· Città del Vaticano ·

Una serie di incontri in Vaticano a tu per tu con i campioni
Ai Musei vaticani Barbara Jatta dialoga con Silvia Bennardo e Claudia Gennaro, campionesse di volley sorde

Quando lo sport
(al femminile) ti fa più nobile

 Quando lo sport (al femminile) ti fa più nobile  QUO-120
25 maggio 2023

La bellezza dell'arte paralimpica


Quando lo sport ti fa più nobile: questa espressione di Papa Francesco è il filo conduttore dei dialoghi con atleti di alto livello promossi, in Vaticano, per rilanciare la visione inclusiva e solidale dello sport come autentica espressione di cultura e opportunità di crescita fraterna e sociale.

Nel pomeriggio di mercoledì 24 maggio, nella straordinaria cornice dei Musei vaticani, il direttore Barbara Jatta ha dialogato con Silvia Bennardo e Claudia Gennaro, giocatrici della Nazionale italiana pallavolo sorde — vice campione olimpica e campione europea — che erano state ricevute in mattinata da Papa Francesco. Il dialogo — reso possibile da due interpreti del linguaggio dei segni — è stato moderato da Chiara Porro, ambasciatore di Australia presso la Santa Sede.

Erano presenti il cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio, numerosi membri del corpo diplomatico  presso la Santa Sede, don Andrea Palmieri, assistente spirituale di Athletica Vaticana, e realtà legate all’esperienza della disabilità: in particolare studenti e docenti dell’Istituto di istruzione per sordi “Magarotto”.

L’incontro ha fatto seguito al dialogo tra il campione olimpico Filippo Tortu e il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la cultura e l’educazione, che si è poi confrontato con l’allenatore della Roma, José Mourinho, nell’ambito della Pontificia università Gregoriana.

A dar vita all’iniziativa sono Athletica Vaticana, la polisportiva della Santa Sede, con il Dicastero per la comunicazione e il Dicastero per la cultura e l’educazione, al quale il Papa nella Costituzione apostolica ha affidato lo sport.

«Lo sport dimostra come tutte le barriere possono essere superate» ha detto Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione, suggerendo le linee del dialogo. «A partire da quella della incomunicabilità, che sembra quella più grande del nostro tempo. Così simile a quello di Babele. Lo sport può insegnarci a diventare migliori, più umani, più consapevoli dei nostri limiti, ognuno li ha, e della possibilità di superarli, insieme». Perché «lo sport non è affare da superuomini e superdonne», anzi «esprime una fragilità trasfigurata, un insuccesso riscattato, una fatica oscura non sempre premiata».

«Davvero oggi possiamo dire che lo sport  “fa udire i sordi, fa parlare i muti”» ha affermato Ruffini invitando a «reimparare a parlare proprio dall’essenziale linguaggio dei segni dei sordi». Ma «serve allenamento, credere che il dialogo e l’inclusione sono possibili, sfidare se stessi. Come diceva Alex Zanardi: la cosa più bella è lavorare al progetto più che raggiungerlo». 

Il presidente di Athletica Vaticana ha ricordato che proprio in Vaticano, tra il 19o5 e il 1908, si sono svolte le prime gare con persone con disabilità, alla presenza di san Pio x. Anticipando di quarant’anni il movimento paralimpico.

*   *   

Nella bellezza dei Musei vaticani l’abbraccio alla bellezza dell’esperienza paralimpica con uno sguardo femminile: le protagoniste sono state infatti le donne. È stata questa la caratteristica del dialogo sportivo tra Barbara Jatta, direttore dei Musei vaticani, e due campionesse sorde del volley mondiale: Silvia Bennardo e Claudia Gennaro. A far da moderatore Chiara Porro, ambasciatore di Australia presso la Santa Sede.

Chiara Porro - L’evento di oggi si inserisce in un’intensa attività, sempre crescente, di interesse e valorizzazione dello sport in Vaticano. A guidare questo processo — per dirla con Papa Francesco — è Athletica Vaticana, la polisportiva ufficiale della Santa Sede. Per avviare il dialogo vorrei chiedere cosa possono avere in comune chi custodisce la bellezza dell’arte e chi la bellezza la comunica nel gesto sportivo inclusivo. Dove si incontrano queste due esperienze?

Barbara Jatta - La bellezza è tante cose, può essere declinata in tanti modi. Sono stata anche io pallavolista: non come Silvia e Claudia, ma ho giocato fino alla C1. La perfezione di un gesto in uno scambio di pallavolo, una schiacciata perfetta, un’alzata o una ricezione come si deve è bellezza. È bellezza perché è armonia e armonia, oltretutto, di persone. La squadra è l’espressione della società e soprattutto lo è il gioco di squadra. Essere in armonia con i tuoi compagni di squadra è un bellissimo insegnamento e l’armonia di un buon gioco è bellezza.

Silvia Bennardo - Anzitutto ringrazio per questa opportunità. Credo che nello sport e nell’arte ci sia “dietro” un allenamento, uno studio. C’è anche il vedere il frutto di questo lavoro, della fatica dello studio. E ci sia la soddisfazione che ripaga sia nell’arte sia nello sport.

Claudia Gennaro - Quando noi pallavoliste giochiamo male non vediamo la bellezza. Ma, nello stesso tempo, c’è sempre il gioco di squadra, lo stare insieme con le nostre compagne, e questo è bellezza. Anche quando si gioca male.

Chiara Porro - Giocare a pallavolo è un’opportunità di inclusione sociale, anche nel mondo del lavoro. Quanto aiuta lo sport?

Silvia Bennardo - Tantissimo! I miei genitori mi hanno quasi imposto di fare pallavolo, quando avevo 13 anni, perché facevo fatica ad inserirmi con le altre persone. Mi sentivo diversa. Grazie allo sport ho imparato a stare in mezzo alle persone e ad accettare la mia sordità. Ho imparato anche ad insegnare alle persone come comportarsi con me. Ora sto giocando molto a beach volley. È uno sport più difficile rispetto alla pallavolo perché si è in due in campo: devo insegnare alla mia compagna come comportarsi con me. È una scoperta continua che mi aiuta a relazionarmi. Inoltre non avrei mai pensato di poter giocare a volley senza protesi, come previsto dal regolamento. All’inizio ero a disagio, poi mi sono resa conto che tutte le ragazze in campo sono sorde. E non mi sono sentita più sola, diversa. Il gioco del sordo è «senza chiamate», le compagne non ti possono avvertire, non senti il tocco della palla. Sei svantaggiata. Ma lo sport insieme aiuta anche la comprensione tra persone udenti e persone sorde.

Claudia Gennaro - Mio padre è stato un atleta nelle “olimpiadi dei sordi”. Ma non sono stati i miei genitori a spingermi nella pallavolo. È stata invece una mia amica “udente” — avevo 10 anni — che mi ha invitato a giocare. All’inizio ho avuto difficoltà: avevo bisogno sempre di una persona accanto che mi aiutasse a relazionarmi con gli altri. Per sentirmi sicura. Quella mia amica, poi, smise di giocare e lasciai anche io, proprio perché sentivo il bisogno di una persona sempre al mio fianco. Un anno dopo ho visto che un’altra mia amica aveva la tuta da volley e ho come sentito la mancanza di quell’esperienza sportiva. Ho ricominciato a giocare e... non ho più smesso! Non ho avuto le stesse difficoltà di Silvia perché sono nata in una famiglia di sordi. L’accettazione della mia sordità è avvenuta subito. La mia prima lingua è stata quella dei segni. Ma tutti abbiamo sempre difficoltà! Con lo sport ho imparato a conoscere le persone, a relazionarmi, a confrontarmi. Il mio ruolo è palleggiatrice: ho fiducia nelle mie compagne, dobbiamo avere fiducia l’una nell’altra. Questo atteggiamento mi ha aiutato anche nella vita e a vivere lo sport in modo salutare, per liberare la mente. Inoltre noi, nella pallavolo, abbiamo l’abilità di vedere bene. E la vista eccellente compensa l’udito.

Barbara Jatta - Claudia ha parlato del suo ruolo di palleggiatrice. La palleggiatrice è fondamentale per il gioco di squadra: deve sapersi relazionare sia con chi riceve sia con chi deve schiacciare. È lei che costruisce il gioco e quindi è fondamentale che abbia una relazione. Vengo da una famiglia di sportivi e ho sempre fatto sport. Ho smesso di giocare a pallavolo — l’ho fatto a livello amatoriale — quando sono diventata direttore dei Musei vaticani. Lo sport resta un fuoco dentro, è benessere psicofisico, è armonia, è bellezza.

Chiara Porro - Qual è lo stato d’animo di un’atleta nella gioia della vittoria e nella delusione della sconfitta? Esperienze che si vivono anche nell’ambito del lavoro. Come si gestiscono vittorie e sconfitte?

Silvia Bennardo - Sto cercando di capirlo come gestire le sconfitte... se avete consigli, ben vengano! Una delusione cocente l’ho avuta agli Europei di beach volley, nell’agosto 2002, quando abbiamo perso il terzo posto contro la Polonia. Avevamo lavorato tanto, ci eravamo allenate tanto e poi non abbiamo giocato bene. Ero persino arrivata a pensare «basta, smetto, non ho più voglia di giocare». Ma la passione c’è e dopo una settimana ero di nuovo in campo. La delusione ti fortifica, ti spinge a dare il meglio. Proprio se sei deluso riparti. La gioia di una vittoria, invece, ti ripaga di tutti gli sforzi.

Claudia Gennaro - Nello sport si perde e si vince. Se perdi devi lavorare di più e nella prossima partita dare sempre qualcosa di più, sforzarti di migliorare. Nello sport le delusioni ci sono però bisogna andare avanti, non pensarci. Soprattutto non bisogna sempre recriminare per una sconfitta: bisogna assorbirla, impegnandosi di più per migliorare. Poi, certo, quando arrivano le medaglie si festeggia. Siamo contente. La gioia certamente c’è!

Barbara Jatta - Lo sport è metafora della vita, non va sempre tutto bene. Bisogna imparare a vincere, a gestire le vittorie, ma soprattutto imparare a perdere. Lo sport, praticato anche avanti negli anni, è un confronto con la nostra vita. Ci sono giorni bui e giorni felici e lo sport ti insegna a gestirli. Sicuramente quando vinci qualcosa in gruppo è bellissimo e ti aiuta poi anche nei giorni “down”.

Chiara Porro - «Non si diventa campioni senza una guida, senza un allenatore disposto ad accompagnare, a motivare, a correggere senza umiliare, a sollevare quando si cade e a condividere la gioia della vittoria» ha detto Papa Francesco alla Federazione italiana volley il 3o gennaio. Che ruolo ha l’allenatore, come educatore e non solo come tecnico?

Silvia Bennardo - Prima di tutto bisogna costruire la fiducia. Quando arriva un allenatore nuovo in Nazionale c’è sempre il problema della comunicazione. Magari parla troppo velocemente... Nel beach volley, invece, l’allenatore non ti segue nella partita: per me è una mancanza da risolvere perché bisogna gestirsi da sole.

Claudia Gennaro - Dai miei allenatori ho sempre avuto supporto e fiducia, insieme alle mie compagne. Anche perché senza dialogo la squadra non funziona.

Barbara Jatta - Gli allenatori sono mentori e con loro va stabilita una relazione. Anche questa è una metafora della vita: avrai sempre qualcuno che ti coordina. Sapersi relazionare, entrare in comunicazione e fare squadra, è sempre un insegnamento di vita.

Chiara Porro - Lo sport femminile. Stiamo assistendo a una vera svolta per la visibilità, ma c’è ancora tanta disparità tra uomini e donne nello sport.

Silvia Bennardo - La pallavolo femminile è molto più bella, più armonica di quella maschile dove c’è più forza. Nel volley delle donne c’è più gioco, più tattica.

Claudia Gennaro - Ma la disabilità uditiva è sempre penalizzata. Non facciamo parte delle Paralimpiadi. Quando alle «olimpiadi dei sordi» abbiamo «segnato» l’inno nazionale c’è stata tanta visibilità e in tanti hanno detto «ma dai, non sapevo che i sordi potessero fare queste cose!». È stato un modo per dare informazioni inclusive, perché la disabilità uditiva è invisibile: senza protesi, o con i capelli che nascondono le protesi, non si vede la disabilità. Dobbiamo lavorare molto per raggiungere la parità con gli altri sport.

Barbara Jatta - Dopo aver avuto tre figli ho ripreso a giocare a pallavolo a livello amatoriale in una squadra mista. E gli uomini volevano mettere noi donne solo in ricezione... ma noi non ci siamo state! È chiaro che un uomo in campo è più efficace, però c’è il gioco di squadra. Sì, c’è un cambiamento della società. Ventisette anni fa ho iniziato a lavorare nella Biblioteca vaticana: sono stata la terza donna assunta. Quando l’ho lasciata, la metà di chi lavorava nella Biblioteca erano donne. Lo stesso, ora, ai Musei vaticani. Grazie a Papa Francesco. Non siamo una quota rosa, ma siamo parte della società.

Tra le domande rivolte alle protagoniste del dialogo, particolarmente significativa la riflessione suggerita da uno studente sordo dell’Istituto “Magarotto” che ha chiesto alle due atlete quali possono essere strade di vera inclusione e se c’è la possibilità che le persone con disabilità non si sentano più “diverse” nello sport e nella vita sociale. In conclusione Barbara Jatta ha guidato la visita ai mosaici “sportivi” delle Terme di Caracalla esposti nel cuore dei Musei vaticani.


Hanno vinto «tutto» con la Nazionale italiana pallavolo 


Silvia Bennardo nel ruolo di centrale e Claudia Gennaro nel ruolo di palleggiatrice hanno «vinto tutto» con la Nazionale italiana di pallavolo femminile sorde. In particolare il titolo europeo nel 2019 e due argenti “olimpici” alle Deaflympics nel 2017 e nel 2022. Per loro il prossimo impegno internazionale è il Campionato europeo a luglio in Turchia. La squadra fa parte della Federazione sport sordi d’Italia.

In particolare, Silvia Bennardo, nata a Padova, 31 anni, laureata in informatica, ha scoperto la passione per la pallavolo all’età di 13 anni, su suggerimento dei genitori, per provare a cercare strade di inclusione superando le problematiche causate dalla sordità. Indossa la maglia azzurra dal 2017 ed è anche tra le più forti giocatrici di beach volley.

Claudia Gennaro, romana, 32 anni, aveva 8 mesi quando è diventata sorda ed è stata costretta a ricorrere alle protesi acustiche e a un percorso di logopedia. Provenendo da una famiglia sorda, ha avuto modo di conoscere e di imparare a relazionarsi con la lingua dei segni italiana. Ha iniziato a giocare a pallavolo all’età di 10 anni ed è in Nazionale dal 2016.