo, è dello stesso avviso. Per lui dedicare tempo alle persone del quartiere è stato portare fuori dalle mura di casa l’amore e la vocazione per il proprio lavoro. Aver scelto di svolgere questo servizio, nonostante i numerosi impegni lavorativi e familiari, gli permette di vivere la professione in modo completo, svincolato dalle logiche del guadagno, dedicando più tempo ai pazienti e cercando di valorizzare il significato della cura, senza soffermarsi esclusivamente sulla patologia.

Creare relazioni che consolano, che migliorano la qualità di vita, è la sfida e anche il senso del progetto della San Vincenzo di Roma, che generosamente, grazie al costante supporto dei medici volontari, si è assunta l’impegno di farsi presente a San Basilio, di esserci comunque e a qualunque costo, per diventare cura al servizio di chi ha bisogno.

di Rossana Ruggiero