· Città del Vaticano ·

Giornata mondiale delle comunicazioni sociali

Una rete tessuta con il cuore

 Una rete tessuta  con il cuore  QUO-116
20 maggio 2023

In un tempo che ci sfida con la tecnologia sempre più avanzata qualcuno potrebbe domandarsi che senso ha parlare del cuore.

La Chiesa ha sempre accettato la prova del tempo, ma mai ha sottratto il tempo alla sua radice. E ha sempre considerato la comunicazione coessenziale alla sua missione; e  legata alla comunione che ci unisce  nel tempo oltre che nello spazio. Potremmo citare le lettere di san Paolo, di san Giacomo, di san Pietro, come prima forma di comunicazione insieme ai Vangeli. E definire gli Atti degli Apostoli la prima narrazione della comunione come forma di  comunicazione. Una lezione fondamentale, e attualissima.

Qui sta la risposta alla domanda iniziale. Il cuore non rinnega la tecnologia, ma le dà un’anima, una storia, e un futuro.

Così se vogliamo trovare la radice degli ultimi messaggi di Papa Francesco, quello di quest’anno e quello degli anni precedenti, è sempre qui che la troviamo: nel suo dirci  che, sì, le tecnologie contano, ma cambiano, mentre la radice permane e la radice sta nella comunione.

La tecnologia ci permette oggi cose che erano impensabili solo pochi decenni fa. La tecnologia non ha solo trasformato il nostro mondo. L’intelligenza artificiale è parte di noi stessi. Siamo noi che la abbiamo inventata. Siamo noi che dobbiamo guidarla. Con il nostro cuore, che rende la nostra intelligenza unica. E ci sfida  ad essere  protagonisti del nostro futuro. Essa si basa sui nostri pensieri, sulla nostra capacità di connettere saperi. Ma anche sulla capacità di amare. Di non perdere il senso del limite. Di non pensarci uguali a Dio. E di sapere che ci sono — sempre ci saranno — cose che la tecnologia non può sostituire. Come la libertà. Come il miracolo dell’incontro fra le persone. Come la sorpresa dell’inatteso. La conversione. Lo scatto dell’ingegno. L’amore gratuito. E l’amore si basa su questa fragilità suprema che è il sentire il bisogno di amore, di amare e di essere amati, di donare e di donarsi. Qui è la radice di ogni comunicazione.

Per questo la connessione da sola non basta. Per questo abbiamo, più che il dovere, direi il bisogno di ritessere con il cuore l’unità del genere umano, quella comunione che ci unisce.

Ma ecco il paradosso del nostro tempo. Siamo iperconnessi, e anche soli. Ognuno alla fine chiuso in se stesso. Per questo, oggi più che mai dobbiamo chiarire che la comunicazione non è in una sola direzione; che quella istituzionale non è solo distribuire comunicati e che quella giornalistica non è banalmente statica; la comunicazione è sempre stata dinamica e reciproca e oggi lo è ancora di più.

La comunicazione è radicata nella relazione, una relazione sincera, profonda, stabile.

Di solito della comunicazione invece si parla in maniera funzionale. L’insegnamento della Chiesa è quasi all’opposto. La ragione per cui il Concilio ha riservato una così grande attenzione alla comunicazione sociale non è funzionale, è comunionale. La ragione per cui pensò, sull’esempio di san Paolo, che si dovesse fare anche una colletta universale su questo, non è banalmente economica; è anche questa intrinsecamente legata con la comunione delle Chiese.

In sintesi si può affermare che non c’è comunicazione se non c’è comunione. E non c’è comunione se non c’è comunicazione. Ci può essere marketing, pubblicità, connessione, ma senza una relazione vera non c’è vera comunicazione. La stessa ragione della crisi attuale dei media può essere trovata qui.

In questo senso, la creatività comunicativa non sta solo nella capacità di scrittura, di ripresa fotografica cinematografica, di montaggio ma anche in quella di tessere una relazione profonda fra le persone. A questo proposito si potrebbe forse avviare anche una riflessione sul modello economico della società della comunicazione. Il mercato da solo non risolve tutto. E sul fatto che la comunicazione, l’informazione, come l’istruzione, è un bene pubblico e come tale va difeso, perché da esso dipende il futuro delle nostre democrazie.

Come cristiani penso che avremmo molto da dire su questo. Sull’importanza di tessere una rete basata sulla condivisione e non sul profitto. Una rete che non si accontenta della connessione, del marketing, del chiacchiericcio o del frastuono, che non cede al narcisismo individualista o alla retorica dell’autocompiacimento, ma cerca una comunione vera. Una rete tessuta con il cuore.

La Chiesa infatti era una rete prima che la rete fosse il web.

La comunicazione che tesse la nostra comunione non è né tecnologica né funzionale, ma relazionale. Non è una scienza, non è una tecnica, ma un’esperienza costruttiva, attiva, partecipata.

Questo significa parlare con il cuore e ascoltare, come dice il Papa: «Costruire, non distruggere; incontrarsi, non scontrarsi; dialogare, non monologare; capirsi, non fraintendersi; camminare in pace, non seminare odio; dare voce a chi non ha voce, non fare da megafono a chi urla più forte».

Solo dopo aver visto con gli occhi del cuore, ascoltato con l’orecchio del cuore, infatti, sapremo capire e parlare con il cuore.

Certo, misuriamo ogni giorno la difficoltà di essere all’altezza di questo compito.

Le dinamiche dei media e del mondo digitale, troviamo scritto nella Laudato si’, «quando diventano onnipresenti, non favoriscono lo sviluppo di una capacità di vivere con sapienza, di pensare in profondità, di amare con generosità. I grandi sapienti del passato, in questo contesto, correrebbero il rischio di vedere soffocata la loro sapienza in mezzo al rumore dispersivo dell’informazione».

Siamo sommersi di informazioni non verificate, senza contesto, senza memoria, senza una lettura consapevole. E senza cuore. Il primato della velocità impedisce spesso il controllo, la verifica, il discernimento. Alimenta la chiacchiera. Indurisce i cuori. Oggi l’intelligenza artificiale ha spostato ancora più in là il confine, e minaccia di cambiare radicalmente o addirittura di sostituire (secondo alcuni) il ruolo dei giornalisti e dei comunicatori.

Anche a questo risponde il messaggio di Papa Francesco, quando ci invita a usare l’amore (l’unica cosa preclusa alle macchine, e agli algoritmi) come regola. In un tempo dove la tecnologia rischia di diventare tecnocrazia dovremmo testimoniare un nuovo umanesimo cristiano, dove la tecnologia è per l’uomo e non contro l’uomo. Il mondo digitale non è fermo, non è immobile. Sta a noi orientarlo verso il bene. E a questo serve il cuore, se non è indurito. Non sarà un algoritmo a rivelarci il Bene. Tocca semmai a noi orientare l’algoritmo al Bene.

Ci sono infatti cose che non si possono misurare. Cose che non si possono comprare.

La relazione, la cura, la compassione, la collaborazione e la non separazione sono qualità che il paradigma tecnologico riduzionista, tecnicista e utilitarista non contempla. Ecco il campo della nostra testimonianza, come rete di comunicatori, come giornalisti, cercatori di una verità che ci trascende, costruttori di un modo diverso di fare informazione.

Più volte Papa Francesco ha invitato i comunicatori a evitare gli eccessi degli slogan, che invece di mettere in moto il pensiero lo annullano; e a percorrere la strada lunga della comprensione invece di quella breve che pensa di poter trovare subito o i salvatori della Patria, capaci di risolvere da soli tutti i problemi, o i capri espiatori su cui scaricare tutte le responsabilità.

Più volte ha messo in guardia dal fidarsi di chi dice le cose a metà, perché disinforma con l’alibi di informare, impedisce di dare un giudizio accurato sulla realtà e induce all’errore.

Più volte ha stigmatizzato l’alternanza tra due mali opposti, ugualmente dannosi: l’allarmismo catastrofico e il disimpegno consolatorio, e forse il male più grave, la disinformazione, perché induce all’errore, a credere solo a una parte della verità. Ora ci dice che la soluzione la abbiamo dentro di noi: il cuore. In un certo senso, nel mentre che l’intelligenza artificiale ci sfida, ci dice che l’intelligenza umana ha una risorsa che la macchina non ha: il cuore, il sentimento. 

Sta a noi negoziare l’algoritmo, con il cuore. Se non sapremo negoziare gli algoritmi, se non sapremo distinguere fra una compilazione senza anima di dati senza controllo ed un racconto con l’anima allora il giornalismo diventerà un modo come un altro per assemblare dati ad altri fini rispetto alla ricerca e alla condivisione della verità e di un punto di vista. Perderemo il rapporto autentico con chi ci legge, con chi ci ascolta, con chi guarda i nostri servizi su qualsiasi dispositivo questo avvenga. E saremo incapaci di leggere i grandi cambiamenti della storia, che non sono sempre razionali. Anzi non lo sono quasi mai. Non capiremmo i tradimenti e gli atti di amore. Il perdono e la capacità di costruire processi di pace. Senza cuore, non capiremo nulla e non sapremo comunicare nulla. 

di Paolo Ruffini