· Città del Vaticano ·

Il film “Rapito” di Marco Bellocchio
Il caso di Edgardo Mortara, il bambino ebreo sottratto alla famiglia per educarlo secondo la fede cattolica

Quel battesimo segreto
e la decisione di Papa Mastai

 Quel battesimo segreto e la decisione  di Papa Mastai  QUO-124
30 maggio 2023

Uno degli episodi più discussi che riguardano gli ultimi decenni di vita dello Stato Pontificio prima dell’unità d’Italia è quello relativo al caso di Edgardo Mortara, il bambino ebreo battezzato di nascosto da una domestica e sottratto dall’Inquisizione alla famiglia per educarlo secondo la fede cattolica. Una pagina controversa della quale si è parlato a lungo nell’anno 2000, in occasione della beatificazione di Pio ix , dopo che due autori avevano pubblicato dei libri sulla vicenda (David Kertzer, Prigioniero del Papa re, Milano 1996 e Daniele Scalise, Il caso Mortara, Milano 1997). Se ne riparla oggi con l’uscita nelle sale del film Rapito di Marco Bellocchio, che dipende dal libro di Scalise.

Edgardo era il sesto figlio di Salomone Levi Mortara (detto «Momol») — fabbricante e mercante di attrezzi da tappezzeria che aveva un negozio a Bologna — e di Marianna Padovani, anch’essa ebrea. Nato nell’agosto 1851, all’età di diciassette mesi il piccolo è colpito da una neurite. Anna Morisi, la giovane domestica dei Mortara, di fede cattolica, credendolo in pericolo di morte, attende che la madre di allontani dalla culla e presa un po’ d’acqua lo battezza all’insaputa dei genitori. Le leggi in vigore nello Stato pontificio vietavano alle famiglie ebree di avere a loro servizio domestici cattolici anche allo scopo di scongiurare simili situazioni: la Chiesa aveva sempre proibito il battesimo di minorenni in mancanza del consenso dei genitori, salvo il caso in cui si trovassero in punto di morte. Edgardo, che sembrava molto ammalato al punto che i genitori leggono per lui le preghiere ebraiche dei moribondi, supera la crisi. La circostanza del suo battesimo sarebbe rimasta segreta se alcuni anni dopo anche il fratello minore Aristide non si fosse ammalato gravemente. La domestica, incerta questa volta sul da farsi, si confida con una anziana signora del quartiere, rivelandole ciò che era accaduto con Edgardo e la donna a sua volta riferisce l’accaduto al droghiere del quartiere, tale Lepori.

A Bologna era da poco arrivato un nuovo arcivescovo, il cardinale Michele Viale Prelà, già nunzio apostolico a Vienna, noto per il suo rigorismo. L’inquisitore della curia bolognese era il domenicano Pier Gaetano Feletti. Secondo la normativa varata da Papa Benedetto xiv nel febbraio 1747, ogni bambino battezzato doveva essere educato cattolicamente anche contro la volontà dei genitori. La voce del battesimo impartito al Mortara raggiunge padre Feletti, il quale a sua volta informa il cardinale. Dopo un’inchiesta che stabilisce che il sacramento è stato dato illecitamente, ma è valido, la Santa Sede ordina che Edgardo sia educato alla fede cristiana all’Istituto dei Catecumeni di Roma, a meno che i genitori stessi non si impegnino a fargliela conoscere. La sera del 24 giugno 1858, fra le grida dei familiari e la commozione degli stessi gendarmi, il bambino viene così sottratto con la forza alla famiglia. Entrerà nel collegio di San Pietro in Vincoli e sarà avviato al sacerdozio. Pio ix prende sotto la sua protezione il piccolo trattandolo come un figlio. Le comunità ebraiche del Piemonte insieme a quelle di Inghilterra e di Francia protestano formalmente per l’accaduto. L’Alleanza israelitica mondiale invia un messaggio a papa Mastai che si conclude con queste parole: «Rendete, Santo Padre, la pace e la felicità ai parenti del giovane Mortara, e la sicurezza a tutti quelli che il ratto di questo fanciullo ha gettato nelle inquietudini e nella diffidenza». Interviene, invano, l’imperatore francese Napoleone iii e anche il primo ministro del regno piemontese Cavour.

Mortara, una volta adulto, non volle più rientrare in seno alla famiglia né riabbracciare la fede nella quale era nato. Questi sono alcuni passi del memoriale con il quale lo stesso sacerdote protagonista della vicenda ricostruisce quanto accaduto. «Il fatto (del battesimo, ndr) fu mantenuto nel più assoluto segreto dalla Morisi, sorpresa della mia pronta guarigione. Sei anni dopo, un mio fratellino di nome Aristide, cadde gravemente ammalato. Sollecitata con istanze la Morisi da una sua amica, a battezzare il bambino in extremis, essa si ricusò a farlo allegando per ragione la mia sopravvivenza al Battesimo, e così fu rivelato il segreto... Il Santo Padre per mezzo di una Congregazione Romana, incaricò il Feletti della mia separazione dalla famiglia, la quale ebbe luogo... intervenendo i gendarmi dell’Inquisizione, che io ricordo, il giorno 24 giugno del 1858. Fui condotto dai gendarmi a Roma e presentato a Sua Santità Pio ix , il quale mi accolse con la più grande bontà, e si dichiarò mio padre adottivo, come di fatti lo fu, finché visse incaricandosi della mia carriera e assicurando il mio avvenire».

Pochi giorni dopo l’arrivo a Roma, Edgardo incontra la sua famiglia. «Si presentarono i miei genitori all’Istituto dei Neofiti per iniziare le pratiche onde riavermi. Essendosi data loro piena facoltà di vedermi e trattenersi meco, prolungarono la loro residenza in Roma per un mese venendo tutti i giorni a visitarmi. È superfluo il dire che adoperarono ogni mezzo per riavermi, carezze, lagrime, preghiere e promesse. Ad onta di tutto ciò io non mostrai mai la più lieve velleità di ritornare in famiglia». Papa Mastai, scrive Mortara, gli «prodigava sempre le più paterne dimostrazioni di affetto».

A Bologna, nel 1860, dopo la caduta del dominio pontificio sulla città, viene celebrato un processo contro padre Feletti, arrestato con l’accusa di essere l’autore morale del rapimento. Il religioso domenicano viene però assolto perché la sottrazione del piccolo Edgardo era avvenuta secondo le leggi al tempo vigenti e per ordine del sovrano.

Il giornalista liberale Raffaele De Cesare riconoscerà che l’educazione data a Roma al bambino «non fu diretta a modificare i suoi affetti di famiglia». Nel 1867 il giovane riceve la prima lettera dai suoi genitori, i quali non avevano mai risposto alle sue precedenti missive in quanto ritenevano — fondatamente — che non fossero frutto della sua penna. Ai primi di ottobre 1870, subito dopo la presa di Roma, Mortara riceve nuovamente la visita del padre: «Affettuosissimo fu il primo incontro; si rinnovarono le visite a S. Pietro in Vinculis nei termini più espansivi e, al prender congedo, prima del suo ritorno a Firenze, allora Capitale del Regno, accettò volentieri dei ricordi e regali per i miei fratelli». Il prefetto di polizia Berti solleciterà invano il diciannovenne Mortara a ritornare in famiglia. Edgardo completa i suoi studi teologici a Bressanone e successivamente si trasferisce in Belgio. Muore quasi novantenne l’11 marzo 1940 a Liegi, dopo aver deposto in favore della beatificazione di Pio ix .

Padre Giacomo Martina, biografo di Pio ix critico su alcuni aspetti del suo pontificato, ha scritto che, mentre tanti protestavano per la fermezza con cui Papa Mastai aveva sottratto il bambino alla famiglia volendolo educare alla fede cattolica, «nessuno protestava per l’aperta e violenta coazione nei territori polacchi soggetti alla Russia (ma anche in Inghilterra e nei Paesi scandinavi) a danno della libertà religiosa dei cattolici». Ovviamente, l’osservazione dello storico gesuita non giustifica in alcun modo la sottrazione del piccolo Edgardo alla famiglia. Un altro storico, Agostino Giovagnoli, sul quotidiano «Avvenire», ha osservato che Papa Mastai «fu prigioniero di una concezione errata circa l’uso della forza materiale per imporre un bene spirituale». Oggi un caso Mortara non potrebbe più ripetersi, perché, pur essendo rimasti fondamentali il battesimo e la fede nella trasformazione ontologica che il sacramento porta nel battezzato, la libertà religiosa sancita dal Concilio Vaticano ii ha contribuito a cambiare prospettiva. I credenti vivono la stessa fede con una diversa coscienza, come dimostra il significativo cambiamento sulla pena di morte, un tempo praticata anche dallo Stato Pontificio e oggi dichiarata inammissibile nel Catechismo della Chiesa cattolica dopo un cammino di riflessione inaugurato da Giovanni Paolo ii e concluso da Francesco.

di Andrea Tornielli