La buona Notizia
La nostra vita

«Amore, quanto ti vuole bene la mamma?». E io, che avrò avuto sì e no 3 o 4 anni, allargavo le braccia più che potevo per occupare più spazio possibile, rischiando persino di slogarmi le spalle da quanto tendevo le articolazioni. Mi impegnavo con tutte le mie forze per tracciare con le braccia una distanza infinita, ma tutto quello che mi riusciva era di misurare l’amore di mia madre con la distanza tra le mie manine distese. Mia mamma rideva, ma io stavo dicendo la verità. La misura del suo amore era la mia vita. Lo spazio compreso tra le mie braccia era quello nel quale stavano il mio passato, il mio presente e il mio futuro; lì erano racchiusi i suoi ricordi più belli, i sacrifici più grandi, le notti insonni per accudirmi; lì si concentravano speranze, sogni e progetti che la mantenevano viva. Perché la vita del figlio è la misura dell’amore della madre.
Quanto ci ama Dio? Tanto, tantissimo. Ma se volessimo provare a quantificarlo più o meno come fanno i bambini con l’amore della mamma dovremmo dire così: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito». La misura dell’amore del Padre è la vita del Figlio unigenito, ed è proprio così che Dio ci ha amato: dando il suo Figlio per noi.
L’amore di un genitore è quello che lo spinge a sacrificare se stesso per salvare il proprio figlio. L’amore di Dio è quello che lo spinge a sacrificare il suo Figlio unigenito per salvare noi, che pure siamo suoi figli. È un amore immenso, incomparabile, folle. È l’amore divino, che trascende la nostra umana comprensione. Possiamo sbracciarci quanto vogliamo per provare a tracciarlo con le mani, ma non riusciremmo mai neanche lontanamente a misurarlo. Eppure, in realtà, se anche dovessimo provarci, avremmo ancora ragione. Che ci piaccia o no, la misura della nostra povera e piccola umanità vale la sconfinata e gloriosa vita di Cristo. In questo sta la nostra salvezza. «Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». Il Figlio si è fatto uomo perché ogni uomo, aprendo le braccia, possa rendersi conto che quella sua umanità vale l’amore eterno di Dio. Credere nel Figlio significa credere che il Padre lo ha mandato per amore nostro. Significa credere che quella è la misura dell’amore di Dio e che coincide con la nostra vita.
Quando ci sentiamo tristi e smarriti, quando pensiamo di non valere e non ci sentiamo amati, fermiamoci. Apriamo le braccia come quando eravamo bambini. Tiriamole il più possibile verso l’esterno, fino quasi a slogarci le spalle per disegnare il diametro più grande possibile. Ecco, quello è l’amore di Dio per noi. La nostra vita, nonostante ci sembri poco amabile, è la misura dell’amore di Dio. Ed è così che possiamo ripartire.
di Alberto Ravagnani