· Città del Vaticano ·

Il regista non appiattisce la complessità della vicenda su una tesi precostituita

«Non torno da voi,
io rimango qua»

 «Non torno da voi, io rimango qua»  QUO-124
30 maggio 2023

Rapito racconta la storia di Edgardo Mortara, un bambino ebreo di neppure 7 anni che nel 1858 a Bologna viene sottratto alla sua famiglia per ordine di Papa Pio ix in quanto sarebbe stato battezzato di nascosto da una fantesca cattolica che lo credeva in fin di vita. Il potere temporale dei Papi stava vivendo i suoi ultimi anni e il rapimento del piccolo Mortara assume un significato politico a livello internazionale, tra lo stupore di quegli ambienti cattolici che non comprendono il clamore suscitato da qualcosa «che si era sempre fatto».

Bellocchio ricostruisce sapientemente gli ambienti risorgimentali, ha scelto un formidabile cast di attori, tra cui bravissimi il piccolo Enea Sala (Edgardo da bambino), Leonardo Maltese (Edgardo da ragazzo), Barbara Ronchi (la mamma), Fausto Russo Alesi (il papà), Fabrizio Gifuni (l’Inquisitore) e tutti gli altri. Molte le scene indimenticabili: l’incubo del papa che si vede il letto circondato da rabbini che vogliono circonciderlo, il sogno di Edgardo che sale sull’altare, toglie i chiodi dal crocifisso e libera Gesù dalla croce, la breccia di porta Pia e l’incontro tra Edgardo diciannovenne e il fratello garibaldino che è venuto a liberarlo, e lui che rifiuta: «Non torno da voi, io rimango qua».

E qui si apre l’altra parte della lunga vita di Mortara: dal 1870 al 1940, per 70 anni, egli è stato un convinto cattolico, un predicatore eccezionale. Don Pio Edgardo Mortara ha predicato in nove lingue, in molti paesi d’Europa e fin negli Stati Uniti, prima di ritirarsi nell’Abbazia di Bouhay, in Belgio, dove muore il 1° marzo del 1940, due mesi prima che la Wehrmacht occupi il Belgio.

Rapito riaccende l’interesse su un fatto tutt’altro che isolato nella storia delle relazioni tra la Chiesa e gli ebrei e che non riguarda solo le conversioni forzate e in particolare dei bambini ebrei sottratti alla famiglia, battezzati e rinchiusi per impedire loro di ritornare alla religione dei padri ma in generale l’idea stessa della conversione degli ebrei.

Nel film Edgardo rivede dopo anni la madre sul letto di morte, e tenta di convertirla. Il tentativo è un gesto di amore per colei che gli ha dato la vita, e a cui lui vuole dare la vita eterna (questo gli è stato insegnato). La madre gli risponde che è nata ebrea e morirà ebrea. Il figlio diventato cattolico, la madre rimasta ebrea: il conflitto bimillenario tra ebraismo e cristianesimo acquista una drammatica intensità familiare.

Con l’età Marco Bellocchio ha imparato ad ascoltare, e per realizzare questo film ha avuto il merito di ascoltare molte persone, tanto da cambiare in corso d’opera la prospettiva iniziale. Il primo titolo “La conversione” si è mutato in Rapito perché gli è divenuto più chiaro che innanzi tutto vi era da narrare un dramma, un delitto: l’allontanamento forzato di un bambino dai suoi genitori e dagli affetti della sua numerosa famiglia. Disperato lui, disperati loro, vani tutti i tentativi intrapresi per far ritornare Edgardo a casa. Il ragazzo trascorre l’adolescenza presso i Canonici Regolari Lateranensi, seguito con attenzione dal papa, che lo considera suo figlio, segue i suoi progressi negli studi e in più occasioni gli apre le porte della sua residenza al Quirinale.

Edgardo ama lo studio, è interessato al nuovo mondo che va scoprendo con curiosità, lusingato dalle attenzioni che riceve dal Papa Re, forse anche plagiato. La dottrina che gli viene insegnata è che non vi è salvezza fuori dalla Chiesa, e che i Giudei sono colpevoli di Deicidio.

Perché Edgardo quando Roma viene liberata non si libera pure lui, non ritorna alla sua famiglia e all’ebraismo? Bellocchio ha la capacità di non dare una risposta, lascia a quella scelta tutta la sua misteriosa ambiguità, non appiattisce le complesse dinamiche culturali e psicologiche su una tesi precostituita.

Riportando l’attenzione sul caso Mortara Rapito diventerà un’occasione di polemiche tra ebrei e cristiani? Mi auguro di no. Non si rapiscono i bambini, non si tolgono i bambini ebrei ai loro genitori, su questo siamo tutti d’accordo, spero. E le reazioni che il film susciterà negli ambienti cattolici diventeranno una cartina di tornasole della recezione degli insegnamenti di Nostra Aetate e della diffusione delle acquisizioni del dialogo ebraico-cristiano. Non più perfidi giudei, ma fratelli maggiori, fratelli e sorelle. Come dicevamo, è ora necessario che sia l’idea stessa di «conversione degli ebrei» ad essere ripensata dalla riflessione teologica. Grazie a Marco Bellocchio e ai suoi collaboratori e alle sue collaboratrici per questo splendido film.

di Marco Cassuto Morselli
Presidente della Federazione delle Amicizie Ebraico—Cristiane