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DONNE CHIESA MONDO

L’abbazia di Isola San Giulio e i 50 anni della Comunità

Un giorno in clausura
Vita da benedettina

 Un giorno in clausura  Vita da benedettina   DCM-006
03 giugno 2023

La grata di legno della cappella si fa segno di legame. Unisce mondi. Tiene insieme quello delle 68 religiose di clausura, dai 27 ai 91 anni, dell’abbazia benedettina Mater Ecclesiae e quello degli ospiti del monastero che si trova sull’Isola di San Giulio, sul Lago d’Orta: siamo in provincia di Novara, in Piemonte. In quel reticolato di assi si intrecciano preghiere, canti, vite, sguardi fuggitivi e molto ancora quando ci si ritrova, chi da una parte e chi dall’altra della grata, “uniti” sette volte al giorno per la Liturgia delle ore, dalle 4.50, con la recita del Mattutino e delle Lodi, alla Compieta, alle 20.45.

La cappella dell’abbazia è posta in alto. Svetta, e dalle sue finestre con i vetri colorati il lago non si vede. Si percepisce la sua presenza e quella della costa di Orta San Giulio — a 400 metri dall’Isola — insieme a un silenzio di custodia.

«Il monastero è un luogo di sbarco. Non è fuori dal mondo. È approdo», dice con voce armoniosa madre Maria Grazia Girolimetto, badessa del Mater Ecclesiae dal 2018, e anche del priorato di Fossano (Cuneo). Le benedettine abitano all’interno dell’abbazia e negli edifici che la circondano. A volte, durante il giorno alcune si intravedono mentre, dopo aver lasciato le loro celle, attraversano i ponti ricoperti di rampicanti che portano in cappella, alla preghiera comunitaria. «Facciamo il nostro pellegrinaggio verso Sion», sottolinea la badessa.

Lo fanno anche gli ospiti del monastero. Il salmodiare, i canti, la lectio divina, la musica dell’organo, il silenzio accompagnano le religiose e chi approda all’Isola di San Giulio. Chi trova in camera fiorellini di benvenuto colti in giardino e un bigliettino col proprio nome su una delle panche della cappella, quelle che guardano la grata di legno. «Indica solo lo spazio sacro delle consacrate al Signore. Il mondo esterno ha altre grate, altri muri che dividono», commenta madre Girolimetto con sorriso accogliente.

Sull’Isola di San Giulio, lunga solo 275 metri e larga 140, si percepisce un tempo sospeso. Accanto al monastero c’è la basilica di San Giulio e alcune case, abitate soprattutto d’estate. «Qui c’è una sola via, non ci sono auto, motorini, bici», annota la madre superiora. «Gli ospiti che arrivano qua cercano uno spazio di preghiera, di dare un senso alla vita, di acquietare fardelli. Qui vengono in tanti: gruppi, scolaresche, giovani, donne, persone di fede e persone che non credono. Si desidera un’esperienza di profondità. Si riparte diversi da come si arriva. Molti scrivono per ringraziare, ritornano».

Il monastero benedettino Mater Ecclesiae dell’Isola di San Giulio è sorto nel 1973 su un antico seminario — costruito nel 1844 sui resti di un castello longobardo — e quest’anno, l’11 ottobre, ricorre il 50° anniversario della nascita.

Questa comunità monastica è stata fondata e guidata fino al 2018 da madre Anna Maria Canopi, morta nel 2019. Madre Canopi, portatrice di profonda spiritualità, autrice di poesie, è stata anche la prima donna chiamata a comporre, nel 1993, il testo per la Via Crucis del Papa al Colosseo.

Madre Girolimetto, nata a Figino Serenza, in provincia di Como, nel giugno 1963, laureata in pedagogia, ne custodisce l’eredità.

«Sono stata scelta dalla comunità e ha votato anche lei, che a 87 anni si era dimessa», dice. E ricorda, lei che è stata accanto a madre Canopi 30 anni: «Era esile e poteva apparire fragile. Invece era forte, molto affidata al Signore: aveva quella forza che non viene dal confidare in sé stessi, ma in Dio. Sapeva insegnare l’arte di ascoltare, di mettersi in disparte per lasciare agire il Signore».

Nelle parole della badessa, spiritualità, quotidianità e comunità si danno la mano.

«Dopo la cena, tra noi c’è un incontro fraterno: è un tempo dove, come avviene in famiglia, si parla della giornata, degli ospiti, del mondo, dei fatti quotidiani», elenca madre Girolimetto. «Certo, a volte capita che nel vivere insieme emergano fatiche e intralci. Tra i compiti della badessa c’è anche quello di spegnere i fuochi che possono accendersi. Oggi si fa fatica a vivere in due e ben si può immaginare che in una comunità con tante donne, come la nostra, possono sorgere difficoltà. Anche il chiederci perdono è un momento condiviso che aiuta a spezzare il nostro io presentuoso», spiega. E sul suo viso appare un lieve rossore quando, parlando delle pubblicazioni di madre Canopi, confida che, come la fondatrice del monastero di clausura, anche lei scrive poesie.

Il pensiero va all’anniversario del Mater Ecclesiae. «Non ci sarà autocelebrazione, ma una celebrazione semplice», anticipa la badessa. Dal monastero di San Giulio sono nate anche altre comunità, quella di Saint-Oyen, in Valle d’Aosta, e il priorato di Fossano. Dall’isola piemontese è partito il sostegno che ha portato vigore a quelle di Ferrara e Piacenza.

La giornata


Nelle celle delle benedettine, tra una stuoia stesa a terra per la preghiera e un inginocchiatoio, la giornata inizia presto.

«La campana suona alle 4.20, ma la sveglia anche prima. La notte è tempo prezioso per la preghiera. La sua quiete fa raccogliere un ricco bottino. In coro poi portiamo una carovana di preghiere, quelle di tutti i popoli», dice madre Girolimetto.

Dopo la colazione, le benedettine si dedicano ai loro impegni: di artigianato, stamperia, tessitura, sartoria, cucina, preparazione della liturgia. «Tutto avviene in silenzio», precisa la badessa. C’è solo la natura dell’isola che parla. «Nel pomeriggio le monache che hanno fatto voto solenne si dedicano ancora al lavoro, mentre le novizie, che in questo periodo sono sette, studiano: anche latino, greco, letteratura monastica, patristica. Frequentano corsi tenuti dalle sorelle o quelli on line, specifici per i monasteri, dell’università Sant’Anselmo», spiega la madre superiora.

Dopo i Vespri c’è la preghiera personale nella propria cella o in giardino, poi seguono la cena, l’incontro tra le sorelle, la Compieta. Tra le 21.30 e le 22.00 si va a dormire.

Le religiose si dedicano alla preghiera e al lavoro, secondo l’insegnamento di san Benedetto, opus Dei, opus manuum. «L’opera delle mani è però tutta permeata dell’opera dello spirito, poiché la preghiera non cessa con l’uscita dal coro, ma continua nel cuore», ha lasciato scritto madre Canopi nel libro Una vita per amare – Ricordi di una monaca di clausura.

«Il lavoro è un canto reso a Dio», annota madre Girolimetto. Portano l’opera delle mani delle benedettine di San Giulio anche il restauro e il ricamo dei paramenti sacri di Sant’Ambrogio, di Charles de Foucauld, di Giovanni Paolo ii . E a Santa Marta, a casa di Papa Francesco, in Vaticano, c’è una loro icona della Madonna del silenzio, a simboleggiare un monito contro il chiacchiericcio (reinterpreta un affresco copto dell’ viii secolo raffigurante sant’Anna, trovato a Faras, in Egitto, e custodito nel museo nazionale di Varsavia).

Francesco, per madre Girolimetto, è «Pontefice profetico».

Il silenzio al Mater Ecclesiae appare come una porta per entrare nel Mistero. Anche gli ospiti sono invitati a rispettarlo.

Il Monastero


Al monastero non ci sono tv, non si usano i social. «Ci informiamo con i quotidiani L’Osservatore Romano e Avvenire. L’accesso a Internet è limitato, ma ogni sera una sorella aggiorna la comunità su quello che accade, fa una sorta di piccolo telegiornale», spiega madre Girolimetto.

In un tempo in cui le vocazioni diminuiscono, il Mater Ecclesiae, nato 50 anni fa con sei suore, appare un faro. «Non facciamo campagna vocazionale. Ma l’eredità spirituale di madre Canopi, la dimensione appartata dell’Isola di San Giulio continuano ad attrarre. Forse incide anche il valore di una proposta forte in un tempo dominato da frammentazione e fragilità», analizza la badessa.

In questo desiderio di attracco, la decisione di gettare un’àncora richiede un cammino autentico per giungere alla profondità delle proprie motivazioni e della reale chiamata di Dio. «I primi anni sono di discernimento. Un percorso di nove anni favorisce la consapevolezza di una scelta», sottolinea la madre superiora.

Oggi capita di vedere al Mater Ecclesiae anche una neolaureata di 25 anni che ha iniziato un cammino vocazionale (è aspirante), una cinquantenne che vive nella comunità seguendo il suo percorso di discernimento (è postulante) una mamma di cinque figli che vive all’esterno dell’abbazia e affronta l’iter di affido alla Regola di San Benedetto (come oblata).

Maria Grazia Girolimetto ha iniziato il suo cammino verso la clausura a 26 anni. Dopo la laurea in pedagogia, aveva cominciato a insegnare. «Credevo che mi sarei sposata, che avrei avuto una mia famiglia. Poi è arrivata la chiamata», racconta. «All’inizio pensavo a una vita donata, magari a un impegno missionario. Poi ho compreso, anche attraversando una lotta interiore, che la via per arrivare a tutti era quella di essere più vicina a Dio nella preghiera. I miei genitori in un primo momento non hanno preso bene questa mia decisione: poi hanno capito che la vita di clausura è dilatata, non chiusa. Io non posso uscire, ma posso incontrare le persone che arrivano qui da noi», dice madre Girolimetto.

Chi arriva trova su una delle porte dell’abbazia la regola Hospites tamquam Christus suscipiantur (gli ospiti vengano accolti come fossero Cristo).

Gli ospiti del monastero si riuniscono per la colazione, il pranzo, la cena e ascoltano, come le religiose, letture che disegnano immagini: ecco la cella monastica che si fa luogo eletto di preghiera secondo l’insegnamento di san Girolamo, ecco il diario di padre Giovanni Salerno, fondatore dei Missionari dei poveri del Terzo mondo, morto in Perù lo scorso febbraio.

A volte, durante i pasti, si ascolta musica classica e quella sacra, al posto delle letture.

Il ritorno


Sulla barca che lascia l’Isola di San Giulio, diretta verso la riva di Orta, lo sguardo posato sull’acqua che crea piccole onde, come certe increspature dell’anima, si sposta verso l’alto. L’abbazia si allontana: la visione del monastero Mater Ecclesiae porta una promessa di ritorno.

Appare lucente sull’orizzonte e allo stesso tempo scrigno misterioso. «Noi non vediamo tutta la strada che ci sta davanti, dobbiamo affidarci», esortava in preghiera madre Girolimetto. Oltre la grata. Quella grata che una volta al giorno, per la celebrazione della messa, spalanca una porticina sulla clausura e sul Mistero.

di Maria Giuseppina Buonanno
Giornalista «Oggi»

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