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Sulla porta di casa Azim, operatore legale del centro Astalli di Vicenza

Caos in Sudan

Hamsa looks out at the city from the roof-top of her house during the conflict in Khartoum, Sudan, ...
03 giugno 2023

Il margine, sottile linea invisibile che trasforma il confine in confinamento, il prossimo in diverso, la fiducia in timore. Limite geopolitico di un dramma collettivo. Perché «vivere ai margini non aiuta nessuno, né l’individuo né la comunità autoctona, che dal migrante dovrebbe ricavare i giusti frutti dell’attività sociale, lavorativa, economica e culturale. Non tutti gli immigrati vivono ai margini. Ma quelli che sono costretti a farlo sono tanti, troppi».

Esordisce così Abdelaziem Ali Adam, più semplicemente Azim, parlando a «L’Osservatore di Strada». Una storia di sogni e rinunce che inizia da lontano. «Sono nato nella città di Malakal, in Sud Sudan, provincia dell’Alto Nilo. Poi, a causa della guerra civile divampata negli anni Settanta dello scorso secolo, la mia famiglia si è trasferita a Khartum — oggi capitale della Repubblica del Sudan, dopo la secessione del Sud Sudan nel 2011. Sono laureato in Scienze politiche e Giornalismo all’università di Belgrado. Ma, a causa della persecuzione subita dal regime di Omar al-Bashir, nel 1994 sono dovuto scappare dal mio paese e chiedere rifugio in Italia».

Attraverso un viaggio tutt’altro che facile. Nascosto su una nave mercantile salpata da Port Sudan, Azim ha attraversato l’Egitto, Cipro, la Grecia e poi è sbarcato a Brindisi ed è arrivato a Napoli. «Avrei voluto continuare a studiare, ma non ce l’ho fatta. Così, nel 1994 ho iniziato a lavorare con il Centro Astalli, collaborando come volontario per il mensile “Servir” e come operatore tra il 2001 e il 2005. A Trento ho gestito il Centro Astalli per l’accoglienza dei rifugiati. Oggi sono l’operatore legale del Centro Astalli di Vicenza». Qui «ci occupiamo di accoglienza, servizio sociale e integrazione di rifugiati, facendo particolare attenzione all’attività di sensibilizzazione sulle guerre e le dittature nel mondo».

Essere integrati per poi integrare. Ricevere per dare. Perché «nell’era della globalizzazione — prosegue Azim — bisogna accettare che il multiculturalismo sia la fotografia prevalente di qualsiasi società. Il populismo e le bandiere nazionali sono l’ostacolo principale, ma credo facciano parte di una tendenza, rischiosa quanto passeggera, alimentata da forme distorte di comunicazione. Certo, va anche aggiunto che troppo spesso la politica europea è miope quando affronta le questioni di pace e di sicurezza in Africa».

Testa e cuore comandano ricordi ed emozioni. Così, Azim non può non parlare di ciò che sta avvenendo nel suo paese, un Sudan che non ha mai trovato pace: prima la guerra civile dal 1955 al 1972, poi quella dal 1983 al 2005, i due colpi di Stato del 2011 e del 2019, infine il conflitto iniziato ad aprile tra la giunta militare guidata da al-Burhan e le Rapid support forces (Rsf) capitanate da Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”. Un esempio della «terza guerra mondiale a pezzetti» di cui ha spesso parlato Papa Francesco. Con una complicazione maggiore: i sette paesi con cui il Sudan confina sono tutti più o meno instabili — dalla Libia, all’Egitto, al Ciad — e al dramma geopolitico si sta aggiungendo quello umanitario.

Azim osserva come «per le strade di Khartum, di Jenina, Fasher e Nyala, nella regione del Darfur, ad al-Ubayyiḍ, nel Kordofan, ovunque vigilano assassini di due parti in conflitto che condividono la morte e la distribuiscono tra i civili non armati». Ed è preoccupato soprattutto perché «se persistono i combattimenti, il conflitto potrebbe convertirsi in una vera e propria guerra civile di sfondo etnico in tutto il paese».

Un dramma sociale, una preoccupazione personale. «La maggior parte della mia famiglia è intrappolata in Sudan. Non riesco a inviare più denaro perché quasi tutte le banche sono state saccheggiate». E quando gli chiediamo se è mai riuscito a tornare nella sua terra, Azim non esita a dire di sì: «Ho avuto il coraggio di tornare. Dopo la secessione del Sud Sudan, quindi nel 2012, e nel 2021. Un anno simbolo di quella fase transitoria, fatta di speranza e progetti. Sognavamo le elezioni, la democrazia. Poi il 2023 ci ha portato via tutto».

di Guglielmo Gallone