· Città del Vaticano ·

Papa Francesco intervistato da Telemundo

La soluzione ai conflitti
è il dialogo

 La soluzione  ai conflitti è il dialogo  QUO-121
26 maggio 2023

«La pace sarà raggiunta il giorno in cui potranno parlarsi, sia loro due che altri». Il Papa guarda al dramma che da oltre un anno si consuma in Ucraina e, in un’intervista a Telemundo realizzata il 25 maggio, indica quella che potrebbe essere una soluzione al conflitto: il dialogo. Il colloquio con il giornalista Julio Vaqueiro si è svolto in una stanza dell’Istituto Augustinianum di Roma, prima dell’incontro con Scholas Occurrentes. Il Papa affronta i temi di aborto e celibato, della sua salute, dei migranti che abbandonano la propria terra «per necessità», della preghiera dei fedeli che è come «una corazza».

Una domanda riguarda il recente incontro con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che ai media ha detto di non aver bisogno di intermediari. «Non era questo il tono della conversazione», chiarisce Francesco, sottolineando che Zelensky gli «ha chiesto un favore molto grande» e cioè di «prendermi cura dei ragazzi che erano stati portati in Russia». «Non sognano tanto le mediazioni, perché in realtà il blocco dell’Ucraina è molto forte. Tutta l’Europa, gli Stati Uniti. Quindi hanno una forza propria molto grande». Quello che al leader di Kyiv «procura molto dolore» e su cui chiede collaborazione è di «cercare di riportare i bambini in Ucraina». «Per raggiungere la pace, pensa che la Russia dovrebbe restituire i territori?», domanda l’intervistatore. «È un problema politico», replica il Papa.

Un «problema serio» per lui è anche la questione migratoria per la quale ribadisce la necessità di strategie di sviluppo nei Paesi da cui la gente fugge. L’Africa, in primis: «È schiava di un inconscio collettivo, secondo cui l’Africa va sfruttata», afferma il Pontefice. «Gli aiuti dovrebbero invece servire a sollevarla e a renderla indipendente». Il pensiero va al Sud Sudan, visitato a febbraio, e al «popolo meraviglioso che si sta riarmando da poco». «Le potenze straniere hanno subito messo lì le loro industrie, non per far crescere il Paese, ma per portare via», denuncia Francesco.

Cita poi il libro Fratellino, che ha regalato di recente ai vescovi della Cei. Racconta la vita di un ragazzo partito dalla Guinea per ricercare il fratello e impiega tre anni per raggiungere la Spagna, subendo schiavitù, prigionia, torture. «Leggetelo, vedrete il dramma di un migrante sulle coste della Libia».

Nell’intervista si fa cenno alle questioni di aborto e celibato. Sulla prima, il Papa cita gli studi di embriologia secondo i quali, già un mese dopo il concepimento, quello nel grembo materno «è un essere vivente». Quindi domanda: «È lecito assumere un sicario per risolvere un problema?». Sul celibato e il presunto collegamento con gli abusi nella Chiesa, risponde riportando dati statistici: «Il 32%, in altri Paesi il 36%, degli abusi avviene in famiglia, zio, nonno, e tutti sposati, o con i vicini. Dopo di che, nei luoghi di sport, dopo di che, nelle scuole...».

Non manca il riferimento alla sua salute: «Prima non potevo camminare. Ora posso camminare di nuovo», sorride. Con serenità il Papa ricorda pure il ricovero di fine marzo al Policlinico Gemelli per una bronchite infettiva: «È stata davvero una cosa inaspettata. Ma l’abbiamo presa in tempo, mi hanno detto, se avessimo aspettato qualche ora in più sarebbe stato più grave. Ma in quattro giorni ero fuori».

Spiega poi il motivo per cui conclude ogni discorso con la richiesta di preghiere: «Le persone non si rendono conto del potere che hanno nel pregare per i loro pastori», dice. «Qualsiasi pastore, sia esso un parroco, un vescovo, è come se fosse difeso, corazzato, con un’armatura, con la preghiera dei fedeli».

Infine un excursus delle riforme portate avanti in questi dieci anni di pontificato: «Il sistema economico, le nuove leggi dello Stato Vaticano, la pastorale del Servizio Vaticano». Per il futuro, invece, sente di dover fare ancora «tutto»: «Man mano che vai avanti ti rendi conto che ti manca tutto». Un obiettivo è certamente la «de-clericalizzazione»: «Il clericalismo è una perversione... Se sei un clericalista, non sei pastore. Dico sempre ai vescovi, ai sacerdoti e a me stesso di essere pastori».

di Salvatore Cernuzio